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ospite.

Post n°36 pubblicato il 11 Aprile 2010 da Eff.edia

 

All’aggiornarsi del tempo cammino in punta di piedi. Nell’ambizione di far rumore, senza scena, passo felpato che non sempre mi riesce.

Ospite.

Ambizione, resa e… grazia?

Attraversare la vita degli altri significa interferire. Significa diluire la noia con gli sguardi, coi minuti passati a contatto. Significa rubare ore da dedicare a qualcun altro, al sonno o al tedio. Significa appropriarsi di istanti con la vaga ambizione di interferire ma non troppo. Diluire ma non più del tre quarti, come si fa col vino, altrimenti paga l’oste. Rubare ma senza certezza di appropriarsi, considerando l’ipotesi della presenza fisica e del pensiero che divaga, altrove.

 

L’ospite si appropria dello spazio: prende il bicchiere, lo riempie e lo lascia sul tavolo, nel lavandino; si stende sul divano e mette su un po’ di musica; gioca a carte e si diverte a guardare le foto che il padrone di casa commenta col senno di poi.

S’approfitta della vacatio legis del protagonismo per  protrarsi verso il padrone di casa, illudendosi di prevenire situazioni, malintesi, noia. Aiuta in casa, e si sente in colpa se quella volta il giro di aspirapolvere gli viene rubato mentre lava i piatti alle tre del pomeriggio.

 

E sa di essere, l’ospite, nonostante la sua posa naturale, nonostante la spontaneità dettata dal sapere dov’è il soggiorno e dov’è la camera da letto; nonostante l’apparente tranquillità,

un corpo estraneo alla normalità.

 

Altrimenti non sarebbe ospite,

sarebbe membro della famiglia,

e la magia s’interromperebbe.

 

Deviazione al normale scorrere della vita, l’Ospite s’insinua nei pensieri del Padrone di quegli anni, di quei ricordi, di quei nomi, di quelle vie, di quelle fotografie, di quelle sensazioni, di quelle scelte, di quel vivere quieto, o accelerato.

Assieme a tutte le altre emozioni sposta l’ago dell’attenzione da zero a dieci e da dieci a zero.

Si chiama resa. Presa coscienza:

 

L’ospite, disturba, è solo che nessuno se ne accorge.

Si chiama piacere, si chiama entusiasmo.

 

“Prego, nessun disturbo, la chiamo, forse patetica, nostalgia.”

Si chiama grazia.

 

L’Ospite, se sbaglia porta è giustificato. Quella casa non gli appartiene.

 

 
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