Romanzo scientifico

Matematica e scienza: un romanzo

Creato da EdMax il 13/03/2011

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Devo comprare un libro, ma...

Post n°182 pubblicato il 03 Giugno 2015 da EdMax

Acquisto di un libro a scatola chiusa, senza conoscerne il contenuto. Perché?

Risposta 1) Oh, conosco il nome dell'autore, che ha scritto altri libri che ho tanto apprezzato. Perché non acquistare pure questo?
Risposta 2) Ma guarda, la copertina di questo libro è così accattivante, perché non me lo regali?
Risposta 3) Il titolo di questo libro mi fa pensare. Che ne dici se mi faccio un regalo?
Risposta 4) La mia casa editrice preferita che pubblica un altro libro? Devo comprarlo!

Domanda 1) Quanti libri hai smesso di leggere dopo alcune pagine?
Domanda 2) Quanti libri hai regalato ad amici, parenti e conoscenti?
Domanda 3) Quanti libri hai buttato nell'immondizia?
Domanda 4) Sai acquistare un buon libro?

Sei fortunato, poiché il problema è di natura statistica: se uno non legge alcun libro e un altro ne legge due, allora ne leggono uno a testa!

Trilussa docet!

 
 
 

Italo Calvino

Post n°183 pubblicato il 10 Giugno 2015 da EdMax

"Tra i miei familiari solo gli studi scientifici erano un onore; mio zio materno era un chimico, professore universitario, sposato a una chimica; anzi ho avuto due zii chimici sposati a due zie chimiche [...] Io sono la pecora nera, l'unico letterato della famiglia" [Italo Calvino]

calvino

 

 
 
 

Un segno!

Post n°184 pubblicato il 17 Giugno 2015 da EdMax

«Ormai avevo perso anche quella confusa nozione del mio segno, e riuscivo a concepire solo frammenti di segni intercambiabili tra loro, cioè segni interni al segno, e ogni cambiamento di questi segni all'interno del segno cambiava il segno in un segno completamente diverso, ossia m'ero bell'e dimenticato di come il mio segno fosse e non c'era verso di farmelo tornare in mente»

(Italo Calvino, Un segno nello spazio)

 

 
 
 

"Tutto stava solo cominciando"

Post n°185 pubblicato il 17 Giugno 2015 da EdMax

«Le radiazioni del Sole stavano bruciando gli involucri dei pianeti, fatti d'elio e idrogeno: in cielo, là dov'erano i nostri zii, vorticavano globi infuocati che si trascinavano dietro lunghe barbe d'oro e turchese, come stella cometa la sua coda. Ritornò il buio. Credevamo ormai che tutto ciò che poteva accadere fosse accaduto, e - Ora sì che è la fine, - disse la nonna, - date retta ai vecchi -. Invece la Terra aveva appena dato uno dei suoi soliti giri. Era la notte. Tutto stava solo cominciando.»

Italo Calvino, Sul far del giorno

 

 
 
 

Lettera a Einstein

Post n°186 pubblicato il 25 Giugno 2015 da EdMax

Brevissima (e infima) biografia di Einstein

La prima cosa che mi viene in mente è la tua linguaccia, che viene stampata perfino sulle magliette, sotto una capigliatura folle che ha creato il mito dello scienziato pazzoide. Dubito che tra Berna, Berlino, Princeton e tutti i luoghi che hai visitato non ci fosse un parrucchiere. Ma tant'è!

Poi mi vengono in mente i fiumi di inchiostro che sono stati versati per far comprendere agli altri le tue idee. Eppure, qualcuno sostiene che le questioni che hai affrontato sono di una semplicità sconcertante...

In quell'anno mirabile avevi ventisei anni, e all'ufficio brevetti di Berna eri impegnato a scomporre e ricomporre le stravaganti idee che stravaganti inventori speravano di brevettare. Quell'anno, era il 1905, avevi dato il meglio di te stesso. I tuoi pensieri scintillavano, come quei granelli di polline che schizzavano qua e là, in un moto browniano che neppure Robert Brown era riuscito a comprendere. Poi quell'articolo sui quanti di luce e sull'effetto fotoelettrico... A proposito, te lo aspettavi il Nobel? Infine la perla rara senza Nobel, l'articolo "Sulla elettrodinamica dei corpi in movimento". Cioè, la teoria della relatività ristretta. Doveva essere un anno speciale...

