Creato da: diegobaratono il 02/05/2008
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Messaggi del 02/05/2008

 

"Sfingi 2007"

Post n°4 pubblicato il 02 Maggio 2008 da diegobaratono
Foto di diegobaratono

Per provare l’esistenza di una cavità sotto i miei piedi, esisteva un metodo scientifico insuperabile: lasciar cadere una pietra ed ascoltare. Trovata la pietra per l’esperimento, ho eseguito immediatamente il test. L’emozione è stata indicibile: il secondo punto caposaldo, aveva effettivamente una strana risonanza. Esisteva il vuoto sotto di questo! Ho così deciso di ripetere il test nel terzo caposaldo e poi nello spazio centrale dell’areale. Avrei voluto gridare per la soddisfazione: il suono di cinquemila anni fa, oltre che far vibrare la roccia sotto i miei piedi, il medesimo segnale faceva entrare in risonanza anche il mio entusiasmo …  

(fig. 16: “L’esperimento per verificare la discontinuità della roccia sotto uno dei punti capisaldi. Si può ipotizzare l’esistenza di strutture ipogee simili a quelle esistenti nella cosiddetta trincea sul lato Ovest di Chefren?” immagine 027 immagine 028 immagine “IMG 0121 proprietà di Carlo Dellarole”)

Ora però, le domande nascono spontaneamente: il suono del vuoto indica veramente l’esistenza di qualche cosa sotto quella superficie lapidea?  Sotto quella roccia, che cosa esiste che nessuno ha più visto da almeno quattromila anni a questa parte? Si è sicuri che si debba cercare sotto la superficie, quando invece è l’area che ho individuato, inquadrata dai quattro punti capisaldi (questi li ho scoperti ed esistono veramente), ad essere la vera “scoperta”? Si fa strada così un’altra idea. Non contraddice la precedente, ma anzi ne integra la valenza e ne supporta la consistenza: e se quella ritrovata fosse un’area sacra, un “Agorà”, una piazza dove si svolgevano riti misterici legati al culto solare?

(fig. 18: “L’“Ipotesi Agorà” potrebbe non essere molto distante dal vero vedendo questa immagine …”. Immagine 063)  

In questo senso l’“Ipotesi Agorà”, potrebbe trovare la sua corretta contestualizzazione esattamente come l’“Ipotesi Seconda Sfinge”. E’ ben evidente a tutti che esistono più che solidi presupposti per continuare questa ricerca. I risultati, viste le premesse, potrebbero essere clamorosi, come limitarsi, invece, ad essere la semplice individuazione di uno spazio, ancorché sacro, destinato ai riti misterici che il Faraone, o chi per lui, eseguiva quotidianamente.

E’ chiaro che molte delle cose che si sono repertate sul sito non siano state né dette e nemmeno mostrate. I motivi, credo, si possono facilmente intuire: la scoperta si direbbe possedere tutti i crismi dell’eccezionalità. A tempo debito, si potrà dire molto di più. Per il momento, dunque, mi fermo qui. Non si ferma di certo la mia ricerca. E’ evidente che resta da eseguire una mole immensa di lavoro, sempre che mi sia consentito portarlo a termine personalmente. Confido, inoltre, nell’onestà intellettuale della Comunità Scientifica …

In ogni modo, comunque vadano le cose, mi piace pensare che qualsiasi realtà oggettiva esista là sotto, sia rimasta intatta così, per cinquemila anni senza subire alcun danno o ruberia. Potrebbe essere questa la vera scoperta: si è rintracciato il posto più sicuro al mondo …

 
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Operazione "Sfingi 2007"

Post n°3 pubblicato il 02 Maggio 2008 da diegobaratono
Foto di diegobaratono

A parte queste considerazioni, avevo ancora in mente il preoccupante scetticismo di Carlo, e forse, a catena, quello di tutti gli altri. Era chiaro, nondimeno, un fatto. Per far cambiare idea al gruppo, pensavo tra me, almeno i quattro punti “capisaldi” sarebbero dovuti esistere e di conseguenza essere localizzabili facilmente … altrimenti tutto si sarebbe rivelato un clamoroso buco “nella sabbia”. Evidentemente, il ritrovamento dei quattro capisaldi, mi avrebbe consentito in ogni modo d’affermare al mondo, che almeno in parte, la mia teoria, per dir così, “funzionava” correttamente. Da un punto di vista “scientifico” però, questo non mi bastava ancora. Occorreva qualche cosa di più …

 

