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Alessandro Fantini

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Post N° 27

Post n°27 pubblicato il 18 Settembre 2007 da afantini

 

ENDOMETRIA


DRENARE LA VEGLIA


di Alessandro Fantini

 


Endometria non è un romanzo.

Per meglio dire, non si esaurisce entro gli steccati letterari del romanzo.

E nemmeno in quelli di un’avventura.

Perlomeno non di quella che persegue l’unico scopo di inanellare una serie di peripezie che facciano capo ad un intreccio prestabilito e quindi prevedibile.

Tra i tanti semi che hanno fecondato questo “libro” non vi sono infatti le certezze assolute del romanziere che dispone i personaggi e le situazioni come pedine su una scacchiera.

Sono piuttosto i dubbi, gli spasmi, le fluttuazioni dell’anima, gli interrogativi che s’irradiano nella carne a dare forma alla materia di Endometria. Di conseguenza non è detto che tutto ciò debba manifestarsi con l’univoca limpidezza dei fatti razionali.


Ma fino a che punto sarebbe lecito, nella nostra epoca, chiedere alla creazione artistica di ascriversi quegli attributi di chiarezza e di semplicità che sempre più spesso mancano alla nostra vita quotidiana?

Si dovrà riconoscere che, allo stato attuale, la sfida per conservare una prospettiva di vita fondata sul senso e su verità “minime” stia diventando sempre più eroica se non addirittura farsesca, tanto da condizionare e talvolta stravolgere le modalità di fruizione di un’opera d’arte. L’artista che devia dagli assunti della comprensibilità, della trasparenza, della fruibilità, della rassicurante “borghesità”, di quel vago concetto di modernità soggetto a infinite manipolazioni demagogiche, si espone al rischio d’essere tacciato di eresia, di aristocratica superbia, condannato a subire l’accusa di fare ”arte autoriale”, sterile in quanto ritenuta votata ad affermare lo stato di minorità della cultura di Massa.

L’attuale pulsione alla comunicazione che affligge il cosiddetto mondo del multimediale non sarebbe altro che il sintomo di un nuovo “horror vacui”, il mascheramento di uno spavento per una sempre più condivisa assenza di finalità ultime e di risposte assolute. Dietro questa rincorsa all’esasperazione del “vuoto di sostanza”, compiuta attraverso la sboccata esibizione di verità e accessibilità della gran parte dei prodotti propinati dall’industria culturale, sembra celarsi una nuova forma di “Millenarismo Materialista” . Paradossalmente, all’aumento dell’efficienza e della chiarezza dell’informazione, celebrata per la sua capacità di rendere conto in tempo reale di tutto ciò che accade in ogni angolo del pianeta, sembra al contrario corrispondere la diminuzione della capacità di restituire non già la verità degli eventi, quanto della loro qualità, del loro mistero sostanziale.

Di riflesso anche nell’area culturale ci viene sempre più preclusa la possibilità non di “fruire” ma di “godere” di un’opera, sia esso un film, un brano musicale, una piece teatrale, un racconto, soffocata il più delle volte nella bidimensionalità del suo essere concepito in funzione di qualcosa, la vendita, e di qualcuno, l’acquirente.

Mai come in questa realtà in cui a globalizzarsi finora è sempre più la solitudine, alimentata dall’esaltazione di quel falso individualismo che si rigenera su internet e in televisione, l’identità esoterica dell’opera d’arte è chiamata a dover lottare per tutelare la propria vocazione a quel senso del sacro che Rudolf Otto chiama “misteryum fascinans mysterium tremendum ”. Perché è proprio da questa assordante marea di messaggi e di proclami in cui annaspiamo che l’arte dovrebbe affrancarci, per invitarci a riscoprire nell’apparente Assenza di Senso il Senso dell’Assenza.

Assenza che andrebbe intesa come pratica autogena in grado di silenziare il nostro Ego ed il marasma in cui va alla deriva, al fine di ricreare le condizioni di quella “calma bianca”, il momento del vuoto luminoso, in cui risalire all’enigma della nostra Verità Interiore. Solo nella spiazzante concretezza e immediatezza della creazione artistica, spoglia di orpelli morali, pedagogici o propagandistici, può sperimentarsi ancora il brivido mistico che è qualità insita nella natura e nella nostra entità biomorfica.