relaività

Dunque, secondo la tua visione ristretta del 1905, limitata a un caso particolare, il caso "speciale" del moto uniforme, le leggi della fisica erano sempre le stesse e la velocità della luce era una costante di natura. Sapevi già che era necessario estendere la tua visione a tutte le circostanze fisiche. Infatti, nel decennio successivo, tra vicende personali, politiche e filosofiche, cercavi di intrappolare anche il moto accelerato per eccellenza, la gravità. E allora, viaggiavi con la mente, andavi via con i tuoi"gedanken esperiments", che ricordavano tanto Galileo quanto la stiva della sua nave immaginaria. Da un principio di relatività a una teoria della relatività generale. Dal classico al relativistico. Circa tre secoli di paradossi...

Se cavalcavo un raggio di luce, cioè se viaggiavo alla velocità della luce, potevo percorrere lo spaziotempo in uno spaziotempo sufficiente per tornare indietro e prepararmi agli eventi spaziotemporali. E, rallentando il raggio di luce con potenti redini relativistici, potevo incontrare Einstein. In un istante imponderabile, ero lì che discutevo con Albert della sua idea dei quanti di luce, quell'idea che lui stesso si rifiutava di accettare; gli raccontavo dello strascico ottocentesco fatto di cause ed effetti, di riduzionismo e di dualismi; gli chiedevo della sua visione deterministica e della nuova visione probabilistica che il nuovo secolo portava con sé; gli ricordavo gli esperimenti mentali di Galileo nella stiva di quella nave infestata da insetti e pesciolini; ponevo la questione se veramente Dio gioca a dadi o meno; lo portavo, inesorabilmente, sul suo errore più grande, la costante cosmologica, così oscura quanto la materia e l'energia.

Ecco, questo avrei voluto chiedere a Albert Einstein.

 
 
 

Mauk...

Post n°188 pubblicato il 07 Luglio 2015 da EdMax

Breve biografia di Mauk

Nasce nel 1898 a Leewarden, Paesi Bassi.

Da ragazzo prende lezioni di falegnameria e pianoforte, poi frequenta una scuola professionale eccellendo solo in disegno.

Studia presso la Scuola di Architetture e Arti Decorative con Samuel Jesserun de Mesquita (poi deportato e ucciso ad Auschwitz).

Visita l'Italia (Roma, Firenze, San Gimignano, Volterra, Siena, l'Abbruzzo, Ravello) e la Spagna (Madrid, Toledo, Granada, Cordova). Rimane particolarmente colpito dalla "luce" di Ravello.

ravello escher

A Ravello conosce Jetta Umiker, una giovane donna svizzera che diventa sua moglie nel 1924.

Escher e la moglie Jetta

Si trasferisce in Svizzera con la moglie e i due figli, poi a Savona e in Belgio, dove nasce il terzo figlio. Infine in Olanda, dove muore nel 1972.

Il resto di Mauk è storia nota.

Mauk, ovvero Maurits Cornelis Escher.

 
 
 

Rivoluzioni scientifiche?

Post n°189 pubblicato il 19 Febbraio 2016 da EdMax

Rivoluzioni scientifiche?

Thomas Kuhn parla di “scienza normale”, intendendo con questa espressione le attività scientifico-sperimentali che si svolgono all’interno di un “paradigma dominante”. Gli esperimenti e gli strumenti di misura programmati forniscono di solito valori sperimentali attesi dal paradigma. Di tanto in tanto, emergono nuovi esperimenti mentali o nuovi valori sperimentali disattesi dal paradigma. In questo caso si crea una frattura all’interno del paradigma, una “crisi” (cambiamento), che costringe gli scienziati a rivedere il paradigma di riferimento.

Le nuove idee teoriche o i nuovi valori sperimentali possono creare una “rivoluzione scientifica”, cioè una profonda rivisitazione del paradigma dominante o la sostituzione del paradigma con un nuovo paradigma che tenga conto delle nuove idee o dei nuovi valori sperimentali.

 

Secondo alcuni storici, quando si parla di “Rivoluzione scientifica” (con la R maiuscola) si deve far riferimento a una sola Rivoluzione: quella che, a partire dalla metà del Cinquecento, ha ribaltato il sistema geocentrico, passando dal modello aristotelico-tolemaico al modello eliocentrico-copernicano (poi completato da Keplero, Galileo e Newton). In realtà, si dovrebbe parlare di “Rivoluzione astronomica” in quanto, nello stesso anno in cui viene pubblicata l’opera di Copernico, il “De Revolutionibus Orbium Coelestium”, appare anche l’opera “De Humani Corpore Fabrica” di Andrea Vesalio, che apre una Rivoluzione anche nelle scienze mediche. Se Tolomeo “ferisce” Tolomeo, Vesalio “distrugge” Galeno.

