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Messaggi del 22/12/2010

Il marketing occidentale dell'immagine dell'Africa. Perché le bugie hanno le gambe corte (Ma in Africa ci sono le case?!?)

Post n°195 pubblicato il 22 Dicembre 2010 da djchi
 

“Ché” grido girandomi verso Cherif, detto El Ché, che da qualche giorno mi stà aiutando con le riprese del mio prossimo documentario. “Non ti dà fastidio vedere continuamente europei venire quando vogliono qui in Senegal e non poter fare lo stesso?” gli chiedo riproponendo una domanda che faccio spesso ai miei amici senegalesi. “Tutti quelli a cui dà fastidio è perché non sono coscienti del cambiamento che è in atto' mi risponde e la sua risposta mi stupisce, mi sarei aspettata piuttosto il contrario. “Di anno in anno le persone scelgono il Senegal come destinazione e tutti loro investiranno qui, contribuendo allo sviluppo del paese” aggiunge poi. “Sì. Però non hai risposto alla mia domanda” lo stuzzico ancora. “No, non mi dà fastidio” risponde non troppo convinto. “Secondo te apriranno le frontiere un giorno?” gli chiedo ancora. “No. Non le apriranno mai e quelli che hanno intrapreso la battaglia per la loro apertura, sappiano che è già persa in partenza”, risponde secco riprendendo a filmare. Rimango per un attimo titubante. Io sono una di questi perdenti, secondo la logica del Ché. E' da parecchio che scrivo sull'apertura delle frontiere, cosa che peraltro trovo abbastanza logica in un mondo globalizzato, rivolto al progresso, allo scambio, all'evoluzione positiva. Invece parlare di frontiere, apertura, libertà di movimento resta un argomento tabù e come tutte le cose tabù urta i benpensanti e tutti coloro i quali, piuttosto che pulire a fondo la casa, scopano la polvere sotto il tappeto. Perché la gente trova normale, per esempio, che gli italiani possano viaggiare come e dove gli pare e i senegalesi debbano invece sperare di ottenere un visto, o pagare migliaia di euro per poi essere clandestini, per fare le stesse cose che agli italiani è permesso fare? Qual è la differenza tra un italiano e un senegalese? Qual è la differenza tra me e il Ché? Abbiamo la stessa età, trent'anni, abbiamo entrambi studiato e siamo cresciuti tutti e due nella cultura urbana dell'hip hop. Nessuno dei due ha mezzi, ci arrangiamo, eppure io sono sbarcata in Senegal, senza soldi e senza permesso di soggiorno. Il Ché non ha mai ottenuto un visto per partire. Certo, nella visione occidentale resta pur sempre l'africano e quindi, sempre nella logica padano-leghista quello che dalla giungla vuole arrivare alla modernità. Fa ridere leggere quello che scrivo. Oppure fa piangere, dipende, perché in Italia, come in tanti altri paesi occidentali il pensiero è proprio questo. L'Africa per molti resta il continente che tutti pretendono conoscere senza esserci mai stati, quello del 'sentito dire' o del 'visto in tv', quello delle guerre, della povertà, della miseria, della fame, delle malattie. Il continente madre da cui tutti i figli vogliono scappare, quello della gente nuda a ballare attorno al fuoco, quello delle capanne e dei bambini con la mosca al naso e la pancia gonfia. Venire in Africa? Come risponderebbe mia mamma (che naturalmente non c'è mai stata) 'Ci mancherebbe solo di andare in Africa, da là tutti vogliono scappare e io dovrei andarci'. E più passa il tempo in cui io stò qui in Senegal e più mi rendo conto che il marketing adottato dai paesi occidentali è stato sottile ma efficace. Certo, quale idea migliore di bombardare le persone di un'unica e sola immagine per impedire alle persone di venire? E allora vai di documentari su capre, cammelli, capanne e reggipisello, mosche, foreste, leoni e baobab. E ancora occidentali magnanimi che portano vestiti usati e alimenti (spesso scaduti) ai poveri africani senza arte né parte. Lavare le coscienze alle volta aiuta a conciliare il sonno. Ironia a parte, le guerre, la povertà, la miseria, la fame, le malattie sono una parte della realtà africana che è bene conoscere, come è bene conoscere le guerre, la povertà, la miseria, la fame, le malattie che vi sono in Occidente, ma