Creato da afantini il 24/02/2006

Alessandro Fantini

Il Blog dell'artista multimedianico Alessandro Fantini

 

 

AB URBE INCOGNITA - Le città della Mente Nascosta

Post n°121 pubblicato il 02 Ottobre 2015 da afantini
 

 

AB URBE INCOGNITA - LE CITTA' DELLA MENTE NASCOSTA


Tra il 2009 e il 2014 ho diretto tre film indipendenti in tre diverse città del mondo, "Nepente" girato a Roma, "EDOnism" a Tokyo e "New York, a venture" a New York, i quali avrebbero in seguito formato quella che ho chiamato la trilogia de "Le Città della Mente Nascosta". Una volta rientrato in Italia ho pensato di presentare la trilogia e il processo creativo direttamente e indirettamente legato alla sua realizzazione in una forma del tutto speciale. Dopo alcune ricerche effettuate a Roma ho trovato nella Galleria "Smac Segni Mutanti", situata a pochi passi dal Museo Macro Testaccio, gli ambienti ideali sia per proiettare i film che per esporre le opere pittoriche, grafiche e audiovisive che ne hanno accompagnato la produzione. Dal momento che la macchina organizzativa e il trasporto delle opere ha i suoi inevitabili costi, il vostro sostegno e la vostra "sponsorizzazione" saranno determinanti nel far sì che questo peculiare progetto non resti tale. Questo non intende essere infatti solo una classica personale o un evento multimediale, ma il tentativo di evocare nel modo più fedele possibile le città invisibili fondate dalle nostre menti e popolate dalle nostre paure, sogni e desideri più ineffabili. Sarà inoltre l'opportunità per sperimentare per la prima volta nella sua interezza "sensoriale" il "regno multimedianico" di AFAN. Trovate maggiori dettagli nella pagina del progetto:

https://www.gofundme.com/aburbeincognita


 

 
 
 

Il Minority report del crowdfunding: ovvero come produrre oggi i produttori di domani

Post n°120 pubblicato il 12 Settembre 2015 da afantini
 

 

La capacità di sfruttare al momento giusto le nuove opportunità offerte dal web sta diventando oggigiorno il vero fattore di discrimine tra la rassegnazione ad un’ordine gattopardesco e l’ambizione ad essere artefici del proprio destino. Un concetto ben chiaro (anche troppo) ad una neolaureata italiana appassionata di produzione cinematografica che, stando ad un articolo on line, invece di dilapidare altro tempo e denaro in stage, corsi, o nella ricerca dell’ “eminenza grigia” in grado d’infilarla nella troupe di una delle tante fictions che impestano i palinsesti nostrani, ha pensato bene di bypassare l’asfittico sistema italico inoltrando richiesta di ammissione ad un corso di film producing tenuto da una prestigiosa università statunitense. Al momento di ricevere l’email che si complimentava con lei per essere finita tra i 24 selezionati, la ragazza, che per mantenersi lavora al bar di un cinema multisala, non si è persa d’animo di fronte agli 87.000 dollari di retta del primo dei tre anni di corso, e ha così deciso di avviare una campagna di crowdfunding on line che in 3 mesi ne ha raccolti 79.000, versati da oscuri benefattori residenti nei quattro continenti (forse patologicamente ansiosi di disfarsi di ingenti somme di denaro regalandole al primo studente bisognoso in cui incappano sul web). I soldi mancanti verranno coperti da una borsa di studio elargita dall’università.


Se da un lato vorrei rallegrarmi con lei per aver portato a segno un obiettivo che senza la rete fino a pochi anni fa sarebbe stato considerato il delirio di un megalomane narcisista, da un altro vengo assalito da alcune perplessità circa la facilità con la quale, postando solo una manciata di foto della sua laurea e del suo precedente soggiorno in America (senza nemmeno uno showreel o il video di un corto), corredato da un testo piuttosto generico in un inglese stentato, sia riuscita a ingraziarsi la munifica solidarietà di 400 filantropi e a farsi finanche invitare da una trasmissione televisiva che le ha fruttato (forse per intervento di un nume divino) altri 15.000 euro donati da spettatori anonimi.
Il caso in questione mette in evidenza alcuni aspetti quantomeno discutibili del fenomeno dei corsi post-laurea e delle raccolte fondi.
La fase di selezione di tali corsi, che dovrebbe essere condotta secondo rigorosi criteri di meritorietà, viene infatti svuotata di credibilità a fronte delle quote d’iscrizione, insostenibili sopratutto da un neolaureato straniero senza occupazione e/o impossibilitato a mantenersi all’estero. Il criterio meritocratico si trova quindi costretto a cedere bruscamente il passo a quello censocratico che va in larga parte a contraddire la certosina selettività dell’università sbandierata a garanzia della sua qualità formativa, in virtù della quale i suoi studenti dovrebbero essere ritenuti più qualificati di quelli selezionati da università meno blasonate, per effettive capacità fuori dal comune e non per finanziamenti fuori dal comune. Pertanto a parità di (presunto) merito prevale ancora una volta la legge dell’appartenenza di classe e del “pecunia non olet”.