 

Con i “Discorsi” di Galileo e i “Principia” di Newton possiamo dire che si completa la Rivoluzione scientifica accesa da Copernico. La domanda è: dopo Newton ci sono state altre rivoluzioni scientifiche? Le teorie del Novecento (le teorie della relatività, la fisica quantistica, il Modello Standard delle particelle elementari) devono essere considerate “rivoluzioni scientifiche” oppure “semplici” propaggini della fisica classica?

 

Se ci atteniamo alla tesi di Kuhn, allora una rivoluzione scientifica deve sovvertire il passato, creare il nuovo, relegare il paradigma precedente nei libri di storia della scienza insieme a Aristarco e Tolomeo, prevedere fenomeni e processi che possano essere confermati dalle misurazioni sperimentali successive, creare una discontinuità così forte da far emergere nuove domande, nuovi strumenti di misura, nuove metodologie.

 

Le due teorie della relatività (ristretta e generale) non possono essere considerate vere rivoluzioni scientifiche poiché non hanno costretto gli scienziati ad abbandonare la fisica classica. Le “forze” di Newton continuano a esercitare tutta la loro “forza”, visto che continuano a essere insegnate nelle scuole di tutto il mondo. È vero che l’equivalenza tra massa ed energia e gli effetti relativistici dovuti alle velocità prossime a quella della luce o alla presenza di corpi massicci inducono effetti che non erano stati previsti in precedenza. Ma alla scala degli esseri umani si tratta di effetti non percepibili e del tutto trascurabili.

 

Allo stesso modo, anche la meccanica quantistica non è una rivoluzione scientifica poiché la sua sfera d’azione non si applica a oggetti più grandi di un atomo.

 

Pertanto, pur ritenendo profondamente affascinanti le teorie del Novecento, ritengo che la rivoluzione scientifica sia una e solo una: quella Rivoluzione!

 

 
 
 

Luce!

Post n°190 pubblicato il 07 Marzo 2016 da EdMax

luce

E' passato molto tempo da quando ti ho visto per la prima volta. Eri nascosta, inerme e impaurita, dietro quella nebbia opaca di particelle che ronzava come miliardi e miliardi di insetti. Ogni tanto, in un istante incommensurabile, sbirciavi fuori dal muro di nebbia, ma nell’istante successivo ti ritraevi dentro quando quel mare di particelle ti inondava con tutta la sua potenza cosmica. Quanto tempo è passato, leggera e incantevole entità, da quando sei rinchiusa nel buio?

Poi, quando cominciò a fare meno caldo, alcune particelle si legarono tra loro per tutta la vita, lasciando un cosmo trasparente e indifferente a tutto. E allora ti ritrovasti fuori dalla gabbia cosmica, dopo eoni di vincoli termici e gravitazionali.

Da quel momento hai viaggiato coprendo immensità di spazi e di tempi. Ti senti libera, come una piccola e sfuggevole entità di radiazioni gamma e raggi X. Poi, quando ti allungherai per fare il salto ultravioletto, allora diventerai visibile anche a noi, che ti abbiamo amato fin dall’alba dei tempi.

Ti abbiamo studiato tanto, ah, non immagini quanto. E ancora oggi, siamo lontani dallo scoprire la tua vera entità. Un’eterea e imponderabile necessità? Un’impalpabile e implacabile realtà? Una forte e violenta scarica di particelle o una spietata e impetuosa carica di onde? Personalmente, preferisco un dolce e soffuso vento di onde radio!

Ciao, mia cara luce!

 
 
 

Il fiero pasto

Post n°191 pubblicato il 30 Marzo 2016 da EdMax

fiero pasto

Chi sono i divoratori di carne umana? La nostra mente immagina uomini neri nella notte, orchi e lupi mannari, «razze mostruose confinate agli angoli del mondo, popoli apocalittici, streghe malefiche e sette ostili». Ma i "cannibali" del Medioevo a volte vestono i panni di «buoni cristiani, cavalieri e re, giovani donzelle, cittadini e ammalati». Oppure «il viandante, l'eremita, il pargolo, il guerriero, tutte potenziali vittime, tutti potenziali carnefici».

