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E CHI NE PARLA?

Post n°24 pubblicato il 14 Ottobre 2009 da lafrontierascompars2

Fao: cresce la fame, di più nei paesi ricchi

Oltre un miliardo di persone affamate, i dati in crescita su tutto il pianeta. Gli effetti della crisi moltiplicano quelli delle storture storiche di un sistema agro-alimentare squilibrato e gli Obiettivi del millennio sono ormai un pallido ricordo. Non si parla nemmeno più della meta ottimistamente indicata al sorgere del secolo. Non solo non sarà possibile dimezzare la fame nel mondo per il 2015, ma per allora è facile prevedere che il numero degli affamati sarà ulteriormente cresciuto. Nel 2009 si è raggiunta la cifra record di 1.02 miliardi di persone affamate: è la prima volta che accade dal 1970. E persino nei paesi ricchi la fame aumenta: più 15,4% rispetto allo scorso anno.

Sono i dati contenuti nel rapporto 2009 sullo Stato dell'insicurezza alimentare nel mondo, riproposti alla vigilia della Giornata mondiale dell'alimentazione, che si celebra domani. Cifre tutte negative, alivello globale, ma sorprendentemente l'incremento più deciso in termini percentuali è quello registrato nei paesi ricchi, dove sono ormai 15 milioni gli affamati nelle terre dell'abbondanza.

Il record negativo di insicurezza alimentare spetta comunque alla regione Asia-Pacifico con 642 milioni di persone che hanno fame (+10,5%). Segue l'Africa subsahariana con 265 milioni (+11,8%), l'America latina con 53 milioni (+12,8%) e l'Africa nord-orientale con 42 milioni (+13,5%).

«Rispetto allo scorso anno hanno fame oltre 100 milioni di donne, uomini e bambini in più, un sesto di tutta l'umanità - scrivono nell'introduzione al rapporto il direttore generale della Fao Jacques Diouf e la direttrice esecutiva del Pam Josette Sheeran - . La crisi dei prezzi delle materie prime alimentari del 2006-2008 ha portato fuori dalla portata del reddito di queste persone tutti gli alimenti di base e, nonostante i ribassi, alla fine del 2008 erano in media ancora del 17% più alti di due anni prima della crisi. Questo ha costretto molte famiglie povere a scegliere tra cure sanitarie, scuola e cibo».

Il messaggio lanciato dalla Fao al nuovo vertice per la sicurezza alimentare che a novembre vedrà i capi di Stato e di governo nuovamente a Roma è per una strategia in due tempi: un intervento d'emergenza, con voucher alimentari, aiuti e reti di sicurezza e welfare immediato, e a medio termine un vero programma di sostegno all'agricoltura contadina.

 
 
 

COSE SU CUI RIFLETTERE

Post n°23 pubblicato il 14 Settembre 2009 da lafrontierascompars2

«Nessuno è nato sotto una cattiva stella; ci sono semmai uomini che guardano male il cielo».

Tenzin Gyatso, XIV Dalai Lama

 
 
 

La storia di E: «Ho abortito con la pillola Ru486»

Post n°22 pubblicato il 09 Agosto 2009 da lafrontierascompars2

 

La teorizzazione della vita, di quella vissuta intendo, mi è sempre sembrata nefasta. Un uomo che parla di aborto è un ossimoro e un insulto all’intelligenza. Quella vera, che passa tra le maglie del sentire. Un uomo che crede di poter stabilire cosa è giusto e cosa non lo è parlando di aborto è un uomo che vive nella presunzione di sapere ciò che invece solo la compassione, che richiede il tentativo di comprendere e non di giudicare, permette. Un uomo che conduce una guerra. Una guerra definita culturale contro l’aborto e che invece è la guerra dell’uomo contro la donna, contro la libertà di poter scegliere. Contro la maternità come scelta d’amore e non come imposizione culturale.

«Il piacere sessuale scardinato da qualunque amore» di cui parla Ferrara sul Foglio di ieri mi sembra, oltre che una banale adesione al più misero dei moralismi, qualcosa che ha storicamente più a che fare con gli uomini che con le donne. Essendo un maschio, «il godimento libertino» di cui scrive non ha certo quell’accento così violentemente accusatorio che tocca a noi femmine, in fondo un po’ puttane.