Alcuni eventi che stavano per accadere non erano, invero, quanto ci si poteva aspettare …

 

Arrancando nella sabbia di el-Giza, arrivammo così sulla zona di ricerca senza incontrare né particolari difficoltà e nemmeno le solite torme di chiassosi turisti. Immancabile la solita guardia su dromedario chiese gentilmente dove eravamo diretti. Samia, la nostra interprete egiziana, rispose qualcosa che ci consentì di proseguire indisturbati. Da quel momento e per le successive tre ore e mezza di permanenza nel sito non s’incontrò più anima viva, se non un beneaugurante scarabeo ed un cane che abbaiava in lontananza. La zona di ricerca è ampiamente fuori rotta rispetto ai tour tradizionali. Si trova in un punto dove non esiste nulla che possa destare la seppur minima attenzione … ad uno sguardo superficiale s’intende … E’ quanto è successo probabilmente da cinquemila anni a questa parte …

 

Ad ogni modo, tirata fuori la mappa che avevo accuratamente preparato, si è iniziata la ricerca del primo punto “caposaldo”. Questo si è localizzato comodamente offrendo buone speranze: almeno uno dei quattro punti sembrava esistere per davvero.

 

(fig. 6: “Il primo punto caposaldo” immagine 048)

 

Con un profondo sospiro di sollievo da parte mia, si è quindi riaperta la caccia per rintracciare il secondo punto “cardine”. La prima sorpresa non tardò però ad arrivare. Intanto che si tentava di localizzare il secondo caposaldo, mi è capitato d’incrociare una pietra molto particolare. Mi accorsi guardandola attentamente, che la sua superficie non era soltanto usurata. I segni che vedevo sembravano dei veri e propri geroglifici.  Uno poteva essere un simbolo per “tempio”. Un altro un simbolo per “divinità”. Un terzo molto usurato poteva sembrare, ma ritengo questa essere soltanto una mia supposizione, il simbolo indicante “mondo sotterraneo”.  Messi insieme, i tre simboli che mi sembrava aver individuato erano alquanto “esplosivi”. Ho considerato che quest’interpretazione, fosse soltanto dovuta al mio entusiasmo, che in realtà la pietra fosse per un qualche recondito motivo, addirittura un falso …

 

E’ curioso pensare, tuttavia, che nessuno prima d’allora l’abbia mai ritrovata … e portata via …

 

(fig. 7: “La pietra con geroglifici rinvenuta nei pressi del secondo punto caposaldo” immagine 003)

 

Girata ed “insabbiata” la pietra per precauzione, si è proceduto con la ricerca.

 

Il secondo “caposaldo” si è rivelato non appena effettuati pochi passi dal punto dell’estemporaneo ritrovamento lapideo. Esisteva, dunque, anche questo. Si era, al momento, al cinquanta per cento di risultati positivi. Sarebbero diventati, da lì a breve un perfetto “en-plein”. Trovati, quindi, nell’ordine il terzo ed il quarto punto “caposaldo”, si è deciso di perimetrare con nastro da cantiere, il parallelogramma che i quattro punti definivano. Detto, fatto.

 

(fig. 8: “Il secondo punto caposaldo” immagine 021)

 

(fig. 9: “Il terzo punto caposaldo” immagine 019)

 

(fig. 10 : “Il quarto punto caposaldo” immagine 022)

 

Durante la semplice operazione, Domenico Succio, il topografo, si rese conto di una cosa curiosa. Le rocce che si mostravano costeggiare il terzo caposaldo, non erano semplici pietre naturali. Era la sua più che ventennale esperienza di geometra a suggerire che quelle rocce regolari, sia per foggia sia per disposizione, potessero essere le parti affioranti di un muro a secco. Osservando con attenzione, convenimmo con lui che le pietre in discorso, quanto meno erano artefatte, intagliate a mano, non naturali insomma. Davanti a queste poi si trovavano pietre biancastre evidentemente squadrate e francamente non conformi al luogo. Sono, invece, congruenti con le stesse rocce che si trovano disseminate ai piedi della piramide di Chefren. Enorme lo stupore che ci sorprese, ma non bastava ancora …

 

(fig. 11: “Le pietre artefatte del muro di contenimento” immagine 008)

 

(fig. 12: “Le pietre bianche squadrate simili a quelle rintracciabili ai piedi di Chefren” immagine 055 e immagine 040)

 