Il confine tra realtà, immagine e simbolismo è molto sfumato. Altrettanto difficile è la ricostruzione storica delle "divorazioni", dai primi secoli del cristianesimo alle soglie dell'età moderna, nell'Italia centrosettentrionale e nell'area franco-normanna. D'altronde si tratta di un tabù relegato nel «campo dell'inconscio e del non detto», che sfida la logica e sfugge ai processi cognitivi.

Ma la logica non viene usata da chi cerca di placare i morsi della fame. E i processi cognitivi non servono a nulla quando, ridotti alla fame, si osserva sotto un'altra luce il «vicino», l'«amico», il «parente», l'«infante che vagola da solo in strada». D'altra parte - scrive la Montanari - «gli uomini sono pur fatti di carne, e la carne è commestibile». Se poi l'«ira celeste» ammonisce gli uomini con ogni sorta di devastazione e carestia, ecco che le «immonde pratiche necrofaghe e cannibaliche» diventano una necessità.

Ma se il cannibalismo implica un omicidio, l’antropofago è un assassino? In altre parole, quale impeto spinge il cannibale e quale scopo persegue l’antropofago? La differenza è, potremo dire, di natura fisiologica: la fame. E quando «lo stomaco geme e le viscere si contorcono» che importa dei «legami di parentela», dell’«amore genitoriale», del «sangue del proprio sangue»?

I casi riportati dalla Montanari ne "Il fiero pasto" sono numerosi e inquietanti. Come quello di Maria che, nella Gerusalemme assediata del 70 d.C., disperata per la sorte del figlioletto denutrito, «prende la terribile decisione: […] Maria uccide il piccolo, lo arrostisce e ne divora la metà», riservandone una parte ai saccheggiatori, che non devono essere «né più pavidi di una donna, né più compassionevoli di una madre». Ma perfino i più violenti rivoltosi rinunceranno al “fiero pasto”.

Tra il XIV e il XVI secolo le cronache si concentrano soprattutto nell’Italia centrosettentrionale. Questa volta non è soltanto la fame a dettare l’impulso fagico contro il nemico: è l’«integrità corporea» del nemico che deve essere stuprata e divorata, in un macabro rituale nutrizionale finalizzato allo scempio e all’umiliazione completa del nemico stesso e del suo corpo. È – dice la Montanari – l’«onta alle spoglie dell’antagonista» perpetrata attraverso forme estreme di tortura: la vittima – svestita, umiliata, ustionata, amputata – finisce con l’essere letteralmente squartata, prima dell’esposizione pubblica del corpo e del rogo finale (o dell’abbandono del corpo alle belve). Ma tutte queste forme di violenza «sono previste dagli statuti cittadini». Tutte tranne una: l’antropofagia, «culmine simbolico del rituale infamante».

La vittima viene squartata e divorata a causa dei torti perpetrati in vita; di solito i suppliziati sono aristocratici accusati di crimini politici. Ma l’atto del divorare la vittima diventa spesso un atto contro l’intera comunità: «poco importa che a pagare sia il vero responsabile». A sua volta il carnefice è un «popolo che ama il suo signore», e che pertanto «agisce spontaneamente»; perfino i bambini, nella loro liminalità, partecipano alla carneficina impegnandosi a «trascinare i cadaveri, dissotterrarli, schernirli, bastonarli, svestirli, addentarli, mangiarli e liberarsene gettandoli nei fiumi». Meglio i bambini, dunque, la cui liminale aggressività può essere facilmente manovrata dalle autorità. La trattazione storico-cronologica delle vicende antropofagiche è accompagnata da un evidente aspetto antropologico.

Aspetto antropologico e linguistico che permane ancora oggi in espressioni che riflettono un passato solo apparentemente dimenticato: «se l’è mangiato vivo», «gli hanno divorato il patrimonio», «l’ingiustizia ha cannibalizzato i deboli», «se lo mangia con gli occhi», «sei così bella che ti mangerei»… Ma anche «i vermini della terra crudelissimamente divoreranno i leoni e i lupi; le merle e gli altri uccelli piccoli ingoieranno i ghiotti uccelli rapaci. Ancora gli popolani e giente minuta «uccideranno tutti tiranni e falsi traditori e disporannogli del loro istato e grandezza co’ molti principi e potenti signori», come recita un diario anonimo del Trecento fiorentino.

da Il fiero pasto, di Angelica Montanari

Notevoli le miniature illustrate nel libro, una delle quali ritrae Maria che «prende la terribile decisione», come mostrato dalla copertina del libro.