esiste anche un'altra realtà africana che non viene mai mostrata, quella dell'Africa ricca, ingegnosa, creativa, evoluta, moderna. No, di quest'Africa mai una parola, mai un documentario. Silenzio totale. Il complotto è stato architettato alla perfezione. E per decenni allora l'immagine del continente africano è rimasta immobile, invariata, statica. Un motivo più che valido per gli occidentali per non venire e per gli stati occidentali di avere la scusante perfetta per poter imporsi e imporre, decidere, manovrare, succhiare. Colonialismo moderno. Gli africani, imprigionati a casa loro, non dicono nulla, sono piuttosto sorpresi nel dover rispondere negli anni a domande del tipo 'ma da voi esistono gli aeroporti? E ci sono pure le case?'. I turisti occidentali che si avventurano si armano alla Indiana Jones, nell'abbigliamento e nel pensare, pronti ad esplorare una terra, secondo loro, insidiosa e pericolosa, muniti di gel anti batterico e anti malarici spappola fegato. “E se fosse tutto un grande bluff?” chiedo al Ché e continuo “gli stati occidentali, o meglio, chi li governa, conosce benissimo la ricchezza dell'Africa. Sanno benissimo di come si evolve e a che rapidità, nonostante la menomazione dell'impedimento alla libertà di movimento. Prendi i senegalesi e prendi Dakar. E' una città che niente ha da invidiare alle capitali europee. Una città in movimento, moderna, viva, piena di locali, ristoranti, negozi, scuole, ospedali, case lussuose. Eppure in Italia non è mai passato un documentario sul Senegal ricco, mai un'immagine di una delle tante ville degli Almadies o dei giovani della Dakar bene, mai un servizio sugli intellettuali, romanzieri, poeti, cineasti, artisti. Nonostante questo qualcosa stà cambiando. I paesi occidentali hanno fatto male i loro calcoli. Nella loro idea di controllo attraverso il marketing di un'immagine negativa dell'Africa, hanno dimenticato il potere dei migranti. Attraverso gli immigrati, sfuggiti come pesci dalla rete dei pescatori, un nuovo messaggio comincia a passare. Gli europei infatti, decidono sempre più numerosi di andare a visitare i paesi di provenienza proprio di questi migranti, spinti da legami amicali o amorosi. Potere del meticciato. E pian piano sempre più europei sbarcano su quel continente che per decenni era stato messo al bando. 'No! Non andate, rischierete di morire!' si diceva. Invece all'improvviso, grazie a quel viaggio con gli amici incontrati in fabbrica o per strada ecco che si svela l'inganno, come quando arrivai a Dakar nel lontano 2001. Ma come? Il Senegal è come l'Italia, forse anche meglio perché qui si investe, si crea, si crede nell'innovazione e nella ricerca. E i senegalesi partono per poi investire, una volta tornati, a differenza dei migranti italiani che, una volta partiti, scappano a gambe levate per rimanere nei paesi stranieri dove decidono di installarsi. Il marketing occidentale cade, pezzo dopo pezzo. Chi arriva in Africa è stupito dalla bellezza di un continete in continua evoluzione. Qui tutto si muove, come un torrente in piena. Da noi è un grande stagno che sa di vecchio e fetido come quelli che siedono sulle poltrone dei nostri governi. I migranti africani in Italia fanno da tramite all'emigrazione dei giovani italiani che, sempre più numerosi, decidono di lasciare il paese per trasferirsi proprio nei paesi di origine degli amici immigrati”. Mi fermo un attimo. Ho parlato troppo e il Ché mi guarda, la telecamera accesa in mano. Mi ha filmato. “Devi metterlo nel documentario” mi dice “tu lo sai e io lo so, sappiamo tutti e due che i governi occidentali non vogliono che i giovani vengano qui perché, una volta venuti, decidono quasi tutti di restare e se tutti venissero qui, l'Occidente andrebbe in rovina”. Sorrido. “E' già così. Io, Vera, Fabio, Riccardo, Roberta, Francesca, Cristina, Corinna, Claire, Mauro, Nicola, Michele siamo solo alcuni dei tanti italiani che hanno capito che il futuro è qui, in Africa” rispondo al Ché. Potere del meticciato. Potere della migrazione. O, più semplicemente, “Perché tutte le bugie hanno le gambe corte” come diceva sempre mio nonno.



