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Il teatro visto da Enrico Fiore

 

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Dimenticando Valeria?...

Post n°412 pubblicato il 06 Febbraio 2011 da arieleO
 

Ancora a proposito della «Filumena Marturano» televisiva interpretata da Mariangela Melato e Massimo Ranieri, pubblico molto volentieri l’articolo di Franco Cecchini, direttore del Centro Valeria Moriconi di Jesi, apparso ieri, sabato 5 febbraio, sul n. 4 del settimanale d’informazione «Voce della Vallesina».

                                                Enrico Fiore   

 

«È passato più di un mese dalla «Filumena Marturano» di Eduardo De Filippo con Massimo Ranieri e Mariangela Melato, mandata in onda martedì 30 novembre su Raiuno in prima serata. Un trionfo, stando ai numeri riportati dai giornali: 5.713.000 persone (20,44%) con picchi di oltre sei milioni e mezzo, nonostante la concorrenza fortissima della brigata dei Cesaroni, bloccata a «soli» 5 milioni e 93mila spettatori (18,07%).
  
E sono passati - incredibile, pare ieri – più di 24 anni, quasi un quarto di secolo, dalla «Filumena Marturano» con Valeria Moriconi, andata in scena in anteprima nazionale al Teatro Pergolesi il 6-7-8 novembre 1986: riapriva il teatro, restaurato dal sindaco Fava, e Valeria tornava sul suo palcoscenico, riconciliata, dopo una rottura furibonda per un episodio di incomprensione...
   
Si direbbe, dunque, che entrambi gli eventi siano più o meno lontani, ormai archiviati, non più attuali (ammesso che il teatro possa essere oggi un argomento d’attualità). Ma una riflessione, anche a distanza, può forse ancora essere utile. Partendo da quanto si è constatato già alla vigilia della programmazione televisiva, nel corso di un «Porta a Porta» dedicato da Raiuno al marketing della sua «Filumena». Non una parola, non un’immagine sono state spese per ricordare l’interpretazione di Valeria Moriconi, pur presentando una carrellata di protagoniste della scena internazionale, che comprendeva addirittura un’anonima attrice sudamericana in costume folkloristico! Non solo. Si è sostenuto che la grande novità dell’operazione televisiva consisteva nell’interpretazione del personaggio di Filumena da parte di un’attrice non napoletana, Mariangela Melato. C’è voluto Enrico Fiore - un critico «storico» del «Mattino» di Napoli, intellettualmente onesto e di grande competenza - per «mettere in qualche modo riparo alle “dimenticanze” di Ranieri e soci», come lui stesso mi scrisse in un’e-mail, inviandomi la sua recensione della «Filumena» televisiva. In cui tiene subito a precisare che «la Melato è la seconda attrice di rango non napoletana a cimentarsi nell’impresa. La prima, nel 1986, fu Valeria Moriconi, che, del resto, con Eduardo aveva cominciato. E forte dell’investitura concessale dallo stesso Eduardo - il quale dichiarò in vita (lo disse, e più di una volta, anche a me) che lei “era l’unica attrice non napoletana in grado di fare Filumena” - scelse di non modificare nemmeno una virgola del testo originale, affrontando, dunque, pure lo scoglio impervio del dialetto».
   
E così il critico tocca un punto nodale di quella produzione teatrale come della recente versione televisiva. Valeria all’epoca ne era pienamente consapevole. All’inviato del «Corriere della Sera» nella sua casa di Jesi ricordava: «Davanti a noi c’erano tre possibilità: tradurre in italiano, italianizzare il dialetto mantenendo il suo accento, lasciare tutto com’è. Questa terza soluzione, alla fine ci è parsa la migliore, perché solo il napoletano fa vivere fino in fondo l’anima di Filumena e dà una particolare vivacità a tante battute». Ma in un’altra intervista a «La Nazione» aggiungeva con malcelato orgoglio: «Senza voler indicare nessuna strada è questo il primo esempio di come Eduardo possa essere interpretato fuori della napoletanità, rendendolo universale senza toccarlo». Ed è quanto è stato riconosciuto allora alla Moriconi dai maggiori critici. Ugo Ronfani sul «Giorno» scriveva che Valeria, secondo la lezione appresa personalmente dallo stesso Eduardo, «ha recitato non “in” napoletano ma “il” napoletano. E così ci ha dato Napoli - sia benedetta - senza la napoletanità, come fosse ancora la “Emma B. Vedova Giocasta” di Savinio». Per Renzo Tian sul «Messaggero» la sua Filumena era «un personaggio nuovo, carico di drammatiche asprezze, angoloso e furente, con qualche inevitabile scrostatura dell’intonaco della napoletanità». E Paolo Lucchesini su «La Nazione» avverte subito che «l’asprezza e la tensione, volute dal regista e dai due protagonisti, trascendono la dolente malinconia napoletana: meno neorealismo, più dramma borghese, meno commedia, più spazialità pinteriana, ci si sbraccia pochino, mai un contatto fisico tra i due».
   