 
 
 

Paola Mastrocola

Post n°192 pubblicato il 26 Settembre 2017 da EdMax

PAOLA MASTROCOLA, "Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare".

 

Forse il punto chiave del libro di Paola Mastrocola si trova a pag. 46 quando scrive: «Siamo spietati? Sì, siamo spietati. Stiamo esagerando? Forse sì, ci piace da pazzi esagerare. È probabile che per questo scriviamo libri...».
La critica spietata non è rivolta agli studenti, benché «nonstudianti, assenti, chattanti», che al mattino li vedi fuori dalla scuola come «ombre, lemuri, spettrali», che aspettano «l'apertura delle porte immobili come statue», che «se si spostano è di poco, qualche passetto di lato o in tondo. Sono lenti, laterali o circolari. Sonnambuli».
No, la critica non è per i «ciuffi scomposti» e gli «occhi addormentati, i giubbotti striminziti e gli jeans abbassati e lunghissimi, con la stoffa che si accascia esorbitante sul collo delle scarpe. Le mani in tasca, lo zaino in spalla, i cinturoni bassi, le scarpe da ginnastica grosse, gonfie, colorate. A volte dorate».
No, lo ripeto, non sono gli studenti i destinatari di questo, potrei definirlo, "sfogo letterario". La critica non riguarda né gli studenti maschi con le «mutande che sporgono per mezza chiappa dai jeans, scarpa slacciata, golfino anni Settanta, ciuffo secco di gel, piumino, tatuaggio tribale sul polso», né le studentesse con «jeans attillati, scarpina giusta con un po' di tacco, cinturina viola o di lamé, golfino con scollo a V, T-shirt bordata di pizzetto, collanina di perline, fermacapelli con il fiore, orologino Armani, piccolo tatuaggio alla caviglia, minutissimo brillantino alla narice destra, maquillage, contorno-occhi, leggero fard».
Non sono gli studenti i destinatari di questa critica, poiché essi dimostrano «che ci vuole tempo! Un tempo lunghissimo a prepararsi così per venire a scuola. E ci vuole arte e pazienza. E un'infinita attenzione. È un lavoro delicato e complesso: si chiama "prepararsi per andare a scuola". Trovare le cose giuste, indossarle bene, combinare i colori insieme. Nulla lasciato al caso. Tempo, pazienza e abilità».
Forse la critica è sullo zaino, quello sì che merita attenzione. Perché lo zaino è neutrale, è double-face. Zaini per maschi e femmine, è uguale. Zaino stracolmo di libri costosi e, soprattutto, intonsi. Zaini «obesi, spropositati, appesi a una spalla, sbattuti a terra, carichi di scritte, adesivi, mostri, piccoli peluche, peluscini». Il tutto portato pesantemente in spalla. Lo zaino «ingombrante, coperto di scritte a pennarello, troppo pesante, estraneo, alieno». Lo zaino che stona con «le scarpe, i giubbotti, i capelli, i tatuaggi, gli orecchini». Lo zaino portato come una zavorra da chi ha «le mani in tasca, gli occhi cerchiati, tristi, il naso pieno di sonno, le spalle curve, le braccia penzole, inerti». Lo zaino trasportato da chi ha lo «sguardo perduto nel nulla, la bocca semiaperta, i capelli stanchi, le orecchie assenti». Persino «i brufoli, chi li ha, sono scoraggiati, pallidi brufoli muti, apatici. Le mani spente. Le ginocchia amorfe».
Mi dispiace, ma devo ripetermi. Non sono gli studenti i destinatari di questo libro. Coloro che dovrebbero leggere il libro di Mastrocola sono le famiglie, le società, i «pedagogisti e burocrati europei», i fautori delle «competenze, dell'apprendimento visivo-esperenziale, dei nuovi barbari, dell'homo videns e zappiens». Insomma, 270 pagine di riflessioni sullo stato della scuola, le riforme, le famiglie, gli insegnanti. E allora «la scuola non va bene, fa del male a questi ragazzi, appesantisce loro la vita, gliela scolla da quella che sarebbe la loro naturale propensione alla felicità. Mi verrebbe quasi da chiedere scusa, da promettere che non lo faremo più»...

 
 
 
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