Creato da: infernox il 24/11/2011
ln tempo di crisi, gli intelligenti cercano soluzioni, gli imbecilli cercano colpevoli.

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I 5stelle raccontati da Mario Sechi

Post n°91 pubblicato il 24 Settembre 2017 da infernox

Sul palco non c'è Fico. E perbacco, sì, proprio non c'è quel Fico sul palco. E non essendoci è più che giusto interrogarsi assai, perché se il Fico non sale sul palco la cosa si fa misteriosa e dunque quel Fico e quel palco devono essere raccontati, impaginati e titolati. Sul palco non c'è Fico e poi Egli non parla e voi capite che quel silenzio è tutto, un grande significato si cela in quel vuoto solo apparente, perché sì, perbacco, sul palco non c'è Fico e la pagina va riempita da quel vuoto cosmico.

Sul palco non c'è Fico. E la lettura dei giornali italiani stamattina pencola tra l'esilarante e il tragico perché sul palco non c'è Fico. Dopo tutto questo giro d'accordi sull'assente, immanente, presente e silente, la domanda: ma scusate, cari, chi è Fico? Classe 1974, ha aperto gli occhi a Napoli, svezzato a Trieste, una laurea in comunicazione, un master in knowledge management e vabbè, svariati lavoretti precari, ufficio stampa, redattore di casa editrice, vai con gli eventi e la ristorazione, poi ecco il call center e infine, grande, luminosa, la scia della stella cometa di Beppe, il MeetUp, funiculì funicolà, la valanga di 228 preferenze alle parlamentarie e sì, perdinci, ecco Montecitorio e la presidenza della Commissione di Vigilanza Rai. Fico è questo, nient'altro.

 

Sul palco non c'è Fico perché non serve. Se uno vale uno, basta uno a rappresentare il prototipo del catapultato grillino. E sul palco Fico non c'è e se ci fosse non cambierebbe niente. Non ha nessuna importanza all'interno della liturgia di Beppe. Sul palco non c'è Fico, amen e avanzi Di Maio con il vestito della prima comunione. Un altro nessuno che forse domani sarà qualcuno. Molto forse.

Il vero tema di questo passaggio nella vita del Movimento 5Stelle ha il nome di Grillo. Beppe deve "liberarsi" dai grillini, era il suo programma fin dall'inizio, dall'idea pazza coltivata con Gianroberto Casaleggio. Lo diceva nei suoi spettacoli Grillo, "un giorno ce ne andremo". Casaleggio se n'è andato prima, cambiando i piani di tutti e prima di tutto dell'amico Beppe. Il Movimento 5Stelle è un non-partito atipico, lasciare ad altri lo scettro non fa parte della liturgia della politica, investire un Di Maio, dargli le chiavi della sala comando e vedere cosa succede quando comincia a manovrare il joystick è operazione che può fare un uomo di spettacolo come Grillo, non Renzi o Berlusconi o altri della scena seriale. Può piacere o meno, può esser preso come uno scherzo, ma la scelta c'è e va ben al di là di tutte le questioni - che esistono, sia chiaro - sulla democrazia, il totalitarismo digitale, il mediocre in sella e via discorrendo. Tutto interessante, ma l'originalità dei Cinque Stelle sta altrove, di partiti con un solo proprietario l'Italia è colma: Renzi ha azzerato la dialettica del Pd, Berlusconi non si è mai nemmeno messo il problema e ci mancherebbe visto che l'invenzione è sua, la sinistra-sinistra non decolla proprio per l'assenza di un "padrone" cioè di una leadership carismatica, perfino gli alfanoidi hanno bisogno di un Alfanetto da esibire in video.

Nell'era della banalizzazione e dell'instant messenger non c'è tempo per intavolare discussioni democratiche, analizzare le questioni, mettere a fuoco i problemi. Parte un tweet sbagliato e ti divorano, ne azzecchi uno e ti osannano, non sei online e semplicemente... non sei. Se i giornali si interrogano pensosamente sul tema "sul palco non c'è Fico", tutto il resto casca tragicomicamente sul materasso, in una grassa risata d'irrealtà, e in fondo dice bene Grillo: "Fico è un romantico, se vuole può salire sul palco". In quei due lampi di fraseggio del Beppe, "romantico" e "se vuole", c'è quel pragmatismo da genovese che è partito da zero, che faceva ridere, ne ha fatti piangere molti in Parlamento e ora a settant'anni vuol continuare a fare ridere.