In lontananza, infatti, vedemmo Carlo avanzare verso di noi tenendo in mano qualcosa. Nel momento in cui si avvicinò, ci mostrò un frammento di pietra. La zona di el-Giza è un terreno calcareo alluvionale. Quella che mostrava Carlo, invece, era una pietra di selce. Esistono diverse varietà di selce. Di solito si presentano in noduli o concrezioni di colore bruno-rossastro all’interno dei calcari. La selce era impiegata per la sua durezza nel costruire armi ed utensili, fino all’avvento dei metalli che ne soppiantarono l’uso. Osservandone attentamente la foggia, mi accorsi che quelle selci non erano soltanto … selci. Impugnandole si aveva la netta sensazione di tenere in mano qualche cosa di “ergonomico”. Quelle selci, infatti, erano utensili. Erano delle pietre che probabilmente furono impiegate per la lavorazione di qualche cosa che, almeno per il momento, non si vedeva. La zona delle selci, è un’area circoscritta, ben definita. Questo orienta verso due interpretazioni precise. La fascia dove si sono rinvenute le selci era il settore utilizzato dagli scalpellini per lavorare altro materiale lapideo, ovvero era il luogo dove gli utensili fuori uso venivano mano a mano abbandonati, insomma una sorta di discarica dei lapicidi …

 

(fig. 13: “Una delle selci ritrovate: è evidente la sua strutturazione adatta ad essere impugnata facilmente” immagine 011)

 

A ben vedere poi il parallelogramma individuato era l’unico spazio pianeggiante in mezzo ad alcune collinette. Dal caposaldo più occidentale, ossia il terzo punto individuato, a quello più orientale, ossia il primo, si notava un curioso dislivello che si poteva quantificare nell’ordine di circa cinque sei metri.[1] Si evidenziavano infine, distribuite intorno ai quattro capisaldi, delle strane vasche di sabbia le cui orlature sembravano erose in modo naturale.

 

(fig. 14: “Una delle vasche di sabbia perimetrali” immagine 002)

 

Si deve precisare, infatti, che la zona che stavo ispezionando non era costituita da sabbia, bensì da roccia. Anzi. Tecnicamente si trattava di solidissima “roccia in posto”. Il geologo sembrava avere ragione: a prima vista non vi era spazio per alcun tipo di Sfinge. Un altro dettaglio, in ogni caso, mi colpì in particolar modo. Almeno tre dei quattro punti capisaldi, risultavano essere piuttosto rialzati rispetto all’area, depressa, che demarcavano. Era come se la parte centrale compresa fra questi, avesse subito una sorta di subsidenza, un cedimento per dir così, strutturale. La roccia di cui si componeva l’area era evidentemente levigata ed accostata a formare una sorta di pavimentazione … Curioso …

 

(fig. 15: “La parte centrale del parallelogramma è costituita di roccia disposta in modo da formare una sorta di pavimentazione” immagine 064 immagine 012 e immagine 053)

 

Questo era il report della giornata esplorativa. Tutto sommato, si era raccolto dati e si era entrati in possesso d’informazioni più che indicative e tangibili. Restava, in ogni caso, l’amaro in bocca per non aver trovato o per non aver saputo trovare, quelle tracce e quei segni che potevano indicare in modo inequivocabile l’esistenza di qualche cosa in più che non semplice roccia. Più che l’esistenza di pietre squadrate e selci lavorate. Ora, non restava che recuperare il nastro da cantiere. Non sono certo abituato ad allentare la presa: se il mito di Rwty, dei due Leoni guardiani delle porte solari, corrispondeva a verità, esisteva ancora una possibilità. Straordinaria. Gli Egizi Antichi, nel tentativo supremo di rispettare fino in fondo la mitologia elaborata secondo la loro sensibile coscienza religiosa, crearono qualcosa di molto simile ad un tempio ipogeo. Si trattava di una struttura completamente sotterranea, in grado di rispecchiare quanto riportato nei testi. La struttura era funzionale ai riti che il Faraone doveva celebrare per preservare intatta Maat.  Orbene, se questo era vero, la roccia che stavo calpestando, avrebbe dovuto presentare discontinuità strutturale. In altre parole avrei dovuto camminare su di una specie di soletta costituita da roccia: era il tetto dell’ipotetico tempio ipogeo entro cui, sì che avrebbe potuto esserci una seconda Sfinge …

 



[1] L’estensione territoriale soggetta alle ricerche si colloca in un settore più elevato rispetto al piano dove giacciono sia le Piramidi sia la Sfinge. Questo conferisce ad el-Giza una morfologia strutturale molto esclusiva, mai considerata fino ad oggi.

