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Un Rinaldo che non ama la musica

Post n°548 pubblicato il 26 Febbraio 2012 da arieleO
 

Diligente. Questo è l'aggettivo (generoso) che compete all'allestimento di «Rinaldo in campo» che il Sistina presenta all'Augusteo per la regia di Massimo Romeo Piparo.
   La nota storiellina di Rinaldo Dragonera - il brigante siciliano che, da sempre abituato come Robin Hood a rubare ai ricchi per donare ai poveri, si converte alla causa garibaldina per amore di Angelica, ragazza di buona famiglia per nascita e rivoluzionaria per vocazione - viene riproposta nel pieno rispetto della sua natura edificante: tanto che verso la fine, essendo nato l'allestimento per celebrare i 150 anni dell'Unità d'Italia, compaiono sul velatino che chiude il boccascena gli articoli della Costituzione che inneggiano alla patria comune e i volti di tutti i presidenti della Repubblica.
   Allo stesso modo, appare ricalcata con sufficiente fedeltà la formula che la Premiata Ditta Garinei & Giovannini adottò per questo suo celebre titolo: la fusione del meccanismo tipico della rivista stile Broadway con le più genuine tradizioni popolari isolane, dalle preghiere a Santa Rosalia alle fantasmagoriche piroette dei pupi. Semmai sono gl'interpreti che mettono in discussione l'ossequio all'originale.
   Il protagonista, Fabio Troiano, ha dichiarato che «la commedia funzionerebbe altrettanto bene senza la musica». Ma stiamo parlando di una commedia musicale? E stiamo parlando della musica composta da un signore che si chiamava Domenico Modugno e cantata, nell'edizione dell'87, da un altro signore che si chiama Massimo Ranieri? Comunque, una volta tanto un attore ha detto la verità: si sente che per Troiano la musica non ha importanza.
   Colpiscono anche sotto questo profilo i toni strillati che prevalgono nello spettacolo. E certo, s'impegna, Serena Autieri, nei panni via via più mascolini della suffragetta Angelica. Ma non a caso i migliori sono Rodolfo Laganà, che riprende dopo 25 anni il ruolo di Chiericuzzo, e Gianni Ferreri, un barone di Castrovillari ch'è frutto di una lunga e preziosa gavetta teatrale.

                                           Enrico Fiore

(«Il Mattino», 26 febbraio 2012)

 
 
 
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