Questo paradosso si fa ancora più stridente quando ad essere formati sono registi, sceneggiatori, attori, produttori, professioni che ritengo “atipiche” e per le quali l’unica vera formazione consiste in una massiccia dose d’innata creatività e mirato anticonformismo sperimentati e affinati quotidianamente sul campo. Pensare che basti spendere 300.000 dollari in un corso triennale all’estero per definirsi produttore e aspirare a produrre “un film con Wes Anderson con Bill Murray e Ralph Fiennes” come afferma la neolaureata sponsorizzata on line senza sforzarsi di essere troppo modesta, alla quale però l’università ha assegnato nel frattempo come compito per le vacanze di vedersi decine di film tra i quali “Vertigo, Umberto D. e Lawrence d’Arabia”, significa che, oltre a non avere ancora una cultura cinematografica media (il che a 24 anni potrebbe essere scusabile ma non troppo quando si afferma di voler lavorare nel cinema ad alti livelli) la ragazza è abbacinata dal mito del titolo rilasciato dall’università di fama più che essere animata dalla vocazione (questa sì follemente coraggiosa e quindi autentica) che spinse, ad esempio, un ventenne e inesperto Dino De Laurentis a chiedere in prestito i soldi ad una banca per produrre il suo primo film senza nessuna garanzia.


Ancor più opinabile è inoltre il fatto che l’esposizione mediatica della campagna di raccolta fondi di un’aspirante produttrice che finora non ha prodotto nulla (lacuna preoccupante nell’era di Youtube e delle videoreflex a basso costo), abbia generato una visibilità ingiustificata rispetto a quella quasi inesistente dei tanti filmmakers più o meno giovani che da anni si autoproducono, rischiando e investendo su stessi. Come se io, a 24 anni, invece che dipingere, scrivere e girare corti con la mia videocamera, non avessi fatto altro che lanciare appelli dicendo di aver bisogno dei soldi della gente per frequentare dei corsi oltre oceano che mi avrebbero sicuramente fatto diventare più geniale e famoso di Wharol, Kubrick e Banksy messi assieme. A quell’età Kubrick, che la ragazza cita a sproposito come per darsi un tono, aveva già diretto e autoprodotto due documentari ed un lungometraggio, guadagnandosi da vivere come giocatore di scacchi.
Personalmente, se dovessi aprire una campagna di crowdfunding mi sentirei autorizzato a farlo solo alla luce di un progetto concreto basato su capacità conclamate e realizzabile entro il breve-medio termine, come potrebbe esserlo la produzione di un film o il finanziamento di una mostra. E, a dire il vero, una neolaureata che cerca fondi per diventare produttrice non può non suonare come una leggera “contradictio terminorum”.
Cara futura “film producer”, mi sorprende che tu non abbia pensato solo per un attimo che con tutti i soldi racimolati così facilmente on line e in televisione potresti scommettere davvero su te stessa e produrre da subito dei film (come i miei ad esempio) e aprire una casa di produzione adesso e non tra “vent’anni”, invece che trascorrerne altri tre fantasticando di lavorare con registi americani famosi continuando a snobbare (giustamente ma anche troppo ovviamente) il panorama cinematografico-televisivo italiano ossificato da eterni “runners” (come ingenerosamente definisci quelli che cercano di farsi strada con le proprie forze senza andare oltre confine), nepotismi, affiliazioni meretricie e politico-familistiche che tanto avrebbe bisogno d’essere bonificato da nuove leve estranee a logiche dinastiche?
Tra vent’anni potrebbe non esserci più nemmeno un panorama (e il cinema come lo conosciamo).
Pensaci. Davvero. E tanti auguri!