Non sorprende quindi che oggi Enrico Fiore torni a sottolineare che «Valeria non si preoccupò di come pronunciare le parole napoletane, badò a far venire fuori la sua lettura del testo in chiave strindberghiana: una lettura fondatissima perché in “Filumena Marturano” c’è assai poco amore e, invece, molto di qualcosa che è peggio dell’odio, il rancore». Sorprende piuttosto che il critico del «Mattino» sia il solo (come lui stesso ha rimarcato nel suo blog «Controscena. Il teatro visto da Enrico Fiore») ad avvertire l’esigenza di ricordare quello che fu e resta un capitolo importante e innovativo dell’interpretazione scenica dell’opera eduardiana.
   
Senza con ciò nulla togliere all’interpretazione di Mariangela Melato, che è stata - com’era prevedibile -straordinaria per forza e finezza espressiva. Lo stesso Enrico Fiore, al di là delle nette riserve sulla versione televisiva curata da Ranieri, riconosce che la grande attrice «sul piano tecnico fornisce una prova davvero maiuscola con la sua strategia di gesti, sguardi e sarcasmi» che in certi momenti «si coagula in un indiscutibile miracolo di analisi testuale». Ma c’è un particolare che mi ha colpito nel corso dello stesso «Porta a Porta»: dopo una breve, emozionante sequenza video interpretata da Titina, la Melato si entusiasma e ne esalta la «modernità», fatta di asciuttezza, sobrietà, intensità tutta interiore. Quasi fosse per lei una scoperta, una sua esigenza che finalmente trovava riscontro in un registro interpretativo diverso. Che certamente non ha caratterizzato né l’impostazione registica né la prova attorale di Massimo Ranieri. Viene da chiedersi, quindi, sommessamente, fino a che punto una personalità d’attrice come la Melato si sia trovata a suo agio in quel contesto, se l’abbia condiviso fino in fondo...
   
Comunque della Filumena di Mariangela resterà nel tempo un documento audiovisivo di grande qualità tecnica, con riprese accurate, bellissimi primi piani dell’attrice, la sua partitura vocale unica resa in mille sfumature. Della Filumena di Valeria, invece, disponiamo di una modestissima registrazione privata in vhs (ora riversata in dvd) che lei stessa aveva conservato, fortunatamente assieme a rassegna stampa, recensioni e interviste, copioni, manifesti, un costume e relativo bozzetto di Bertacca, foto di scena (a cui se ne sono aggiunte altre, splendide, di Emanuela Sforza e Tommaso Le Pera, donate al Centro per la mostra «Eduardo e Valeria»). Materiali che, come l’intero Fondo Archivistico Moriconi, sono stati ordinati, elencati e schedati nel sito web del Centro, in cui sono riportati anche i dati sui servizi televisivi realizzati all’epoca dalla Rai regionale e nazionale.
   
Il tutto per salvare un patrimonio di teatro che per sua natura è effimero. Ma che oggi si può salvaguardare, almeno in parte. E ne vale la pena perché sempre di un patrimonio d’arte e cultura si tratta. Di cui siamo responsabili non solo per il presente ma anche per il futuro. Ben al di là dei confini locali. Ed eventi come questi che abbiamo ricordato lo confermano».

                                        Franco Cecchini

 

 
 
 
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