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Da dieci anni non mangio pomodori. La storia di Mansour che ha tentato la traversata del Mediterraneo quattordici volte

Post n°346 pubblicato il 27 Febbraio 2017 da djchi
 

 

Non smetteremo di esplorare. E alla fine di tutto il nostro andare ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo per la prima volta
(T. S. Eliot)

 

“Quattordici volte. Ho provato quattordici volte ad attraversare il Mediterraneo”.  Così racconta Mansour guardandomi dritto negli occhi. Pensavo di non aver capito bene, mi sembrava quasi impossibile che una persona potesse tentare un viaggio di quel tipo per così tante volte. “Hai capito bene invece, Chiara, quattordici volte”, mi precisa con un sorriso amaro.

Sono confusa, allibita, impressionata. “Ho visto e vissuto tutto: la fame, il freddo, la solitudine; gli spari della polizia, la prigione, la morte” continua Mansour.

“A farmi partire è stata una conoscente, amica di mia madre. Mi hanno scelto. Sì, mi hanno letteralmente scelto tra tutti i miei fratelli e credo che l’abbiano fatto sapendo che sono una persona sempre pronta ad aiutare. Eppure io non volevo partire. In Senegal lavoravo, ma il mio stipendio era poco più di 150 euro al mese. Avevo calcolato che mi sarebbero serviti poco più di mille euro per avviare una piccola attività. Ho provato a chiederli in prestino ma né amici, né parenti me li hanno voluti dare. Me ne hanno dati però molti di più per partire” racconta Mansour.

Lo osservo, è un giovane uomo, alto e imponente. È vestito bene e in lui tutta quell’italianità che ritrovo in tanti migranti senegalesi che ritornano in Senegal. La migrazione cambia, questo è certo. E, soprattutto, coscientizza le persone.

“Raccontami del viaggio” gli chiedo diretta.

“Sono partito con un visto turistico per la Turchia. Ad aspettarmi, un senegalese. Devi sapere Chiara che in questi tragitti, c’è sempre una persona che fa da tramite con gli scafisti e sono sempre connazionali. Se sei senegalese, troverai un senegalese; se sei gambiano, un gambiano e così via.

Dopo appena un giorno dal mio arrivo questo intermediario senegalese mi ha chiesto soldi. Avevo con me cinquecento euro ma mi ha detto che non bastavano. Ho chiamato allora in Senegal. Un parente ha venduto la macchina e in meno di due giorni mi hanno mandato i soldi.

Gli ho dato allora la somma e lui mi ha indicato l’ora e il luogo della partenza. Dovevamo attraversare il mare in direzione della Grecia.

Al tramonto io ed altri migranti siamo stati caricati in un camioncino. Il tragitto è stato breve, la polizia ci ha intercettato subito, alcuni sono riusciti a scappare a piedi attraverso i campi. Io ricordo solo che non avevo praticamente nulla con me, solo un piccolo borsello e qualche indumento. Ho corso pure io ma sono stato preso”.

“Come hai vissuto il carcere?” gli chiedo.

“Non posso raccontarti tutto, stai mangiando. Ti dico solo che le condizioni erano davvero difficili. Troppe persone in spazi angusti e un’unica uscita al giorno per andare in bagno. Uscivamo a gruppi di quattro, solo ed unicamente per pisciare” si ferma un attimo e mi guarda mangiare un panino con delle verdure. Ride “sai Chiara, da quel giorno io non ho più mangiato pomodori. Ogni giorno ci davano da mangiare una sola volta ed era sempre la stessa cosa: un piccolo panino e qualche pomodoro a parte”.

“Raccontami delle quattordici volte” incalzo.

“Una volta uscito dal carcere, sempre tramite lo stesso intermediario senegalese, ho tentato la traversata più volte. A guidare le imbarcazioni erano sempre migranti che venivano scelti tra quelli del gruppo, di preferenza chi aveva già avuto esperienza con la navigazione in mare e se non c’era, sceglievano a caso e gli spiegavano al momento in maniera grossolana alcuni rudimenti della navigazione, facevano salire tutti sulla barca e la facevano partire. Nessuno dei trafficanti voleva guidare l'imbarcazione per paura di essere preso. Ci hanno intercettato quasi sempre. Al quattordicesimo tentativo la barca si è fermata non lontano dalle coste greche. Non ci ho pensato un attimo, mi sono buttato, nonostante il freddo e nonostante la paura. Per fortuna sapevo nuotare”

“Hai mai avuto voglia di tornare?” gli chiedo.

“No. Mai. Dovevo arrivare in Europa. Ero stato scelto e non potevo fallire. Troppe persone dipendevano da me” risponde sicuro.

“E poi com’è andata?” chiedo curiosa.

“In Grecia mi sono appoggiato a reti di senegalesi, ci sono stato qualche tempo ma non mi piaceva. Sono riuscito poi a partire per l’Italia e lì, grazie alla mia statura e alla mia corpulenza ho trovato quasi subito un lavoro presso un’agenzia di sicurezza”. Mansour tace improvvisamente e quel suo sguardo forte e fiero cede improvvisamente. Abbassa gli occhi e mi dice: “Sai Chiara, io ho il dovere di parlare, di raccontare la mia storia. Le persone devono conoscere il vero volto della migrazione. Qui in Senegal pensano che io ce l’abbia fatta, vivo in Italia da anni, ho un lavoro e un buono stipendio. Ma se dico che non ho soldi nel mio conto in banca non mi credono. Quanti giovani sarebbero disposti ai sacrifici che ho fatto e che faccio quotidianamente? Ad alzarsi all’alba e a tornare la notte per un costo della vita elevato che ti permette davvero poco in termine di risparmio? I tempi in cui i senegalesi vivevano stipati in una stanza per non spendere sono finiti, oggi ognuno ha il suo appartamento e servono soldi. E poi, al di là del lato economico, quei duecento euro che mando ogni mese ai miei figli non colmeranno mai il vuoto delle mie assenze.

La migrazione mi ha insegnato tanto, se non fossi partito non avrei mai preso coscienza del valore che il mio paese ha e delle possibilità che realmente ci sono, ma mi ha tolto pure tanto. Mi ha tolto il sorriso, mi ha fatto perdere mia moglie, che stanca di aspettarmi ha chiesto il divorzio e mi ha tolto il tempo, quel tempo che nessuno mi ridarà mai più indietro e che avrei potuto passare con la mia famiglia.

I giovani devono saperlo” mi dice Mansour. Io ascolto. Le sue parole fanno riflettere pure me perché conosco quel dolore legato agli affetti, lontani.

“Adesso il mio solo obiettivo è il ritorno. Voglio tornare a casa e aprire quell’attività che già anni fa volevo avviare “ sospira Mansour e il suo sospiro è triste, quasi sarcastico.

"Poco più di mille euro. Mi sarebbero bastati, Chiara, e pensare che ne hanno sborsati molti di più per farmi partire".

 

                          

 

 

 
 
 
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