 
 
 

Nell'alba dell'estuario - anteprima

Alessandro Fantini
NELL'ALBA DELL'ESTUARIO
(Anteprima)


Disponibili gratuitamente da oggi in formato ebook i primi 6 capitoli del nuovo romanzo di Alessandro Fantini, prossimamente in vendita anche in versione paperback nella sua versione integrale:

http://www.lulu.com/shop/alessandro-fantini/nellalba-dellestuario-anteprima/ebook/product-22242362.html

Non è Carnevale ad Alcandia, eppure da tempo nel cielo della città volteggiano strani coriandoli dei quali nessuno sembra conoscere l’origine o gli effetti sulla salute della popolazione, condannata ad un sorte tutt’altro che festosa. Ne è ignara Smirna, la giovane prostituta di Trebilo che ad Alcandia trascorre una vita votata al lusso e alla dissolutezza più estremi dopo essere diventata la favorita dell’illustre professor Avilo, che la manipola per facilitare la sua scalata al potere nella gerarchia dell'università Tamerlani. Ne è inconsapevole Bastiano, che dopo il divorzio e la perdita del lavoro lascia la città per vivere da eremita in una baracca sulle sponde del fiume Granso, nelle cui acque cominciano presto a pullulare cadaveri senza volto. Ne sono all’oscuro Gregorio e Teresa, due periti chimici che, nel tentativo di fermare le emissioni dell’industria di vernici Painteri, vedranno le loro strade separarsi e riunirsi all’insegna di un mistero dalle proporzioni sempre più sovrumane destinato a crescere dentro e oltre la città, rubando spazio a sentimenti e speranze, fino a consumare la nozione stessa di “umanità”. Al culmine di un impietoso crescendo di corruzione e mutazione di corpi e anime, solo un ultimo superstite troverà il modo di seguire la rotta che lo porterà a rivedere il mare nell’alba dell’estuario.


Dopo il corrosivo neorealismo magico di “Piercing d’autunno” la letteratura distopica s’incrocia con l’horror e la science fiction nel nuovo romanzo di Alessandro Fantini, per dare vita, con la storia di una città in balìa del famelico mito della “crescita”, alla grottesca quanto plausibile allegoria di una civiltà contemporanea lanciata a tutta velocità verso la propria apoteosi autocannibalista.
Tra Cronenberg e Ballard, saggio antropologico, romanzo di formazione e satira di costume, una delirante e irriverente rilettura dell’inizio del 21esimo secolo flagellato da guerre finanziarie, disastri ambientali e giochi di potere del neimperialismo industriale.

 
 
 

Alessandro Fantini e Haruki Murakami

Post n°118 pubblicato il 01 Maggio 2015 da afantini
 

 

AFAN Alessandro Fantini e Haruki Murakami Lo scrittore cult giapponese tra Lynch e Bunuel Alessandro Fantini parla del suo rapporto con lo scrittore Haruki Murakami, autore di "Norwegian wood", romanzo scritto nel 1987 tra Mikonos, Roma, Sicilia e Atene, e letto durante un viaggio d'ottobre a Firenze dove la vicenda di iniziazione alla vita adulta del protagonista Toru passa attraverso la morte, carnale e melanconica come quella della michelangiolesca Notte nel monumento funebre di Giuliano di Lorenzo de Medici. http://video.repubblica.it/rubriche/caccialibro/reptv-news-caccialibro-quello-scrittore-giapponese-cosi-carnale-tra-lynch-e-bu-ntildeuel/199478/198527

 

 
 
 

AMLETO' - La favola "steampunk" dell'incomprensione

Post n°117 pubblicato il 13 Aprile 2015 da afantini
 
Foto di afantini

AMLETO' - La favola "steampunk" dell'incomprensione secondo Sepe

In scena al Teatro La Comunità di Roma da giovedì a domenica 19 Aprile



 È un Amleto collodiano e colloidale sospeso tra la grazia diafana di un Marcel Marceau e la metallica melanconia del soldatino di stagno di Andersen, quello che Giancarlo Sepe fa contorcere, strisciare e boccheggiare negli interni brumosi del parigino Hôtel du Nord, dove la celebre famiglia di Elsinore  si trasferisce, trapiantando il tragico viluppo di brame di potere e amore, follie autentiche e simulate, pulsioni incestuose e suicide, in un frenetico limbo coltivato con l’humus filmico di Marcel Carnè nella zolla teatrale di Jean Cocteau.

