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Messaggi del 19/04/2015
Post n°169 pubblicato il 19 Aprile 2015 da cineciclista
L'Heimat è negata, resta il sogno di Riccardo Tavani Se qualcosa nella storia del cinema sarà ricordato e studiato al pari un immenso poema epico, questo sarà il ciclo di Heimat. Ora siamo alla quarta cantica, ma non sappiamo se l’ultraottantenne Edgar Reitz si fermerà qui, o tenterà di mettersi sulla strada di Manuel de Olivera, il grande regista portoghese, morto in questi giorni all’età di 106 anni. Heimat è un termine della lingua tedesca pressoché intraducibile in molte altre lingue, tra cui l’italiano. Potremmo assimilarlo a patria, ma con una connotazione molto più calda, affettiva, intima, ossia casa, luogo dentro il quale si è nati, si è trascorsa l’infanzia. Tutta la saga di Heimat narra della famiglia Simon e di Schabbach, villaggio immaginario dell'Hunsrück (la regione della Germania in cui è nato il regista). La vicenda di questa famiglia, di questo piccolo villaggio agricolo, diventa una storia di tutto l’Occidente, attraversandone le più importanti tappe politiche, sociali, culturali e belliche. Quest’ultimo quarto volume è composto di un unico film, ma della durata di circa quattro ore e mezza. È in bianco e nero e il colore appare solo qua e là ma come chiazze limitate a un singolo oggetto o pianta. Reitz, però, non s’inoltra in avanti nel tempo ma torna indietro, e di molto. Torna quasi a un’origine, al 1842, quando il villaggio di Shabbach era solo una strada di fango, poche case e la bottega da maniscalco e aggiusta carretti, con annessa fucina, di Johann Simon. Ancora una volta Reitz ci fa sentire sulla pelle e dentro lo stomaco la crudezza spietata di tante povere Heimat nel fango e nella prepotenza della storia. Continua a leggere qui su STAMPA CRITICA |
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