 
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Operazione"Sfingi 2007"

Post n°2 pubblicato il 02 Maggio 2008 da diegobaratono
Foto di diegobaratono

Il tutto si condensava, infine, quasi a sorpresa, intorno a quella peculiare, euritmica paleogeometria esagrammatica dalle caratteristiche uniche, che avevo appena individuato e ricostruito, e sulla quale pareva plasmarsi tutto il plateau di el–Giza … e non soltanto questo …[1]

 

(fig 2: “La ricostruzione della paleogeometria sacra utilizzata dagli Egizi Antichi per realizzare le loro straordinarie opere. E’ parte integrante ed imprescindibile del pensiero religioso della civiltà egizia.” immagine “RA”)

 

(fig.3: “Il bastone Uas, è lo strumento sacro utilizzato per tracciare la Geometria egizia” immagine “Uas”)

 

              - Un dettaglio da prendere in seria considerazione -

 

Era tutto così eccessivo, così contrastante. Era quasi l’immagine speculare della terra che aveva formulato e custodito il codice genetico di un impianto intellettuale forse unico nel suo genere … Luci ed ombre. Caos ed ordine. Isfet e Maat. In ogni caso, il contesto di riferimento così configurato e riorganizzato era suggestivo per assumere tutto un altro sapore. L’insieme, invero, era tutto fuorché misterioso …

 

Un dettaglio, o meglio, un mito in particolare, ritenevo meritasse d’essere indagato. Si trattava dello speciale, oscuro fascino che sprigionava, e circondava, l’episodio mitologico dedicato ad “Aker”. Aker, nel variegato pantheon egizio, raffigurava una divinità del regno dell’oltretomba. In origine, la divinità in discorso si rappresentava con un doppio corpo di leone contrapposto. Nel tempo queste sue caratteristiche si andarono sviluppando e raffinando. Ad un certo punto assunsero i magnifici e sorprendenti connotati ibridi di leone con testa antropomorfa. Si tratta degli ingredienti caratterizzanti la nota ricetta figurativa che ha dominato e dominerà per chissà quanto tempo ancora el–Giza e la fantasia degli uomini: la Sfinge. Gli attributi principali di questa figura mitologica erano ben definiti. La divinità era la Terra, il terreno, il sottosuolo. Di conseguenza “Aker” concerneva pure tutto il significato spirituale associato alla morte (ed alla rinascita) che ciò comportava per l’uomo. La figura mitologica in discorso, secondo la maggior parte degli studiosi, è d’antichissima origine, forse ancora più arcaica di quella considerata per Geb, la Terra, padre di Osiride …

 

