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Il teatro visto da Enrico Fiore

 

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Eduardo, 25 anni dalla morte

Post n°204 pubblicato il 29 Ottobre 2009 da arieleO
 

«Il rigore. Quando penso a lui, penso soprattutto al suo rigore: in ogni senso del termine, e prima di ogni altro nel senso del rispetto per il teatro, per il proprio lavoro e per l'intelligenza degli uomini e delle donne ai quali quel lavoro era indirizzato». Sabato sera alle undici si compiranno venticinque anni dalla morte di Eduardo, spentosi il 31 ottobre dell'84, per un blocco renale, nella clinica romana Villa Stuart. E dei significati della ricorrenza parliamo con Luca De Filippo, mentre si appresta a recarsi all'Augusteo per la replica pomeridiana dell'allestimento di «Filumena Marturano» firmato da Rosi e di cui è protagonista nel ruolo, s'intende, di Domenico Soriano.
- La prima domanda, ovvia e obbligata insieme, riguarda il sentimento che nella circostanza prova in quanto figlio.
«È quello che proverebbero tutti i figli. I genitori non muoiono mai, ce li portiamo sempre dentro. E in più c'è il fatto che, nel mio lavoro, Eduardo rappresenta ancora un punto di riferimento. Non potrebb'essere diversamente».
- Mi ha anticipato. Stavo appunto per chiederle che cosa, invece, prova in quanto teatrante...
«Sono pieno di gioia e d'orgoglio. In questi venticinque anni l'opera di Eduardo non ha mai smesso d'essere riconosciuta e apprezzata. Le sue commedie vanno sempre benissimo, e continuano ad essere rappresentate in ogni parte del mondo: non solo, tanto per intenderci, in una "piazza" deputata come Parigi, dove alla Comédie-Française danno "La grande magia", ma addirittura in Etiopia, dove si apprestano a mettere in scena una "Filumena Marturano" tradotta in aramaico».
- A proposito, se le ricorda le solenni celebrazioni che si svolsero a Venezia un anno dopo la morte di Eduardo (al Goldoni «La tempesta» in napoletano con le marionette dei Colla, sul Canal Grande un corteo di cento gondole al lume delle fiaccole, a Palazzo Pisani Moretta i corali composti da Roberto De Simone per «De Pretore Vincenzo»...)?
«Non potrò mai dimenticarle, fu bellissimo».
- Durante quelle celebrazioni Lina Sastri, che adesso l'affianca nei panni di Filumena, mormorava fra le lacrime: «Sono contenta, contenta». E lei, è contento di quanto teatranti e istituzioni hanno fatto, nei venticinque anni successivi, per onorare la figura e il teatro di suo padre?
«Non posso dichiararmi deluso. Ma, certo, si poteva fare di più. E non parlo del numero delle manifestazioni in memoria di Eduardo. Intendo dire che bisognava stare più attenti alle indicazioni che lui aveva dato. Negli ultimi anni, dopo la sua nomina a senatore a vita, Eduardo s'impegnò molto perché venisse affrontato il problema dei minori a rischio napoletani. Se quell'indicazione fosse stata seguita meglio da coloro che via via abbiamo eletto, oggi la situazione sarebbe migliore: perché annovereremmo qualche delinquente in meno, fra i quarantenni che furono i ragazzi di allora, e contemporaneamente ci gioveremmo di una maggiore coscienza del problema».
- Quale fra i grandi registi e registi-interpreti che ne hanno portato in scena i testi dopo la sua morte (a parte Rosi, naturalmente, citerei almeno Strehler, Patroni Griffi, Sepe, de Berardinis e Carlo Giuffré) ritiene si sia avvicinato di più allo spirito e al messaggio di Eduardo?
«Non farei alcun nome in particolare. Penso che tutti loro insieme, ciascuno con la propria sensibilità e con le proprie personali invenzioni, abbiano contribuito a costruire una lettura moderna del teatro di mio padre».
- Qual è, secondo lei, la lezione principale lasciata da Eduardo?
«Occorre cercarla dentro il suo lavoro, ed è una lezione che riguarda la funzione morale del teatro all'interno della società. Eduardo non ha mai scritto nulla che non sentisse come necessario al momento storico in cui scriveva e salutare per la coscienza di tutti».
- Ci sarà una sua personale celebrazione di questo venticinquesimo anniversario?
«Conto di ricordare Eduardo con una serata al San Ferdinando».
- Ecco, chiudiamo proprio col San Ferdinando. Lei l'ha donato alla città.
Ma quel teatro si trova in una zona, diciamo così, difficile. È il San Ferdinando che può riscattare il quartiere o è Napoli che deve rilanciare il San Ferdinando?
«Il San Ferdinando da solo non può fare niente. Eduardo, che certo avrebbe potuto trovare in città spazi ben più comodi, ne fece il centro della sua attività per stare vicino alla gente più umile, alla gente che non conosceva la parola teatrale. Ci dev'essere qualcuno, oggi, che voglia la stessa cosa e, soprattutto, ne sia capace».

                                                Enrico Fiore

(«Il Mattino», 29 ottobre 2009)

 
 
 
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Data di creazione: 16/02/2008
 

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