Ho 36 anni, vivo a Roma, e tre anni fa, nel marzo del 2006, ho abortito utilizzando la RU486. Ho avuto il mio primo rapporto sessuale a 16 anni. Fino a 25 anni, quando con il mio compagno abbiamo deciso di avere un figlio, ho fatto molto l’amore, a volte per amore, a volte per piacere, convinta che il piacere debba far parte della nostra vita. Non sono rimasta incinta prima perché sono responsabile e ho sempre usato la pillola. Fino a quando, per problemi ormonali, non ho più potuto. Dopo un calvario che mi ha costretta a sperimentare diversi metodi anticoncezionali sono approdata al meno invasivo, per niente sicuro, ma tanto caldeggiato dalla Chiesa, «Persona». Sono rimasta incinta.

Avevo 33 anni. E per quanto amassi l’uomo con cui avevo una relazione non pensavo che avere un secondo figlio con lui fosse una cosa giusta. Perché non basta l’amore tra due persone per fare un figlio. Perché un figlio è una scelta di vita, una scelta d’amore. Condivisa e voluta. Perché con un figlio la tua vita cambia e il cambiamento deve essere sorretto da una decisione ferma, consapevole, d’amore. Non dalla retorica del diritto alla vita. Perché senza amore poi non è vita. Perché la maternità è una condizione totalizzante che non può essere il frutto di uno sbaglio. Ma l’essere umano, non certo Ferrara, sbaglia. E di fronte allo sbaglio bisogna avere la forza e il coraggio di prendere una decisione che tenga conto di tutti i fattori.

Si può amare un uomo e pensare che non sarebbe il padre che vorresti per i tuoi figli. E si può decidere che un figlio, con quell’uomo, non lo si vuole avere. Così è stato per me. Quando ho capito di essere incinta ero alla quinta settimana. Un amico di Torino mi suggerì di telefonare a Viale, al Sant'Anna di Torino, dove era in corso la sperimentazione sulla Ru486. Gli raccontai l’accaduto, gli dissi che un figlio frutto di «Persona» non lo volevo, che non volevo soffrire più a lungo, inutilmente, che pensavo di avere diritto alla vita. La mia di vita. Che non potevo sopportare l’idea di vomitare per due mesi senza una giusta ragione. Che non volevo odiare il mio compagno, responsabile quanto me eppure non interessato, nei fatti, praticamente, dalle conseguenze.

Mi ascoltò. Mi disse «prenda il primo aereo. Vediamo di quante settimane è». Presi l’aereo il giorno dopo. Ero nei tempi e Viale accettò una richiesta che mi resi conto si sommava a tante, tantissime altre. Quell’uomo capì il mio dolore e decise di aiutarmi a soffrire di meno. Di certo non a non soffrire perché abortire è una sofferenza. Ma fece sì che la mia sofferenza non si prolungasse per altre settimane, inutilmente. Tornai a Roma il giorno dopo e la settimana successiva di nuovo ero a Torino.

Arrivai prestissimo al Sant'Anna, mi diedero una pastiglia, mi chiesero se preferissi restare per la notte in ospedale. Firmai per uscire. Poco distante mi aspettava una casa amica dove passare quelle ore infernali. E diversi numeri di telefono da chiamare per eventuali complicazioni. Non ci furono complicazioni. Non ce n’è quasi mai, di certo non più che in un aborto chirurgico. Ma non è stata una passeggiata. Un senso di greve malessere, una nausea incalzante, un mal di testa incessante, implacabile. Se bisognava pagare per aver scelto di non fare nascere un bambino non voluto io dico che ho pagato il giusto.