L’immagine di “Aker” è molto particolare. Si scopre variare nel momento in cui gli uomini di pensiero egizi percepiscono come concreta l’idea che il Sole s’immettesse nella Terra al Tramonto, entrando fisicamente nell’Orizzonte Occidentale, ossia ad Ovest. Il Sole, imboccando, per dir così, la “caverna notturna”, il mondo ctonio, ossia Aker appunto, avrebbe provocato il buio sulla superficie della Terra stessa. Dopo aver viaggiato tra i pericoli del territorio sotterraneo, l’astro sarebbe però uscito all’Alba, all’Orizzonte Orientale, perciò ad Est, generando quindi la Luce del nuovo Giorno. In questo senso Aker esprime anche il ciclo della vita. E’ la connessione tra i due mondi, materiale e spirituale, vegliando sia l’anima sia il corpo del defunto nella sua nuova esistenza. La derivazione concettuale immediatamente successiva, delinea Aker come la terra entro cui corre il tunnel della notte. Rappresenterebbe pertanto, anche l’imprescindibile raccordo tra l’Est e l’Ovest, i punti cardinali dove il Sole sorge e tramonta. Tutto questo movimento ciclico si svolgerebbe sotto lo sguardo vigile delle due teste dell’Aker. Appare indiscutibile la connessione con i racconti recuperati dell’Am Duat, dove si descrive il viaggio crepuscolare da Ovest ad Est del Sole, ossia il viaggio dell’astro diurno nel mondo di Osiride. Secondo quanto riportato nella quinta ora notturna della Duat, Aker protegge la caverna di Sokar, stabilendo così indiscutibilmente un solido legame del dio della Terra con la tradizione osiriaca. In origine Aker era rappresentato come una striscia di terra con una testa antropomorfa collocata di profilo ad ogni estremità. Successivamente, la striscia di terreno venne sostituita da corpi leonini uniti nel mezzo e le teste umane sostituite da quelle proprie dei felini. L’immagine così assunse le fattezze dei due leoni seduti dai dorsi contrapposti. Aker assume inoltre i peculiari lineamenti di Sfinge, quando al capo leonino si sostituisce la figura della testa umana. E’ interessante osservare che, in ogni caso, le due metà sono sempre contrapposte.  Una parte, infatti, guarda ad Oriente, il dominio della Luce da dove sorge il Sole. L’altra metà, invece, punta l’Occidente, il regno dell’oscurità dove la nostra stella tramonta, iniziando il suo pericoloso viaggio nei cieli della Duat, l’oltretomba. Nel tempo le due teste teriomorfe divennero i due guardiani delle porte dell’aldilà. Tale idea, sviluppata, portò direttamente i pensatori egizi ad estendere il concetto ai due leoni guardiani. Secondo Brugsh, eminente archeologo, il simbolismo dei due leoni e di Aker in particolare, poteva possedere anche una valenza, un’attribuzione astronomica, vincolata in ogni caso sempre e comunque al sorgere del Sole ed al suo ciclo. Si è detto in precedenza, che la mentalità degli Egizi Antichi era duale. E’ interessante allora osservare, a netta conferma di ciò, che secondo le concezioni religiose della cultura faraonica, le estremità della galleria rappresentate dalla figura di “Aker”, sono sorvegliate ciascuna da un proprio leone guardiano. Ognuno di questi, poi, assume una sua connotazione specifica: Sef (Ieri) e Duau (Oggi) sono i due Akeru che sostengono l’Orizzonte Akhet, come si evince chiaramente dal “Libro per uscire alla Luce”.[2] La funzione di guardiani svolta dagli Akeru è descritta anche nei “Testi delle Piramidi”, legando però questa funzione solo alla figura del Faraone. E’ solo al Faraone, infatti, che gli Akeru apriranno le porte della Terra per consentirgli il passaggio nell’Aldilà. Per tutti gli altri trapassati, gli Akeru saranno un ostacolo da superare. Con ogni probabilità, la caratteristica di guardiani, deriva anche dal fatto che nella mitologia, Aker imprigionò le spire del serpente cosmico Apopis dopo che Iside ne fece a pezzi il corpo. Aker divenne quindi il protettore di Osiride. Rwty i “Due Leoni” era la divinità principale venerata a Leontopolis. Ora, è chiaro credo, qual è il genere di potenziali conclusioni che si possono trarre da quanto sin qui esposto …

 

(fig.4: “L’immagine più nota degli Akeru. Si tratta di Rwty, i “Due Leoni.” immagine “RWTY”)

 

(fig.5: “ancora un’immagine degli Akeru, tratta dalla lapide detta “del sogno”, che si trova ai piedi della Sfinge. La lapide venne eretta da Tutmosi IV, faraone della XVIII dinastia, Nuovo Regno, intorno al XVI sec. a.C. immagine “Sphinx dream’s stele”)

 

           -La spedizione -

 