Chi può dargli torto? La vita è breve, c'è un gran casino là fuori e l'utopia può continuare anche senza di lui o con lui, ma un po' più lontano, con la distanza del santone con la barba, del vecchio padre più matto che saggio eppure di gran lunga più concreto di tutti i suoi adepti. Fico, il romantico, il soggetto sul quale si interrogano senza alcun imbarazzo i giornali in caduta verticale, è meno che pulviscolo in questa storia che di collettivo ha il nome ma in realtà è l'invenzione di una coppia, Beppe e Gianroberto, che ha colto i bagliori della contemporaneità e provato a dare una risposta alla crisi del reale e dell'immaginario italiano. Confusi, incasinati come nessuno, senza classe dirigente, i grillini contengono il caos, la luce e il buio, sono la soluzione chimica di due dottori con il maestrale in testa, i capelli lunghi e arricciolati di Casaleggio, lo sciame di boccoli argentati di Grillo, i Walter Matthau e Jack Lemmon della commedia politica italiana. Non sapranno governare, si dice (e a Roma si vede fin troppo), ma forse non avranno neppure il problema del governo e continueranno a esercitarsi nell'arte dell'utopia, del ruttodromo online senza costrutto, oppure un giorno cominceranno a diventare una forza politica incipriata come Di Maio, la realpolitik ben-vestita senza nient'altro addosso. Non lo sappiamo, alla fine queste cose le decidono forze sovrumane, elevazioni del singolo in altro, ondate di energia irrazionale che si chiamano popolo, massa e soprattutto storia. 

Sul palco non c'è Fico, cribbio. Rimini chiude un sipario su una storia, Luigi Di Maio sul palco ne è se volete il distopico trionfo e nello stesso tempo la certificazione dell'impossibilità di essere impossibili fino all'ultimo. La votazione elettronica, il sistema non operativo, la filosofia internettiana, le connessioni e disconnessioni si esauriscono in uno splash atomico, neutrini formicolanti di non-sense buono per inchiostrare la carta dei giornali, nient'altro. Se Beppe avesse scelto Di Battista, non sarebbe cambiato molto, avremmo lo scooter e il jeans, quella barba da svegliato mai al posto dell'abitino della prima comunione, ma sempre con lo svarione geopolitico e grammaticale incorporato, cioè l'italiano medio che sta su Facebook e commenta cose che non sa, che non guarda la tv ma la osserva con lo stupore di chi ha scoperto gli straordinari colori degli insetti al microscopio e in un soliloquio interiore, mentre la birra gli cola sulla camicia, dice "ah, allora è così" e poi se ne dimentica perché nel frattempo lo zapping lo ha condotto da Quark a MasterChef.

Sul palco non c'è Fico e Dio, ci sarà Claudio Baglioni a condurre Sanremo e siamo sempre a "questo piccolo grande amore" che è del vicino-lontano 1972 e qui si pretende di discutere del contemporaneo in un paese che ha le lancette indietro: torna Berlusconi che in realtà non se n'è mai andato e fa apparire gli altri come quello che sono, terze file della Prima Repubblica; Renzi precipita, ha sfondato il pavimento del partito e si prepara a fare un bagno nella tonnara siciliana, la materia pulviscolare dei partitini consuma il suo Sabba scrivendo e riscrivendo il Rosatellum, i giornali sono un festival dello splatter, il degrado ad alzo zero del voyeurismo editoriale, essì, cribbio, bisogna proprio preoccuparsi perché "sul palco non c'è Fico". Alla fine, in questo spettacolo, è giusto che trionfi lui, Beppe Grillo, quel talento esploso sotto la Lanterna, un creatore-distruttore di visioni e divisioni. Non è il giorno del Di Maio, non è il refuso di Fico né la Vespa del Dibba, la prima è la storia di un principino senza mestiere che forse si farà e un giorno evaporerà, la seconda è la favoletta del più colto barbudo tra gli incolti, la terza è la strofa stonata di un bravo ragazzo avanti-pop in Vespa.  

No, il racconto di questo teatro giallo e stellato è un altro, è quello di un sognatore al quale non si possono fare sconti nella critica ma si deve tributare il saluto riservato a quelli che non hanno avuto paura di provarci, che sono caduti, si sono rialzati e cercano ancora di stupire se stessi, è la storia di Beppe Grillo, genovese dentro e fuori, uno da "ma se ghe penso", il figlio di Piera e Enrico, il tifoso della Sampdoria che prende legnate e vince epici campionati, il rappresentante di commercio, il comico lanciato dal Pippo nazionalpopolare, il visionario sempre e per una stagione di sola andata senza ritorno fulminante politico, è il racconto di un uomo di nero vestito che stamattina faceva il check sound sul palco di Rimini, in versione da blues-man con gli anni elettrificati di una vita spericolata che nella sua voce da ragazzo diventa un testo che fa così: "Ho veduto una luce / e ho sentito una voce / che parlava di pace / con un tono feroce". Ah, perbacco, ma "sul palco non c'è Fico", ma mi faccia il piacere, avrebbe detto Totò. Sul palco c'è Beppe, che vi piaccia  o no, uno che ha fatto una cosa unica, originale, pazza, per ora non del tutto salutare ma necessaria e perfino contemporanea. Può sparire domani, il grande abbaglio, ma questo cocktail ad alta gradazione resta nei libri del barman chiamato storia. Sipario. Applausi. 

 
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