Il giorno dopo sono tornata in ospedale. Mi è stata data un’altra pillola e mi hanno messo a letto. Dopo qualche ora tutto era finito. Per un attimo mi è sembrato che anche l’Italia fosse un paese civile. Ma è stato breve. Di civile lì c’erano Viale e la sua equipe, accolti da una città laica che ogni tanto ricorda di avere un’anima sabauda. Sono tornata a Torino altre due volte, per i controlli, uno dei quali obbligatori, che la procedura prevede. Non è stata una passeggiata, mi sono accorta di tutto quello che accadeva e non è stato per niente piacevole. Ma sono contenta di averlo fatto e di averlo fatto lì, sostenuta da intelligenza e competenza. E da vera compassione.

www.repubblica.it

 
 
 

sottoscrizione per " I Siciliani "

Post n°21 pubblicato il 31 Luglio 2009 da lafrontierascompars2

Quando ammazzarono Giuseppe Fava, una sera di 25 anni fa, i ragazzi dei Siciliani provarono a immaginare come sarebbe stata la loro vita da quella notte in poi. Diversa, irrimediabilmente: lo capirono subito. E misero nel conto molte cose: dolore, fatica, solitudine e un giornale da tenere in vita a morsi. Nessuno di noi pensò che un quarto di secolo dopo lo Stato avrebbe presentato il conto economico di quella morte: 100 mila euro da pagare in moneta sonante per i vecchi e miseri debiti del giornale, riveduti e corretti da una sentenza del tribunale con il solito corredo di more e interessi passivi. Tre mesi di tempo per saldare, pena la vendita forzosa delle nostre case già pignorate per ordine dei giudici. Una di queste, ereditata dai suoi figli, è la casa in cui nacque e visse Giuseppe Fava. Anch'essa sotto sigilli, in attesa che sia fatta giustizia. Ora, il problema non sono questi denari: forse si potranno racimolare, è già partita una catena di indignata e stupefatta solidarietà che dimostra l'esistenza in vita di un'Italia civile, nonostante tutto. Il problema è l'insegnamento che ciascuno di noi dovrebbe trarne e trasmettere ai propri figli: cari ragazzi, se malauguratamente un giorno la mafia dovesse ammazzare vostro padre invece di affannarvi a proseguire il suo mestiere e la sua ricerca di verità mettetelo da parte, quel mestiere. Dedicatevi ad altro, andate via, rassegnatevi. Altrimenti, prima o poi, vi presenteranno il conto. Avremmo dovuto far questo? Seppellire Fava e chiudere i Siciliani? Quel grumo di ragazzi (io avevo 26 anni, il più vecchio andava per i 30) scelsero la cosa sbagliata: il giornale non si chiude, si va avanti senza pubblicità, rinunziando ai propri stipendi. Sull'editoriale del primo numero in edicola dopo l'omicidio scrivemmo: «Ci dispiace arrivare in edicola con qualche giorno di ritardo per cause che non dipendono dalla nostra volontà». Ecco: nemmeno la soddisfazione di squadernare in pubblico il nostro dolore gli regalammo.
Andammo avanti per molti anni. Stipendi zero. Pubblicità zero. Conservo ancora una cortese letterina del Banco di Sicilia, lo stesso istituto di credito indebitato per decine di miliardi con i cavalieri del lavoro e coi loro ruffiani politici, che ci diceva di non voler acquistare una pagina di pubblicità sui Siciliani al prezzo di 250 mila lire. Certo, quando devi tirare avanti così contando solo sulle copie vendute ti tocca far qualche debito: carta, tipografia, fornitori. Bene: quei debiti, rivalutati dall'aritmetica giudiziaria, sono diventati oggi quasi centomila euro. Venticinque anni dopo: vendete le vostre case. Qualcuno vorrebbe sentirselo dire: abbiamo fatto male, ragazzi, tanto valeva piegare il capo. E invece sono qui a dirvi che, se pur dovremo pagare per un fottuto puntiglio giudiziario questi soldi, se pure ci toccherà riscattare ancora una volta la morte di Giuseppe Fava, tornando indietro rifarei ciò che ho fatto. E lo rifarebbero tutti i miei compagni dei Siciliani. A cominciare da quell'editoriale, nel gennaio del 1984: ci dispiace per questi giorni di ritardo, il nostro lavoro va avanti….
Ps. Se qualcuno vuol dare una mano è aperta la sottoscrizione sul conto corrente della «Fondazione Giuseppe Fava», IBAN IT22A0301926122000000557524

 

Claudio Fava

 
 
 

GUAI AL POPOLO CHE NON HA MEMORIA!

