GIORNI STRANI

Vita di comunità: mai come ora dobbiamo fare appello a ogni nostra singola cellula. E' giunto il momento di imprimere una violenta accelerazione all'intelligenza della nostra specie, come una frustata di tramontana: l'occhio non sarà occhio e la mano non sarà più mano, negli anni venturi.

Creato da sergioemmeuno il 22/04/2011
 

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Messaggi del 05/10/2014

>>> Tetralogia degl'Inquieti: appunto critico di Valerio Gaio Pedini.

Post n°918 pubblicato il 05 Ottobre 2014 da sergioemmeuno
 

A cura di Valerio Gaio Pedini

 SERGIO MESSERE E LA POETICA ICONOCLASTA

 

Sergio Messere, poeta tutt’altro che prolifico (37 poesie scritte), naviga nell’ombra di un linguaggio di mezzo: tra il fisico e il metafisico, l’etereo e lo sporco, lo strozzato e il libero. Trasuda nella sua opera una capacità asmatica del verso,dove il poeta, ( o ciò che resta dell’uomo poeta), si fa carico del tempo e nella realtà il suo linguaggio va a precipitare e ad edificarsi in un tripudio linguistico, d’immagini e di suoni arroganti, che si soffocano e si rianimano a vicenda.

La poetica di Messere si attorciglia nell’uomo ed impreca l’uomo, rivolgendosi ad un uomo distante, ma vicino:

È giunto il tempo,

Uomo,

in cui seguirmi

dovrai

senza remore,

per conoscere

con gli occhi –

a viva luce –

quanti volti

popolano

e scorrono via

nella colata

incandescente

dell’imperitura sostanza

sempre a te celata.

 

Tutto si mostra, tutto viene rivelato, mentre tutto si nasconde all’uomo.

Il poeta è cieco, e solo con la cecità, si può vedere ciò che sta al di là delle barriere temporali, ergo si parla di “imperitura sostanza/sempre a te celata”, con un tono profetico, che allude ad una ricostruzione concettuale dell’uomo.

Ed è nell’immagine linguistica che si trova l’icona che brucia le altre, in questa Babilonia in cui tutto crolla e tutto si frammischia.

Eccoli or ora,

Uomo,

non esitare

e domina

con la mente

codesta moltitudine

di entità bizzose

dal flusso permanente.

 

Ed ancora la poetica si ha nel gioco di contrasto, tra immobilità e mobilità, tra solidità e liquidità: un cosmo che muta in fissità, che deve essere dominato e maneggiato, rendendo il chiaro scuro, e lo scuro chiaro, con la lanterna di Diogene.

E il linguaggio poetico allora si condensa nel raccapriccio, nel tugurio cosmico, in cui l’uomo si mastica da solo:

Ridacchiano

variopinti

menestrelli impudenti,

mentre schizzano

come molle

fieri degli aguzzi denti.

 

Nel linguaggio iconoclasta è la fagia e l’autofagia umana che si assottiglia fino a diventare una rugosissima carta vetrata, che infetta e scrosta la mente umane, tentando di lucidarla. La poesia, come Giorgio Linguaglossa, ha dichiarato, si verifica nella bestemmia e nella bestemmia deve essere protratto allora il linguaggio, per rigenerarsi e autodistruggersi, di continuo.

Le immagine date da Sergio sono immagini di un cosmo caotico e oscuro, che cerca d’illuminare col Verbo,andando oltre ad esso.

Ergo tutto si raffigura in una dimensione puramente inquietante, in cui l’io diviene noi, il noi diviene tu, ed alla fine l’interlocutore diviene una divinità umana che si raffigura in un corpo femminile, come la dea madre: solo che qui non è più la madre della natura, ma la madre dell’uomo, e quindi si raffigura con l’umanità stessa, in cerca di una salvezza, spodestata da se stessa.

La divinità diviene morta e l’uomo poeta la prega affinché resista.

Un ultimo inchino

mentre eretta

t’inabissi,

a poco a poco,

bagnata di luce,

ardente d’amore,

gravida di conoscenza.

Fra le acque

di cera viva

sul tuo guscio

di bianco latte.

 

Il contrasto è evidente (guscio/ di bianco latte): una protezione che genera, ma muore, come una falena.

Ed è forse questo il contrasto più importante da farsi in una poetica iconoclasta, al di là del tempo e del linguaggio: una poetica che concettualmente porta il superuomo a divenire antiuomo, in una costante autofagia che serva a rivelare se stesso, ponendosi in una dimensione di totalità.

In sintesi rintracciano in questa poetica dell’inquietudine una capacità rigenerativa, al di là della diaspora umana: il perdersi per trovarsi, l’oscurare per fare luce fanno di questa poetica l’ossatura di un principio che si rigeneri con la fine, per oltre all’”Al di là del bene e del male”.

 

http://filipponiscrittore.blogspot.it/2014/09/la-tetralogia-deglinquieti-di-sergio.html

 

 
 
 
 
 

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