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Messaggi del 02/11/2015

 

Dopo Curto un altro grande egittologo italiano ci lascia: addio anche a Sergio Donadoni

Post n°1188 pubblicato il 02 Novembre 2015 da diegobaratono

DA: "cinquantamila.it"


È morto il grande egittologo

Sergio Donadoni

La Stampa, domenica 1novembre 2015

Sergio Donadoni, il più grande 

egittologo italiano, è morto ieri 

a Roma a 101 anni, gli ultimi dei 

quali segnati da un po’ di amarezza per lo sconfortante degrado al quale sono ridotte 

molte cose che amava. Era nato a Palermo 

il 13 ottobre del 1914 da una madre che 

insegnava inglese e da un padre, Eugenio, 

brillante storico della letteratura italiana 

che a 7 anni già gli faceva leggere l’Iliade. 

Avrebbe potuto seguire le orme paterne 

ed eccellere in qualunque settore del 

vasto mondo della cultura. Scelse l’antico 

Egitto perché sua madre un giorno lo 

accompagnò al British Museum di 

Londra,dove per la prima volta osservò 

da vicino le meraviglie di quella favolosa

civiltà, nella quale «tutto sembrava 

costruito per essere eterno». Conseguita

la maturità a 16 anni, aveva vinto 

il concorso per entrare alla Scuola 

Normale di Pisa dove era stato accolto 

da Giovanni Gentile, amico del padre. 

Si era laureato nel 1934 con un altro 

grande egittologo,

Annibale Evaristo 

Breccia, 

direttore dal 1904 del Museo Greco 

Romano di Alessandria d’Egitto. Dopo la 

laurea, due anni di borsa di studio a Parigi, 

i più formativi. 

Era la città di 

Jean-Francois Champollion, 

Auguste 

Mariette e 

Gaston Maspero, 

i tre mostri sacri 

dell’Egittologia, 

ma anche il luogo 

dove negli anni precedenti la guerra

si radunava molta 

intelligenza europea. 

Donadoni divenne amico del fisico 

Bruno Pontecorvo, uno dei ragazzi 

di via Panisperna allievo di Enrico Fermi, 

e del 

filologo Gianfranco 

Contini, uomo di 

sterminate conoscenze. 

Uno degli 

incontri più importanti 

fu quello con Christiane 

Desroches, una grande 

donna conquistata 

all’archeologia dalla scoperta della 

tomba di Tutankhamon da parte 

di HowardCarter: 

fu la prima donna 

responsabile di uno scavo in Egitto e 

durante l’occupazione 

di Parigi fu 

lei a sottrarre ai nazisti i reperti 

egizi del Louvre, portandoli al sicuro 

nelle zone non occupate. 

Quando Donadoni 

tornò in Italia, 

Breccia gli propose di 

sostituirlo al Museo di Alessandria. 

In Egitto,l’amore per i resti di quella 

grande civiltà divenne indissolubile. 

Andava in tram a Giza e da lì un altro 

tram lo portava nella campagna: 

al capolinea, le piramidi si stagliavano 

sullo sfondo, incorruttibili ed eterne. 

Fu lui a cercare per primo di smantellare 

l’immagine funerea dell’antico Egitto, 

sempre associata a tombe e mummie. 

Tutto quello che vedeva intorno a sé 

testimoniava intelligenza, cultura, vita. 

Nel 1960, quando 

Christiane Desroches 

denunciò al mondo che la diga di 

Assuan avrebbe ricoperto di acqua 

i templi della Nubia e che bisognava 

fare qualcosa, Donadoni fu scelto 

come componente della 

commissione istituita dall’Unesco e 

lavorò per salvare i templi di Ellesija 

e di Abu Simbel con Silvio Curto, 

un altro grande egittologo scomparso 

a 96 anni un mese fa. 

Ha scavato ad Antinoe, a Medinet Madi 

nel Fayum e alla tomba di Sheshonq, 

raffinando le tecniche, 

l’organizzazione e il metodo. 

«Era un uomo –ricorda l’archeologo 

Alessandro Roccati, che ha lavorato 

con lui – di grande intelligenza e 

di grande apertura mentale. Sempre 

costruttivo, pronto all’amicizia 

piuttosto che alla rivalità. Per quasi 

un secolo è stato il decano 

degli archeologi, non solo in Italia, 

ma in tutta Europa». Sua moglie, 

Anna Maria Roveri Donadoni, 

è stata dal 1984 al 2004

sovrintendente del Museo Egizio 

di Torino, ma lui non ha mai voluto 

legarsi a una città particolare. 

Un anno fa, al compimento dei 

100 anni, aveva raccontato in 

un’intervista del suo recente 

ritorno in Egitto e della ragione 

per la quale preferiva vivere 

di ricordi: «Ho visto solo desolazione. 

Lo dico con il cuore spezzato: 

che epoca èmai la nostra?».

 

Vittorio Sabadin

 
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