Dopo nove anni di studi e d’attese estenuanti, vedo finalmente concretizzarsi l’evento tanto atteso. Si tratta del classico giorno fatidico. In base ad una recente foto satellitare di un punto preciso della piana di el-Giza, riesco ad individuare quattro punti che hanno caratteristiche straordinarie. Misurati in scala, definiscono un’area che incredibilmente rispecchia in modo fedele la stessa dimensione e forma dello scasso dove è collocata la Sfinge che si conosce. Il parallelogramma individuato tramite i quattro punti caposaldo, è pressappoco grande quanto un campo di calcio. E’ chiaro, tuttavia, che la sua esistenza, o meglio, che l’esistenza dei quattro punti capisaldi, deve essere dimostrata sul campo. Ragionando però sui fatti mi convinco ancor di più della bontà della mia idea. Da una semplice rappresentazione mentale, coerente finché voluto, ma derivata soltanto secondo pochi episodi mitologici ed alle poche scoperte realizzate, ora mi trovavo invece a contemplare uno spazio fisico realmente esistente nel punto preciso che avevo indicato. L’emozione, insieme alla consapevolezza che, in ogni caso, non si poteva (e non si può) ancora parlare di scoperta, era in ogni caso sicuramente potente. E’ l’intervento, prima che di uno sponsor, di un caro amico ed illuminato mecenate moderno, ( Adalberto Armani sponsor appunto del progetto non si può definire in altro modo), a consentirmi di realizzare quest’impresa. I presupposti, nondimeno, sono critici. Secondo Carlo Dellarole, il geologo, elemento della spedizione e forte sia dell’esperienza professionale sia del fatto che in quei luoghi vi fosse già stato come turista, infatti, i punti individuati sulla carta potrebbero non esistere nella realtà. Del resto, secondo le sue osservazioni non esistevano neanche zone particolarmente adatte ad ospitare un’eventuale seconda Sfinge. Ero preoccupato, chiaramente, ma confidavo anche nel fatto che gli Egizi Antichi, essendo gente pragmatica, avessero mantenuto intatta la peculiarità di non descrivere nulla di quanto non avessero mai potuto osservare nella realtà. Ad ogni modo sabato 26 Maggio 2007, intorno alle 7 e 30 del mattino, quelli che potevano sembrare dieci semplici turisti, erano al Cairo, sulla piana di el-Giza. L’impatto “dal vivo” con le Piramidi, è potentissimo. La sindrome di Stendhal non perdona. Rimaneva intatta, in ogni caso, l’idea che mi ero fatto su queste straordinarie costruzioni: erano (sono) il modo più semplice ed efficace per rappresentare idealmente sul terreno, la goccia d’acqua, non già il raggio di sole.  Esiste la prova che gli Egizi Antichi hanno avuto in mente questo tipo di rappresentazione e non altro. E’ data, in una buona misura, dalla piramide romboidale, a doppia pendenza, esistente a Dashur. Eretta da Snefru su progetto di suo figlio Nofer-maat, in questa prospettiva non rappresenta un errore di calcolo, piuttosto il difficile tentativo di avvicinarsi quanto più possibile alla forma caratteristica della goccia d’acqua. 



[1] E’ doveroso ricordare che non solo ho recuperato questo straordinario sistema paleogeometrico (che risulta parte integrante della coscienza religiosa elaborata dagli Antichi Egizi), ma anche l’importantissimo strumento utilizzato per tracciarla: si tratta del misconosciuto bastone “Uas”. Per ulteriori precisazioni concernenti la paleogeometria in discorso (già questa, in ogni caso, si può considerare una grande scoperta, a prescindere da tutto il resto) e la possibile definizione della piana di el – Giza, si consulti il mio testo precedentemente citato: “Le Abbazie ed il segreto delle Piramidi. L’Esagramma, ovvero le straordinarie Geometrie dell’Acqua”.

[2] Si è già detto e si ribadisce, che questo è il vero “titolo” e così si dovrebbe chiamare anche in base a quanto ho scoperto e di cui si dirà successivamente, di quello che si conosce come il funereo e tristo “Libro dei Morti”.

 
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"Sfingi 2007"

Post n°1 pubblicato il 02 Maggio 2008 da diegobaratono
Foto di diegobaratono

 

 

Tutti i diritti riservati. Divieto di riprodurre ed utilizzare anche parzialmente il materiale fotografico ed il testo se non espressamente autorizzato dall’autore.

 

 

“ARCHEOLOGIA: ALTRA SFINGE A EL GIZA, DICE RICERCATORE TORINESE (ANSA) – TORINO, 8 AGO – Nella piana di El Giza, il sito archeologico dell’antico Egitto, ci sarebbe una seconda Sfinge, speculare a quella che sorge vicino alle piramidi di Chefren, Micerino e Keope. Sarebbe ancora sepolta nella sabbia. A sostenere la singolare tesi è uno studioso autodidatta torinese, Diego Baratono, 37 anni, impiegato statale, e sostenitore di un’altra rivoluzionaria tesi resa nota nel marzo scorso (e contenuta nel libro “Il segreto di Cheope” di Roberto Giacobbo e Riccardo Luna), secondo la quale le tre piramidi sarebbero state costruite seguendo un preciso impianto geometrico … (ANSA) 08-AGO-98 18:07”.

 

Così veniva diramata una notizia che aveva (ed ha) tutto il sapore della follia pura. Ufficialmente si è intorno l’anno 1998. Qualcuno potrebbe pensare che si è trattato, per dir così, del “solito” annus mirabilis.[1] E’ probabile. E’ possibile.