Post n°20 pubblicato il 19 Luglio 2009 da lafrontierascompars2

Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si reca insieme alla sua scorta in via D'Amelio, dove vive sua madre.

Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell'abitazione della madre con circa 100 kg di tritolo a bordo esplode, uccidendo oltre a Paolo Borsellino anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L'unico sopravvissuto è Antonino Vullo. Pochi giorni prima di essere ucciso, durante un incontro organizzato dalla rivista MicroMega, Borsellino parlò della sua condizione di "condannato a morte". Sapeva di essere nel mirino di Cosa Nostra e sapeva che difficilmente la mafia si lascia scappare le sue vittime designate.

 
 
 

FARNETICAZIONI

Post n°19 pubblicato il 14 Luglio 2009 da lafrontierascompars2

A volte verrebbe da pensarlo: che peccato che adesso non c’è Nerone!

 Tanto per chi si ricorda la canzone di Bennato di tanti anni fa! Ma sono solo io o questi G8 fanno sempre più rabbia? Ma oltre che parlare e divertirsi prendono davvero delle decisioni a breve termine o pensano di farci tutti fessi come al solito? Il clima è impazzito, la terra sta per implodere e questi grandi geni chiacchierano…In Italia si ritornerà al nucleare! Invece di impostare fatiche e soldi verso le cosiddette energie alternative, questi tornano in un sistema pericoloso, inutile al giorno d’oggi e obsoleto! E vogliono aiutare l’Afganistan per renderla democratica ed hanno paura di criticare apertamente Cina, Iran ecc ecc! Vogliono aiutare i poveri e mandano via le badanti straniere che lavorano onestamente in Italia! Francia, Corea, Iran ed altri si divertano a tirar missili nucleari e noi respiriamo l’aria e ci cibiamo di radiazioni…E il cancro è in aumento, e il buco dell’ozono è una voragine infinita…

Che peccato che adesso non c’è Nerone!!!!!!!!

 
 
 

E CHI NE PARLA?

Post n°18 pubblicato il 24 Giugno 2009 da lafrontierascompars2

Abbiamo scoperto che la foresta amazzonica viene distrutta per far spazio agli allevamenti illegali di bovini. E la carne e la pelle che ne derivano contaminano le filiere internazionali dell’alimentare, dell’arredamento, della moda e delle scarpe.

Le prove raccolte dimostrano, infatti, che i giganti del mercato della carne e della pelle brasiliani - Bertin, JBS, Marfrig - vengono regolarmente riforniti da allevamenti che hanno tagliato a raso la foresta ben oltre i limiti consentiti dalla legge. Le materie prime, frutto di crimini forestali, ‘sporcano’ le filiere produttive di tantissimi marchi globali e distributori. Tra questi: Adidas, BMW, Geox, Chateau d’Ax, Carrefour, EuroStar, Ford, Honda, Gucci, Ikea, Kraft, Cremonini, Nike, Tesco, Toyota, Wal-Mart.

A livello globale la deforestazione determina il 20 per cento delle emissioni di gas serra. Il Brasile è il quarto più grande emettitore di gas serra a livello globale (dopo Usa, Cina e Indonesia). Il governo brasiliano è a tutti gli effetti un socio in affari della distruzione della foresta: per promuovere la crescita della produzione di carne e pelle sta investendo per sviluppare ogni singola parte della filiera della carne e delle pelle nel Paese.

Mentre voi leggete queste righe, gli allevamenti bovini continuano a distruggere un ettaro di Amazzonia ogni 18 secondi. Non è tutto. I dati a nostra disposizione rivelano che alcune delle fattorie che riforniscono Bertin, JBS e Marfrig utilizzano forme illegali di lavoro schiavile e occupazione di riserve indigene. In Brasile, nel 2008, ben 3005 nuovi schiavi sono stati liberati da decine di aziende zootecniche. Il 99 per cento di questi erano tenuti prigionieri in Amazzonia.

