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L'età dell'innocenza

Post n°182 pubblicato il 23 Luglio 2010 da a17540
 

Un film di Martin Scorsese con Michelle Pfeiffer, Winona Ryder,  Daniel Day-Lewis e Geraldine Chaplin.   Titolo originale The Age of Innocence. Drammatico, durata 120 min. - USA 1993.











Ellen Olenska nella luce: ora nel bianco incandescente che sale da un palcoscenico e che le invade i capelli, ora nell’oro accecante del sole che si specchia in mare. Il giovane Newland Archer la vede come una promessa trasparente, come un al di là della penombra, del grigio della vita. E così sarà ancora trent’anni più tardi, in un giorno chiaro, a Parigi. Martin Scorsese è un autore grande che forse non è mai stato così grande: commosso e controllato, disperato e pacificato. La sua regia è debitrice di questo o di quello? È viscontiana o non lo è? E troppo buona o è troppo cattiva? Lasciamo queste domande compiaciute e vuote a cronisti affetti da miseria critica. Noi invece immergiamoci in L’età dell’innocenza, nella luce della sua speranza e nella penombra della sua disperazione. La scena del film è doppia, in senso forte, divisa tra New York e Londra, tra Washington e Parigi o la Costa Azzurra. Il Nuovo e il Vecchio Mondo si specchiano l’uno nell’altro, si confrontano, si sovrappongono. Le austere, acide, insopportabili atmosfere delle grandi famiglie della costa occidentale dell’Atlantico sono lo stantio che trionfa nel luogo che dovrebbe essere invece dell’innocenza, nella terra che dovrebbe essere invece fuori dal peccato, libera dalla colpa storica della vecchia Europa. E qui però, nella vecchia Europa schiacciata dalla memoria di se stessa, basta una sola pennellata dell’impressionismo che in quegli anni fiorisce in Francia - e a cui si interessano sia Newland che Ellen -, per fare esplodere il Vecchio Mondo, per inondarlo appunto di una nuova luce. Continuamente diviso tra le due sponde dell’oceano Atlantico, è doppio anche Newland: preso ora dentro l’anima fredda e vuota dell’alta società cui senza speranza appartiene e ora teso verso una libertà che non conosce. Nel suo nome - new land, nuova terra - c’è già il suo desiderio impossibile. Quale luogo riuscirà a contenere quel suo desiderio, quel suo amore? Per tutto il film questo luogo è allontanato, schivato, negato. Per Newland e per Ellen è più facile attraversare l’oceano restando sempre prigionieri del Vecchio Mondo che fare un piccolo passo verso la libertà. Scorsese entra con eleganza e leggerezza nella scena doppia del suo film, come se la cosa non lo riguardasse, da spettatore. Come se, appunto. In realtà, quella divisione e quella contraddizione tra vecchio e nuovo, tra ipocrisia e amore, tra formalismo e vita lo riguarda almeno quanto riguarda Newland. Ed è proprio in lui, nel sorriso dolce e “in attesa” del suo personaggio (bravissimo Daniel Day-Lewis), che si mostra il coinvolgimento, forse la disperazione che sta al di sotto dell’eleganza e della leggerezza, e che dà a L’età dell’innocenza la sua commozione profonda. Anche Newland, come Scorsese, passa attraverso il film come se non ne fosse nulla più che spettatore. Ossia: passa attraverso la sua vita come se non avesse il diritto di farla sua. Ma nel grigio dell’ipocrisia penetra la luce di Ellen: intensa, inaspettata, sconveniente (Michelle Pfeiffer è brava e bella come e più del solito). Qui davvero si manifesta un Nuovo Mondo. Basterebbe avere il coraggio della sconvenienza, lasciandosi alle spalle vecchi mari e vecchi porti, vecchie inutilità e vecchi vuoti. Basterebbe avere il coraggio di fare e farsi del male, lacerando attese e ipocrisie. Questo è quel poco, anzi quel tanto che è richiesto a chi voglia attraversare l’oceano, arrivare al di là della penombra, scoprire una nuova terra. E tuttavia il sorriso di Newland è troppo dolce, troppo colmo di compassione, troppo schiacciato dalla memoria del Vecchio Mondo, perché nella sua vita ci sia spazio per un tal coraggio. Gli basterebbe fare un cenno a Ellen immersa nell’oro accecante del sole che si specchia in mare... Gli basterebbe smettere d’essere quel che è... E invece la sua libertà è vinta dalla prevedibilità, per sempre ancorata nell’acqua grigia di vecchi porti. È questa la disperazione che attraversa L’età dell’innocenza, una disperazione immobile, serrata nel Vecchio Mondo. Che sia questa anche la disperazione che rende così intensa, così estrema la poetica di Scorsese, nipote d’emigranti che nel Nuovo Mondo sente ancora il peccato, la colpa, la “sconvenienza” del Vecchio? Diviso tra chiarore e penombra, tuttavia c’è per Scorsese un luogo immaginario del desiderio, una nuova terra della libertà. Se non ci fossero, il suo film disperato non sarebbe - come invece è - pacificato. E qui siamo di nuovo alla luce, al riflesso improvviso di un vetro che, trent’anni dopo, illumina Newland. Dietro quel vetro c’è Ellen, ancora. E ancora Newland si allontana da lei, ora però portandosi quella sua luce negli occhi. Cos’è il grande cinema, cosa sono il suo desiderio e la sua libertà, se non un avere luce negli occhi?
di Roberto Escobar - Da Il Sole-24 ore

LINK: L'età dell'innocenza   
      Martin Scorsese              Michelle Pfeiffer

 
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