 

....portano avanti una politica di isolamento, razzismo e odio. Ecco la risposta.



PS: guardatevi questo video di Nix, giovane rapper senegalese. Nulla da invidiare ai nostri artisti occidentalii e qualche immagine del Senegal moderno, dell'Africa che avanza. Sveglia!



 
 
 

Facciamo le trecce a Cristina D'Avena. Facebook e i divorzi facebookiani

Post n°194 pubblicato il 22 Dicembre 2010 da djchi
 

Ogni tanto mi chiedo, ma chi cazzo me lo fa fare di continuare a scrivere? Per chi, per cosa? 'Devi cambiare il tuo modo di scrittura, il tono che usi', mi dicono. Cambiare? E perché mai, dovrei auto-censurarmi per fare piacere al lettore medio-ignorante che non sa scavare, andare nel profondo. Mai. E allora no, decido di continuare, prendendomi gioco proprio di loro, come Bocca di Rosa con le comari di paese, nella canzone di De André.

Facebook è un pollaio, fatto di polli e galline, specchio lucido di una società attuale, fragile, superficiale, trionfo dell'apparenza. Una società dell'immagine falsa dove tutto appare ma dove tutto è incosistente come l'aria. Un grande fratello dove tutti scrutano dal buco della serratura, foto, video, frasi, spettegolando di profilo in profilo, creando gruppi per insultare, elogiare, sparare cazzate. Facebook è la più grande osteria mondiale, ci si inebria della vita degli altri fino a mescolare realtà e finzione. Le relazioni, quelle vere, saltano perché i facebookiani tradiscono via rete o si improvvisano moderni detective alla ricerca di prove di presunti tradimenti. In tanti finiscono in analisi. Che polverone. Eppure in tutto questo marasma esistono anche momenti di scambio interessanti e iniziative che partono da un gruppo di amici e arrivano a coinvolgere una nazione. Si possono creare rivoluzioni su facebook, come grandi, enormi 'Uomini e Donne'. De Filippi copresa. Stò per sboccare. Ieri leggevo il profilo di un amico e il dibattito lanciato 'Il Fesman fa schifo' e giù tutti a rispondere. Certo, salvo poi che a rispondere sia sempre il solito genere, il genere 'treccia-vestito baye fall-evviva l'Africa-andiamoci tutti in roulotte con i fiori attaccati'. E i commenti? Secondo voi? 'Oh evviva Mamma Africa, che bello, la gente dovrebbe capire quanta forza hanno gli africani, nonostante la povertà'. Ah Biancaneve!!!! E togliti le trecce. Commenti di questo tipo e atteggiamenti da ex sessantottine, che non sanno nemmeno cos'è il '68, visto che guardano Amici e postano link del tipo 'com'è sexy la pelle nera', non fanno che aumentare gli stereotipi già pesanti come fardelli sulle spalle degli africani. Ma chi te l'ha detto che l'Africa è solo povertà? Ma chi te l'ha detto che la gente mangia tutta una volta sola? In Senegal, per esempio, ci sono senegalesi talmente ricchi da pagarci il ristorante tutti i giorni a me e a Miss Treccine al vento per un anno e più. E ci sono ville, piscine, ristoranti, giornalisti, intellettuali, romanzieri. Prima di aprire la bocca e commentare in positivo o innegativo, prendete le vostre meches e la vostra borsa, che immagino sia, stile roots con le pezze colorate e venite a vedere. Cominciate ad osservare e a vivere una realtà, prima di giudicarla perché il giudizio senza la conoscenza crea lo stereotipo, proprio quello stereotipo che altri cercano invano di estirpare dalla mente di gente ottusa come voi. L'Africa non la si conosce per 'osmosi', per 'sentito dire' o perché si è amica/o di un africano o perché abbiamo visto un documentario sulle bindonville keniane o perché abbiamo origini lontane ma non ci siamo mai stati. E basta! Non se ne può più. Facebook è un'invenzione geniale, hanno capito che c'è gente con un carattere davvero poco socievole, come me e alquanto rissoso. Avevano immaginato che le avrei prese a sberle una dopo l'altra, come la matrigna cattiva con Cenerentola. Perché poi sono proprio questo genere di persone che piangono e sparano a zero alla prima storia andata male con un africano. Le prime razziste su piazza. Penso e mi ricordano tanto tutti i senegalesi che incontro e che mi dicono: 'Ah! Com'è bella l'Italia. Lì si che si sta bene!?!' e io: 'Scusa ma ci sei mai stato?', risposta, 'No'. Ma che c....lo so, in sociologia lo insegnano il primo anno, l'essere umano ha bisogno di categorizzare per spiegare il mondo che gli stà attorno, inventando lì dove non ha i mezzi per conoscerlo davvero. E per tornare al mio discorso iniziale, ma chi me lo fa fare? Qui non serve un paroliere, un racconta storie, uno scrittore, qui serve una maestra d'asilo. E se chiamassimo Cristina D'Avena? Magari facciamo le trecce anche a lei.



 

Crisitna, fatti le trecce!
Trecce e uccelli. Abbinamento perfetto.
Kiss Me Licia. Its old school baby!

 
 
 
 
 

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Data di creazione: 02/04/2009
 

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