Si provi a immaginare che, nella ressa di un mercato dove tutti urlano per esortarvi ad avvicinarvi al loro banco di vendita, qualcuno a cui non sappiate di dovere la vostra stessa vita, sussurri debolmente il vostro nome. In questa baraonda non solo sarà impossibile avvertire il suo mormorìo, ma si farà fatica persino a comprendere e a cogliere l’infinita varietà dei volti e dei movimenti che animano il mercato. In una circostanza simile il ricorso ad una salubre sordità diviene quanto meno propizio. Una volta immuni dalla cacofonìa generale, ai vostri occhi le immagini acquisteranno infatti un nitore del tutto nuovo, tornando a impregnarsi del loro ineffabile mistero visivo. Con un po’ di fortuna riuscirete persino a scorgere la persona che vi stava chiamando. Una volta abituati ad orientarvi tra le immagini pure, svestite dei suoni, come accadde al pittore Goya negli ultimi anni della vita, potreste finanche ascoltare nel riflusso del sangue che romba nelle orecchie quell’Antico Sussurro che è contenuto e contiene il regno di Endometria. State infatti ascoltando attraverso il vostro stesso corpo l’eco del primo suono che la vostra mente abbia potuto percepire, la frequenza dalla quale deriva tutta la gamma dei suoni percepibili.

A questo punto avrete compreso come Endometria, pur non cessando di essere un luogo della fantasia, abbia di gran lunga più a che fare con quella geografia del sinfonico ed oscuro silenzio che prelude alla nascita, che alla dimensione del fiabesco o del favoloso in senso stretto.

Le continue metamorfosi a cui i personaggi sono soggetti, non fanno che evidenziare lo stato di amniotica potenzialità di quella “Veglia Uterina” durante la quale il corpo e la mente mutano ed evolvono a velocità vertiginose se paragonate alla lenta progressione dell’esistenza “extra-uterina” . Questa instabilità organica della forma altro non sarebbe che l’espressione plastica della meiosi cellulare, la continua fase di scissione delle cellule che permette la formazione dell’embrione. L’unico stadio della nostra esistenza in cui materia, spirito e coscienza godono di una loro perfetta unità ed armonia. Labili impressioni di questa esistenza “edenica” dell’umanità sopravvivono nel corso della nostra vita terrestre nei sogni, nei fosfeni, le particelle luminose che si formano dietro le palpebre, nelle visioni ipnagogiche, quelle che si annidano nell’intangibile diaframma del dormiveglia.


Questi residui dell’armonia fetale non avrebbero tuttavia la stessa intensità e la stessa forza di verità se non fossero mediati dall’eco dei rumori amniotici.

I ritmi tribali tuttora in uso nei rituali delle comunità pre-industriali, la musica delle sfere della quale parlavano gli antichi, potrebbero in qualche modo essere la reminiscenza del flusso del sangue accordato con il ritmo del battito cardiaco ascoltato mentre abitavamo la liquida alcova dell’utero. Non è dunque per un gioco fonetico fine a se stesso che il musicista Robert Rich definisce lo stato ancestrale dell’essere umano con il termine onomatopeicamente felice di GLURP. Gli uomini sono corpi emersi dall'oceano, pozze di oceano dotate di coscienza, che rappresentano il culmine della qualità organica delle cose, una qualità che Rich battezza appunto "glurp", e che in arte ha corrispondenti nell'architettura di Gaudì e nella pittura di Dalì. Dal canto suo lo scienziato Wilhelm Reich individua nella sessualità umana il retaggio del movimento pulsatile delle meduse, della contrazione del protoplasma.