 

In ogni caso, è in questo preciso momento che dai miei studi prende vita in qualche maniera, forse materializzandosi attraverso la condensazione delle caliginose nebbie del tempo, il consistente profilo di una stravagante, quasi imbarazzante, conclusione. Il modello concettuale che ora vedevo chiaramente emergere dalle mie “sudate carte”, era a tal punto eccezionale, imprevisto ed imprevedibile, da apparire quasi assurdo; anche a me stesso. Esisteva un solo modo per sapere se avevo ragione o meno. Consisteva nel compiere un sopralluogo, organizzare una “spedizione” nella straordinaria terra dei Faraoni. Dopo nove anni il disegno si è materializzato …

 

                        - Le condizioni, tanto per incominciare -

 

E’ vero che l’Egitto è per antonomasia la terra dei (presunti) misteri e degli enigmi. E’ pur vero, nondimeno, un altro dato di fatto: la cultura sviluppata dalle intelligenti e sensibili menti delle popolazioni nilotiche, ha solide “rize” nella realtà. In buona sostanza, tutto quanto confezionato dalla cultura egizia e che oggi è diventato per noi “mistero” (soltanto perché non riusciamo più, intenzionalmente o no, a comprenderne il senso, sia chiaro), per le genti nilotiche era, invece, routine, consuetudine. Quest’idea, ovvia e banale, non sempre si è considerata con sufficiente riguardo. La civiltà degli Egizi Antichi, inoltre, e con ogni probabilità già dal momento aurorale della sua comparsa sul proscenio della Storia, in qualche maniera ha costantemente avvertito una robusta, arcana necessità. Si trattava dell’esigenza di registrare ed interpretare in una certa misura, i potenti eventi naturali di cui era impressionata spettatrice. Provare a documentare, cercare d’intendere ed infine, riuscire a risolvere con la ragione aspetti ed eventi fondamentali individuabili nel mondo del reale erano recepiti, con ogni probabilità, quali indicatori d’intense esigenze intellettuali da appagare. In fondo, è molto breve il passo che porta dall’osservare la regolare ciclicità di vitali eventi naturali allo stabilire che tutto ciò si doveva ad una o più divinità benevole. Del resto è molto breve anche il percorso che portava a ritualizzare una certa gestualità od un determinato ingrediente cultuale, al fine d’ingraziarsi questa o quell’espressione della divinità ritenuta più propizia per le proprie esigenze. Con ogni probabilità, era questa la via migliore da seguire per avere l’impressione di governare od almeno giustificare le oscure ed immense forze della Natura. Era difficile da comprendere il mutevole e poliedrico fluire costante del mondo naturale. Si trattava, in ogni caso, dell’ordinato e prezioso cosmo concesso nel “Tep Zepi” dalla magnanima divinità primigenia.[2] Consisteva di uno spazio saturato dal divino e pertanto al divino connaturato. In quanto tale, diventava un dominio da preservare conformemente, per dir così, all’originale senza alcuna alterazione di sorta. Questo avrebbe evitato la trasformazione del Cosmo in “Isfet” nel Caos, mantenendo viceversa “Maat”, il prezioso ordine delle cose stabilito nel “Primo Tempo” dalla divinità. La sensibile ed intelligente civiltà faraonica era da sempre parte attiva di questi spazi ed abitualmente si muoveva in questi confini. Gli orizzonti esplorativi che gli acuti pensatori della cultura nilotica dovevano investigare, ed in qualche misura tentare di comprendere, erano quindi strettamente connessi con l’ambiente naturale che li circondava e consentiva loro d’esistere. E’ risaputo che l’ambiente condiziona il modo di pensare dell’uomo che lo abita. In questo senso, le popolazioni nilotiche maturarono un’indiscutibile mentalità dualistica facilmente rintracciabile in molte credenze: le due rive, le due montagne, i due orizzonti e così via. La Natura, per di più, era avvertita quale sostanziale punto di riferimento per la cultura egizia rendendo inevitabile, quindi, l’integrazione tra Uomo e Natura stessa. Il tentativo d’illustrare e fissare in qualche modo simili orizzonti, passava inoltre attraverso una precisa “koinè” intellettuale, filtrando attraverso medesimi archetipi mentali collettivi, divenendo modelli comprensibili ancora oggi. Il tutto si fondava sull’elaborazione di quei miti e di quei modelli culturali, più o meno complessi, più o meno “esoterici”, che oggi, almeno in una certa misura, siamo riusciti a recuperare e ad intendere. Da tempo gli Egizi Antichi avevano identificato i vettori privilegiati cui poter ricorrere nel tentativo d’assolvere la particolare e complessa funzione di “memoria collettiva”. Da tempo ne avevano sfruttato le potenzialità, amalgamando sapientemente pragmaticità e speculazione, miscelando finemente sentimenti religiosi e realtà quotidiane. Incorporando spettacolari visioni cosmiche ad apparentemente insignificanti paesaggi minuti. Nelle articolate proiezioni mitologiche degli Egizi si contemplava, di conseguenza, dalle vitali stelle di: “… Coloro che danno l’Acqua …”, allo scarabeo stercorario, araldo solare per eccellenza, che muove faticosamente nella sabbia, la sua preziosa sfera contenente la vita, ossia le sue uova.[3]

