Creato da Pitagora_Stonato il 12/07/2010

EREMO MISANTROPO

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« Io dico che urge un altr...In difesa della cinofagia »

Se niente importa. Perché mangiamo animali - Jonathan Safran Foer (non per tutti)

Post n°848 pubblicato il 30 Luglio 2014 da Pitagora_Stonato
 

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« Non eravamo ricchi, ma non ci mancava niente. Il giovedì si cuoceva il pane e la challà e i panini, e bastavano per tutta la settimana. Il venerdì si facevano le frittelle. Lo shabbat mangiavamo sempre pollo e pasta in brodo. Andavamo dal macellaio a chiedere un po' di grasso in più. I pezzi più grassi erano i pezzi migliori. Non era come adesso. Non avevamo il frigorifero, ma avevamo latte e formaggio. Non avevamo tutte le verdure, ma ne avevamo abbastanza. Le cose che hai qui e che dai per scontate... Ma eravamo felici. Non conoscevamo di meglio. E anche noi davamo per scontato quello che avevamo.

«Poi cambiò tutto. Durante la guerra ci fu l'inferno in terra e io non avevo niente. Avevo lasciato la mia famiglia, sai. Scappavo sempre, giorno e notte, perché i tedeschi mi stavano alle calcagna. Se ti fermavi eri morto. Il cibo non bastava mai. Mi ammalavo sempre di più a forza di non mangiare. Non solo ero pelle e ossa. Avevo piaghe in tutto il corpo. Facevo fatica a muovermi. Non era un granché mangiare dai bidoni della spazzatura. Mangiavo quello che gli altri non erano disposti a mangiare. Se ti adattavi, potevi sopravvivere. Io prendevo tutto quello che riuscivo a trovare. Mangiavo cose che non ti direi mai.

« Anche nei periodi peggiori c'erano persone buone. Uno mi insegnò come legare il fondo dei pantaloni per imbottirmi le gambe con le patate che riuscivo a rubare. Camminavo per chilometri e chilometri in quel modo, perché non sapevi mai quando avresti avuto di nuovo fortuna. Uno mi diede un po' di riso, una volta, e io camminai due giorni per andare a un mercato e lo barattai con del sapone, e poi andai a un altro mercato e barattai il sapone con dei fagioli. Dovevi avere fortuna e intuizione.

«Il peggio arrivò verso la fine. Moltissime persone morirono proprio alla fine, e io non sapevo se avrei resistito un altro giorno. Un contadino, un russo, Dio lo benedica, vide in che stato ero, entrò in casa e ne uscì con un pezzo di carne per me. »

«Ti salvò la vita. »

« Non lo mangiai.

« Non lo mangiasti?»

« Era maiale. Non ero disposta a mangiare maiale. » « Perché? »

« Che vuol dire perché? »

« Come? Perché non era kosher? »

«Certo.»

« Ma neppure per salvarti la vita? »

« Se niente importa, non c'è niente da salvare. »

 

***

Un piccolo trucco da astronomo della domenica: se hai difficoltà a vedere qualcosa, discosta un po' lo sguardo. Le parti dell'occhio più sensibili alla luce (quelle di cui ci serviamo per vedere gli oggetti in penombra) sono alla periferia della regione che usiamo normalmente per mettere a fuoco.

 

***

Il cibo non è tanto un simbolo di libertà, quanto un prerequisito per la libertà

 

***

 

A parte i cambiamenti materiali diretti implicati dalla decisione di dissociarsi dal sistema agricolo industriale, mangiare con una tale intenzionalità esplicita sarebbe in sé una forza dal potenziale enorme. Che mondo creeremmo se tre volte al giorno la nostra compassione e la nostra razionalità intervenissero mentre ci sediamo a tavola, se avessimo l'immaginazione morale e la volontà pratica di cambiare il nostro atto di consumo più essenziale? Tolstoj, com'è noto, sosteneva che c'è un legame fra l'esistenza dei mattatoi e dei campi di battaglia. D'accordo, non combattiamo guerre perché mangiamo carne, e alcune guerre devono essere combattute, senza considerare che Hitler era vegetariano  Ma la compassione è un muscolo che si rafforza con l'esercizio, e allenarsi regolarmente a preferire la gentilezza alla crudeltà ci cambierebbe.

Può sembrare ingenuo affermare che scegliere se ordinare un medaglione di pollo o un hamburger vegetariano è una decisione importante. D'altra parte, sarebbe di certo suonato incredibile se negli anni Cinquanta ti avessero detto che sederti in un posto o in un altro al ristorante o sull'autobus avrebbe potuto cominciare a sradicare il razzismo. Sarebbe suonato altrettanto incredibile se, all'inizio degli anni Settanta, prima delle campagne di César Chàvez per i diritti dei braccianti agricoli, ti avessero detto che rifiutandoti di mangiare uva avresti potuto cominciare a liberare quei lavoratori da una condizione di semischiavitù. Potrà sembrare incredibile, ma se ci prendiamo il disturbo di soffermarci sulla cosa, è difficile negare che le nostre scelte quotidiane plasmino il mondo. Quando i coloni americani scatenarono la rivolta del tè a Boston, misero in moto forze così potenti da creare una nazione. Decidere che cosa mangiare (e che cosa rifiutare) è l'atto fondante della produzione e del consumo che determina tutti gli altri. Scegliere vegetale o animale, agroindustria o fattoria a gestione familiare, non cambia il mondo di per sé, ma insegnare a noi stessi, ai nostri figli, alla comunità in cui viviamo e alla nostra nazione a optare per la coscienza invece che per la comodità può farlo. Una delle maggiori opportunità di vivere i nostri valori — o di tradirli — sta nel cibo che mettiamo nei nostri piatti. E vivremo o tradiremo i nostri valori non solo come individui, ma come nazioni.

Il nostro retaggio ci trasmette cose migliori che chiedere prodotti a basso costo. In un'occasione Martin Luther King affermò con passione che « prima o poi arriva l'ora in cui bisogna prendere una posizione che non è né sicura, né conveniente, né popolare », a volte bisogna prendere una decisione semplicemente « perché la coscienza dice che è giusta» Queste parole famose di King, o gli sforzi della United Farro Workers di Chàvez, fanno parte del nostro retaggio. Potremmo essere tentati di dire che questi movimenti di giustizia sociale non hanno niente a che vedere con la zootecnia industriale. L'oppressione degli esseri umani non è il maltrattamento degli animali. King e Chàvez erano mossi dalla preoccupazione per la sofferenza degli uomini, non per la sofferenza dei polli o per il riscaldamento globale. D'accordo. Si può certo sindacare, o ci si può anche indignare, per il raffronto implicito che suscita evocarli in questo contesto, ma vale la pena di ricordare che César Chàvez e la moglie di King, Coretta, erano vegani, così come lo è il figlio di King, Dexter. Noi interpretiamo l'eredità di Chàvez e di King — interpretiamo il patrimonio intellettuale americano — in modo troppo miope se partiamo dal presupposto che non possa pronunciarsi contro l'oppressione dell'allevamento intensivo.

 

 
 
 
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