Gli involucri uterini sono oceani in scala minore. Il liquido amniotico e gli strati che lo rivestono sono tutto ciò che ci separa e ci preserva dall’arcana minaccia della realtà esterna. I personaggi che abitano Endometria, non diversamente da quelli che popolano il pianeta terra, si dibattono nella caotica mancanza di senso dietro la quale si affannano a intravedere i segni e i messaggi di una realtà esterna, una realtà che non necessariamente si colloca al di fuori del loro regno ma che, anzi, può coesistere con quella stessa materia di cui non sanno di essere composti. A tal proposito è quanto mai calzante l’analogia offerta dal racconto “Flatlandia” del reverendo Abbott, in cui l’autore si avvale di puri teoremi matematici e geometrici per profondersi nella descrizione di un mondo a due dimensioni che assiste con orrore all’invasione del suo piano da parte di una corpo a tre dimensioni, una sfera, entità che a sua volta rigetterà con sgomento l’ipotesi dell’esistenza di altri mondi a 4, a 5 o a più dimensioni. Diversamente dal geniale racconto dell’inglese, il romanzo di Endometria non nasce dall’intento di presentare una versione parallela del nostro mondo a sostegno di un messaggio o di una tesi di carattere morale o satirico. Liddove i mondi di Abbott trovano legittimazione letteraria nella ferrea astrazione mentale dell’insegnante e del filosofo, i regni di Endometria rivendicano nella pura ambiguità quel loro fondamento ontologico che al lettore è dato di cogliere solo attraverso un puro atto di irrazionalità. Questo perché la dimensione concettuale fantasy è solo l’avamposto dal quale partire per intraprendere un processo di escavazione in vista del quale il lettore venga equipaggiato con gli strumenti poetici e i supporti visionari che gli permettano di proseguire da solo nel sondaggio del proprio mondo sotterraneo. Da lì in poi l’autore e il congegno artistico dietro il quale agisce dovranno in qualche modo autodissimularsi, estromettersi, invitando il lettore a persuadersi di essere egli stesso il Visionario, egli stesso il Veggente che s’innalza e s’inabissa nella materia magmatica del romanzo.


Va però preso atto che l’attitudine più diffusa tra i lettori e gli appassionati resta ancora oggi quella di cercare nelle vicende di fantasia, nella cosiddetta letteratura d’evasione, intrecci avvincenti e situazioni coerenti con quei contesti fantastici ormai noti da decenni, in quanto rispondenti agli assiomi di un genere consolidato anche grazie alla sua proliferazione sul mercato dell’intrattenimento videoludico. Ancor prima del romanzo o del film fantasy difatti non è insolito che gli amanti del genere mettano le mani sul videogioco o sul gioco di ruolo, spesso trovando più stimolante questi ultimi una volta assimilate le opere ispiratrici. Una delle ambizioni di Endometria è appunto quello di far convergere questi due declinazioni del fantasy in un’unica interfaccia visionaria che stimoli il lettore ad interagire in virtù dell’esercizio del suo spirito interpretativo. Adoro pensare al testo letterario come una calotta in cui siano visibili gli strati di ere geologiche che si siano stratificate nel tempo, ma che non possano essere ordinate in una cronologia assoluta. L’equivalenza tra la fisiologia della Terra ed il corpo umano, già fatta propria da Leonardo, potrebbe facilmente estendersi anche all’ambientazione stessa di Endometria. Le catene montuose possono così essere assimilate alle vertebre, i boschi ai polmoni, i fiumi alle arterie, gli oceani all’inesplorato mondo dell’inconscio. Dimensione, quest’ultima, in cui l’intero romanzo è in qualche modo immerso come in una impercettibile placenta atmosferica. La perenne fluttuazione degli elementi tra stati materiali ed immateriali, è a tal punto costituiva della loro esistenza da abbattere quella cesura formulata da Calvino al momento di distinguere il fantastico in due distinte branchie letterarie.

Qui non ha più ragion d’essere la netta demarcazione tra il Fantasy Visionario, popolato da creature mostruose e spettri, ed il Fantasy Mentale, quello che si manifesta interamente nell’interiorità. In Endometria infatti gli itinerari del fantastico innervano in modo trasversale queste due dimensioni. La compresenza di cellule vive e cellule morte, la memoria preservata dai minerali e dalle ossa, i fantasmi mnemonici che si rivelano solo nella percezione delle cellule, l’amore che serpeggia come una massa di energia cosmica attraverso la materia organica ed inorganica concorrono a rendere superflua questa distinzione: anzi, oserei dire che il fantastico è Visionario proprio perché è Mentale.