È il tempo del coraggio e della responsabilità per i governi e per le aziende che stanno dietro ai marchi globali se vogliamo vincere la sfida del cambiamento climatico. Per produrre una paio di scarpe sportive, invece, rischiamo di deforestare illegalmente, promuovere forme di nuova schiavitù e accelerare il cambiamento climatico.

Chiediamo a tutti i marchi coinvolti di interrompere immediatamente i rapporti commerciali con aziende o allevamenti che sono legati alla distruzione dell’Amazzonia

Alla conferenza sul Clima di Copenhagen a dicembre 2009 un vero accordo per la salvezza del clima e del pianeta deve includere azioni concrete e fondi adeguati per fermare la deforestazione.

www.greenpeace.it

 

 
 
 

Leggete....

Post n°17 pubblicato il 14 Maggio 2009 da lafrontierascompars2

Tanto lo so che la gente passa, legge frettolosamente e se ne va senza commentare (a parte qualche eccezione, per fortuna!). Ma vorrei  sapere se al mondo esistono persone che combattono come me di una malattia, spesso non considerata e mal curata, che si chiama ANSIA. Da quando ho preso consapevolezza di questo mal di vivere  ho fatto di tutto per scrollarmela di dosso. E’ come un grosso parassita che si è ramificato dentro di me che io voglio cacciare in tutti i modi possibili. Ed è un’eterna lotta. Alcune battaglie le vinco, ma sono solo battaglie. Perché il Parassita ritorna… Non accetterò mai che qualcuno o qualcosa gestisca la mia vita e mi faccia essere una persona che non sopporto e poi, recentemente ho provato per un bel po’, che significa non avere ansia sempre addosso e non immaginate quanto sia meraviglioso!

Che ne dite? Vi fate vivi??????

 
 
 

“Vite spezzate”, rapporto di MSF sulla violenza sessuale

Post n°16 pubblicato il 12 Marzo 2009 da lafrontierascompars2

Johannesburg/Roma - In vista della giornata internazionale della donna, Medici Senza Frontiere (MSF) lancia oggi il rapporto “Vite spezzate”, che riassume l’esperienza dell'organizzazione umanitaria nel sostegno alle vittime di violenza sessuale. Basato sulle sue attività in Liberia, Burundi, Repubblica Democratica del Congo, Sud Africa, Colombia e in altri paesi, il rapporto di MSF evidenzia la necessità di fornire assistenza medica di emergenza alle persone che hanno subito abusi. MSF sottolinea, inoltre, che tale assistenza deve essere veramente accessibile, con garanzia di riservatezza e un’offerta di cura integrale.

“Nel 2007, i nostri team hanno curato oltre 12.000 vittime di violenza sessuale in tutto il mondo, sia in luoghi di conflitto che in zone stabili; circa 35 persone ogni giorno nei soli progetti di MSF”, spiega Meinie Nicolai, direttrice delle operazioni di MSF. “Le vittime raccontano storie di orrore, dolore e degrado, spesso inflitti proprio dalle persone che dovrebbero garantire loro protezione, come padri, zii, vicini di casa o soldati. Tutte le vittime di stupro corrono seri rischi a lungo termine per la salute.”

La profilassi successiva alla violenza per prevenire l’eventuale contagio dell’infezione HIV è fondamentale nell’assistenza alle vittime di stupro; il trattamento profilattico deve iniziare il prima possibile e assolutamente entro le 72 ore per essere efficace. La terapia include anche la profilassi per la prevenzione di altre infezioni sessualmente trasmissibili, come l'epatite B. Per le persone ferite è obbligatorio il vaccino contro il tetano. La contraccezione di emergenza per scongiurare il rischio di gravidanze indesiderate è possibile fino a cinque giorni dopo il rapporto.