 

(fig 1: “Coloro che danno l’Acqua … nel bell’Occidente …” sarebbe un’espressione precisa per indicare le tre stelle individuate che, configurate esattamente come la disposizione sul terreno delle Piramidi di el-Giza, compaiono all’orizzonte occidentale nel momento del solstizio estivo del 21 Giugno. E’ in questo momento che il Nilo inizia la sua esondazione portatrice di nuova vita. E’ evidente che per definire la disposizione delle tre Piramidi di el-Giza, altre stelle non possono essere prese in seria considerazione”. immagine “Astrolabio el-Giza”, immagine “el-Giza cerchio” e immagine “IMG 2580 proprietà di Carlo Dellarole” )

 

Si trattava dei diversi e variegati modelli espressivi elaborati, perfezionati e trasmessi di generazione in generazione, di secolo in secolo, di millennio in millennio dalla geniale coscienza speculativa dei raffinati ideologi dell’Antico Egitto.[4] Con una particolarità però. E’ degna di moltissima attenzione: a modo loro, gli Antichi Egizi descrivevano quanto vedevano, e narravano quanto facevano. Nulla di più. Nulla di meno. Semplicemente. Ora, è bene ricordare, che per comprendere i risultati della cultura prodotta dalla civiltà dei Faraoni, non si deve certo far ricorso alle categorie mentali introdotte dai Greci. Anzi …

 

In linea di massima, questi sono, per dir così, i pochi punti fermi ormai compiutamente assodati ed inconfutabili che caratterizzano la cultura nilotica. Tutta la parte della mia esplorazione dedicata all’affascinante mondo dell’Antico Egitto, si è imperniata su questi precisi assunti.[5] Orbene, un aspetto, un portato dell’indagine che avevo appena concluso, tuttavia, m’incuriosiva in maniera particolare. Alcuni indicatori, infatti, si mostravano ancorarsi saldamente ad una bizzarra quanto rigorosa ed euritmica configurazione. La struttura formulare del quadro che via via era andata delineandosi, nella sua apparente semplicità mascherava un impianto ideativo sì armonico e coerente, ma al contempo anche particolarmente complesso: così complesso come solo le cose semplici possono esserlo. La configurazione in discorso, invero, si mostrava precisarsi compiutamente soltanto nel momento in cui collazionavo ed incrociavo certe peculiari tracce documentarie. In queste impronte, non vi era nulla di particolarmente equivoco od esoterico, sia chiaro. Anzi. In fin dei conti, si trattava pur sempre di testimonianze scritte. Realtà materiali. Miti riconosciuti e riconoscibili. Era tutto materiale molto noto insomma. Meglio, consisteva (ovverosia consiste) in documentazione scientificamente certificata. Ad esempio, si trattava del famosissimo testo diffusosi con il titolo, errato in modo clamoroso, de “Il libro dei morti”. Vi era inoltre la straordinaria el–Giza, con tutto il suo contenuto, ossia la Sfinge e le Piramidi. Strutture cultuali dedicatorie, queste, forse mai pienamente comprese nella loro essenza …

 



[1] Per ulteriori informazioni si veda il testo “Il segreto di Cheope”, Giacobbo - Luna, Roma, 1998, pag. 103 e segg.

[2] Tep Zepi è un concetto che si può tradurre con “Primo Tempo”.

[3] E’ proprio osservando lo scarabeo che gli Egizi hanno immaginato come “motore” del Sole (dal quale deriva la vita come dalla sfera di sterco) nel suo percorso diurno, uno scarabeo gigante.

[4] S’intendono qui indistintamente tutte le forme espressive conosciute, che gli Egizi hanno elaborato: dall’arte alla religione all’architettura alla scrittura all’oreficeria etc.

[5] Il testo principale cui si fa riferimento qui, è “Le Abbazie ed il segreto delle Piramidi. L’Esagramma, ovvero le straordinarie Geometrie dell’Acqua”, Diego Baratono, Ecig, Genova, 2004.

 

 
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