Le ellissi narrative, i coni d’ombra, le città morte, i burroni che si aprono su abissi insondabili, i tentacoli di plasma che vorticano nell’infinita vastità del cielo, sono tutti elementi che predispongono a quel lavoro di ricostruzione che nella mente del lettore si esplica sul piano del “sentire”, dell’intuizione, dell’abbandono allucinatorio. Ritengo che una delle proprietà seduttive meno esaminate del fantastico sia la sua filogenetica appartenenza al filone romantico della letteratura odeporica, quella letteratura in cui la scrittura si sposta magicamente dal fantastico dei racconti alla visione, al visionario, come accade nei romanzi di Gautier e nei racconti di Gogol. L’apparato illustrativo del libro diventà così la prima sintomatologia di questa vocazione a fare del particolare immagine, e dell’immagine visione. Segno scritto, grafico e pittorico si fondono in un ininterrotto, fluido geroglifico, un pittogramma in continua mutazione, un fregio fluttuante che spetta al lettore definire nelle sue forme e nel suo svolgimento.

A garanzia di questa vischiosità dell’opera si pone quella condizione poetica dell’Ambiguità Ontologica che risale alle prime fasi della comparsa della vita sul nostro pianeta. In questo senso l’ “Ambiguo” non è più soltanto lo stato provvisorio derivante da una sospensione del giudizio di fronte ad una situazione indecidibile, ma incarna il tessuto medesimo degli eventi e degli elementi che li innescano. Il protoplasma, il comnposto organico che costituisce la parte attiva delle nostre cellule, la prima a comparire sulla terra nell’era del brodo primordiale, conserva in sé la capacità di oscillare continuamente tra lo stato di sol, solubile, allo stato di gel, gelatinoso. Ancora oggi esistono in natura organismi quali i platelminti, noti anche come vermi piatti, che dell’ambiguità pura hanno fatto il loro impianto di vita. Queste creature presentano una simmetria bilaterale che è caratteristica anche dell’uomo: ermafroditi per natura, possono riprodursi anche da soli piegandosi nel mezzo finchè si separano in due metà, ciascuna delle quali rigenera la parte mancante. Lo stesso fenomeno è osservabile nella nostra fase embrionale, allorquando il corpo umano è formato solo da un esile strato di cellule nel quale comincia presto a manifestarsi un ispessimento mediano. E’ intorno a questa linea centrale che si vanno organizzando non solo la struttura fisica del corpo umano ma anche quello del suo sentire. Come un diapason cellulare, nel corso della nostra esistenza questo canale centrale assorbe e riverbera nelle fessure della ragione le modulazioni enigmatiche dell’Antico Surrurro.

Quella di ricucire il gap, lo strappo tra Ordinario ed Immaginario intorno all’asse centrale dell’opera d’arte credo sia l’ambizione non dichiarata e più profonda del progetto di Endometria.

Come un metronomo l’arte ci offre l’opportunità di accordare di nuovo il ritmo del Sentire alle armonie irrazionali del nostro Ego centrale altrimenti inconoscibile.

Così l’opera d’arte si riafferma nella sua estraneità agli ordinamenti della civiltà delle lettere e delle macchine.

Così l’opera d’arte diventa l’ultima esortazione a profetizzare il proprio tempo interiore.

L’ultimo invito a riconquistare la geologia perduta del Mistero.


“Dateci il sogno. Riposo non avremo se non nelle ombre dell’ignoto”.


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Anonimo il 12/01/08 alle 00:14 via WEB
Bene, un blog ricco di cose, tutte tue tra l'altro! Ho ascoltato anche l'intervista e mi complimento per tanta scioltezza, io tremo solo al pensiero. In bocca al lupo per tutto. Maria
 
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