“Le cure di emergenza specifiche di cui le vittime di stupro hanno bisogno sono molto rare o completamente assenti nei paesi in cui operiamo”, afferma Thilde Knudsen, responsabile di MSF per la salute sessuale e riproduttiva. “Il trauma non può essere completamente rimosso; i postumi psicologici della violenza rischiano di compromettere seriamente la qualità di vita delle vittime. Tuttavia un tempestivo e mirato trattamento medico di emergenza, abbinato a un adeguato supporto psicologico, sociale e legale, possono limitare i danni e aiutare le vittime a sopravvivere”.

L’assistenza alle vittime di violenza sessuale richiede il coinvolgimento di diversi soggetti. Una risposta coordinata tra le organizzazioni impegnate nel supporto medico, sociale e legale è il modo migliore per prestare soccorso a coloro che hanno subito il trauma di uno stupro. Una delle difficoltà maggiori riscontrate da MSF è garantire che le persone portino a termine le cure e che lo facciano abbastanza rapidamente. Integrare i servizi medici per le vittime di violenza sessuale nel sistema di assistenza sanitaria generale può contribuire a garantire la riservatezza, anche se spesso, per rompere i tabù legati alla violenza sessuale, si rendono necessarie delle aggressive campagne di sensibilizzazione.

Il rapporto comprende anche un capitolo dedicato alle vittime di sesso maschile. Uomini e ragazzi costituiscono una piccola minoranza della popolazione curata da MSF nei progetti sulla violenza sessuale (circa il 6% di quelli in corso a Khayelitsa, nel Sud Africa e a Masisi, nella Repubblica Democratica del Congo). Per gli uomini è ancora più difficile chiedere aiuto in caso di stupro; per loro i tabù sono maggiori rispetto a quelli delle donne. In genere gli uomini vittime di abusi vengono ignorati e non trattati.

“Questo rapporto nasce dal desiderio di condividere le nostre esperienze con gli operatori sanitari e le organizzazioni umanitarie di tutto il mondo, a beneficio di tutte le vittime di violenza sessuale,” afferma Meinie Nicolai. “Il rapporto esprime anche tutta la nostra indignazione. I nostri operatori ascoltano ogni giorno storie piene di dolore che raccontano di abusi orribili. Ci sentiamo obbligati a parlarne. Per quanto il fenomeno sia diffuso in alcuni dei luoghi in cui lavoriamo, non esistono giustificazioni per la violenza sessuale”.

http://www.medicisenzafrontiere.it

 
 
 

Dalla redazione…

Post n°15 pubblicato il 06 Marzo 2009 da lafrontierascompars2

Oggi ho comprato Donna Moderna. Forse in preda ad emozioni dovuti al fatto dei continui stupri che ci sono nell’ultimo periodo (ma saranno poi davvero aumentati o forse se ne parla solo un po’ di più perché le nuove generazioni di donne hanno più consapevolezza e coraggio di denunciare?), forse perché da poco ho una figlia anch’io, non so…Fatto sta che era una vita che mi rifiutavo di comprare giornaletti femminili pieni di consigli stupidi sulla cellulite e prodotti pubblicitari! Forse perché è tornata in me la voglia di combattere! Chi lo sa! Comunque questo 8 Marzo vorrei che non passasse inosservato! E’ da troppo tempo che noi donne siamo ferme, che ci limitiamo a qualche manifestazione intellettuale o ad iniziative per pochi. Questo 8 Marzo dovrà essere grande! Non un ritorno a vecchie nostalgie femministe, ma un 8 Marzo dedicato a tutte quelle donne che denunciano, che lottano ogni giorno contro il sessismo maschile della nostra società. E vi prego di non farvi fregare da tutta quella gente che vi dirà che oggi c’è la parità dei diritti. Balle! Lo vediamo ogni giorno nelle grandi e piccole cose! Ci crederò solo quando ci sarà un Papa donna, un Presidente donna e quando le donne saranno davvero tutelate nel lavoro, nella politica e nella vita di tutti i giorni. Perdonate lo sfogo per queste parole scritte di getto, ma vorrei che qualcuno interagisse con me in questo argomento, ne ho davvero voglia! Insomma, fatevi vive!!!

 
 
 
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«Se un uomo non ha ancora scoperto qualcosa per cui morire non ha ancora iniziato a vivere.»


Martin Luther King

 

 

 

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