L’innesto si rivela decisivo e dirompente sin dalla prima lunga afasica “ouverture”, dove il “teatro off” compie la sua metamorfosi in teatro “pop up”, dichiarando al pubblico la sua vocazione di morbosa favola alla “nouvelle vague” grand-guignolesca, nella quale i personaggi germogliano come anaglifi viventi di un gioco olografico dalla scacchiera del palco, presentando il proprio nome sul recto e la propria indole sul verso di insegne da gotico “tableau vivant”. Ben presto ci si ritrova scaraventati in una fantasmagoria di sapore “steampunk” memore dell’“Industrial Symphony” di Lynch, dove i personaggi si animano in stop-motion in una sequenza di Švankmajer, posseduti da un coreografico raptus venato di furore bellico-erotico, su cui domina l’incedere marziale di un Re Amleto titanico e steroideo che varca la caligine d’artiglieria della guerra al ritmo di un videoclip di Tarsem Singh sulle note minacciose della “Danza dei cavalieri” di Prokofiev. E quando, dopo il lungo preludio eidetico intessuto da partiture di gesti e movenze musicate e musicanti, in cui i primi fonemi di Amleto sono vagiti lanciati da una carrozzina,  i personaggi si stabiliscono a Parigi  e cominciano a vocalizzare un pastiche franco-italico pseudo-infantile, l’ Hôtel du Nord si presenta come una convulsa lanterna magica disseminata di cappi, macchinari e confessionali dai chiaroscuri postribolari, nel quale destrutturare e ricodificare continuamente il testo d’origine nella sintassi ipnagogica di un teatro delle bambole “Bunraku”.

L’Hotel si fa condizione dell’essere fuori del Tempo per meglio rappresentare e riverberare quel ritornante Tempo umano della Storia rintoccato dagli equivoci e le incomprensioni generatori di guerre, omicidi e orge di potere. Così le scene si susseguono come stazioni lisergiche di una profana via Crucis tracciata nell’emulsione sonora delle musiche di Ravel, Aznavour, Faurè: gli orrori nazisti al tempo del governo di Vichy si alternano alle evocazioni della presa della Bastiglia, a decadenti baccanali di famiglia allietati dall’entraineuse Ofelia e una lasciva regina Gertrude  reminiscente della Rampling di “Portiere di Notte”, ai puerili battibecchi tra Laerte e Amleto alle incursioni di Rosencrantz e Guildenstern paludati come sicari nazisti di un action movie, all’omicidio del re per mano di Claudio che tramuta il primo in un tragicomico “revenant” velato, e il secondo in una sorta di gangster da film hard boiled.

Di icone dissacranti e dissacrate è disseminato questo fosfenico “itinerarium mentis in ego”, viaggio nella psiche bizzosa e acerba di un Amleto-Peter Pan incapace di staccarsi dal “volto santo” paterno così come dall’eden uterino del ventre materno, riluttante ad entrare nell’età adulta delle decisioni e dei sentimenti anche quando, di fronte al suicido di Ofelia alla quale non è riuscito ad unirsi nemmeno nella morte, suo unico bambinesco cruccio resta quello di stabilire in quale punto del canale Saint-Martin sia morta. Ma è proprio nella spastica agonia anfibia di Ofelia che, come una creatura sirenide impigliata all’amo invisibile degli inferi, si dibatte e rotola nelle vaschette d’acqua poste ai bordi del palco, che si compie quella rottura della quarta parete, imene meta-teatrale squarciato dagli schizzi rivolti al pubblico mesmerizzato dal caleidoscopio di allegorie sceniche stratificate tra finzione, citazione, storia e satira sociale. Collirio epifanico offerto per lubrificare quegli occhi ormai privi di palpebra spalancati di fronte all’ultima immagine di Amleto che, silhouette in una composizione da espressionismo tedesco, procede verso la luce oltretombale dove i suoi “parenti terribili”, burattinesche “figurae” dell’animo umano, lo attendono nell’oblio che avvolge la Storia da cui tutti sono emersi per tornare “a dormire, morire, o forse sognare…”

Alessandro Fantini ha assistito allo spettacolo del 9 Aprile presso il Teatro La Comunità.

Foto di Alessandro Fantini.

 
 
 

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