Creato da Pitagora_Stonato il 12/07/2010

EREMO MISANTROPO

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Orsetta - Lupo

Post n°887 pubblicato il 02 Settembre 2014 da Pitagora_Stonato
 

 

E poi ci siamo addormentati, Orsetta, e a mattino inoltrato continuavi a dormire e solo a me è stato concesso di vedere la ' fine della notte nell'area di sosta, il sole radente che trasformava la capote di Fafner in una cupola arancione, scivolava fra le tendine laterali per infilarsi nel letto insieme a noi, per iniziare a giocare con i tuoi capelli, con il tuo seno, le tue ciglia che sembrano sempre di piú, sembrano sempre molte di piú quando dormi.

Anch'io ho giocato a quest'ultimo gioco prima delle arance e del caffè e dell'acqua fresca, un gioco che viene dall'infanzia e che è nascondersi sotto le lenzuola, scomparire in quelle acque dall'aria spessa e poi, di schiena, piegare a poco a poco le gambe sollevando le lenzuola con le ginocchia per fare una tenda, e dentro la tenda stabilire il regno e giocare li pensando che il mondo sia soltanto quello, che fuori dalla tenda non ci sia niente, che il regno sia solamente il regno e che si sta bene nel regno e non c'è bisogno d'altro. Dormivi dandomi la schiena, ma quando dico che mi davi la schiena sto dicendo molto piú di un semplice modo di dire, perché la tua schiena si bagnava nel luccichio di acquario nato dal sole che si infiltrava nel lenzuolo diventato cupola traslucida, un lenzuolo di fini raggi verdi, gialli, blu e rossi che finivano in un pulviscolo di luce, oro fluttuante in cui il tuo corpo incideva il suo oro piú scuro, bronzo e mercurio, zone d'ombra blu, pozzè e valli.

Mai ti avevo desiderato tanto, mai la luce aveva indugiato tanto sulla tua pelle. Eri Lilith, eri Afrodite, dalla notte dell'area di sosta rinascevi al sole come i mormorii esterni che aumentavano, i motori che ruggivano uno dietro l'altro, il rumore dell'autostrada che aumentava con il flusso riavviato dopo il sonno da ogni area di sosta. Ti ho guardata tanto, sapendo che ti saresti svegliata spaesata e stupita come sempre, che non avresti capito niente, né la tenda segreta né il mio modo di guardarti, e che insieme avremmo iniziato come sempre il nuovo giorno, sorridendoci e « succo d'arancia! », guardandoci e « caffè, caffè, montagne di caffè! »

Julio Cortàzar

 

**

E nell'umido abbandono dello sfinimento, la quiete, la chiocciola con il guscio di peluria, il tuo volto d'adolescente che brilla nella sua ultima fatica, e di nuovo con una mano stanca ma che il riflusso di un'onda successiva ancora impercettibile muove già, mi disegni, i fianchi, i seni, le natiche, e quel disegno, dono di te a me, mi regali ancora una volta l'unico regalo che posso abbandonarti totalmente e fino al lago del sonno che ci cullerà.

Con la voce rotta, piú di una volta, mi hai detto: « Sei cosí giovane». Non ti sbagliavi, ma quale velo ti ha impedito di vedere tutti questi anni che anch'io porto con me, anni di un'età molto maggiore di

- Non parlarmi del tempo!

Ma sí, parliamo, noi che non siamo bambini; siamo, siamo nel tempo come in questo viaggio: dentro. Non vedi che non ci sono piú quattro né tre né due tempi?

Sono precipitata cosí tante volte nell'abisso nero che so camminare nell'oscurità. E tagliare mille volte, diecimila volte di seguito la testa dell'idra, senza illudermi di impedirle di continuare ancora e sempre la sua sinistra crescita: Anni a credere o meno in una nascita fatta per permettere alla morte di prendere il sole, altri per tingerla di colori violenti: ci riconosciamo.

Al momento, gran lupo marino, voghiamo su un'acqua calma, chiara, agitata solo da visioni di rive in cui orrori, torture, e guerre si agitano e ci minacciano. Ma le nostre onde formano solo una vasta ondulazione che respira al ritmo della nostra follia. Luce, e l'oscura passione che ci spingerà fino alla fine: sempre fino alla fine e più in là. Lì dove ti stringo come se nostra pelle dovesse dissolversi. al contatto con l'altra, fare di noi un unico essere invisibile.

La tua voce è chiara, ma quando cala quel velo di tristezza, quando appena iniziato il viaggio dubiti di nuovo della sua fine, come tacere, come parlare? A suo tempo quella tristezza, amor mio, a suo tempo ancora lontano e doppio. Per quanto grande sia l'oscurità, non c'è buio che mi faccia retrocedere.

Tu, e ancora tu.

A forza di nuotare nelle grandi acque nere, si impara a galleggiare nel buio. Boa delle peggiori tenebre. Escluse ormai le vecchiezze umilianti, gli incubi sanitari; e il resto non è per ora e non c'è pii solitudine possibile. Non hai capito che regalo mi ha fatto la vita non facendoti morire un anno fa? Taglio. Partenza. E l'ignoto che si tende per molti anni ancora, se vuoi esplorarlo con i tuoi occhi da bambino.

Dolce confusione quando il suolo trema al sole e vibri contro i contorni del mio corpo.

Non lasceremo l'autostrada a Marsiglia, amore mio, né da nessun'altra parte. Non si torna indietro, se non a spirale.

 

Carol Dunlop

 

Da " Gli autonauti della cosmostrada - ovvero un viaggio atemporale Parigi-Marsiglia" Cortàzar/ Dunlop 

 

 

 

 

 
 
 
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