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ARTICOLO TRATTO DA "IL CITTADINO" DEL 20/08/2009 - Marinoni e la tragica San Paolo - Gp del 1936

Post n°79 pubblicato il 25 Febbraio 2010 da miryamco5

il cittadino amarcord - 8 Il pilota lodigiano partecipò al Gp del 1936 in cui morirono 5 persone
Marinoni e la tragica San Paolo
Fu secondo nel giorno del disastro sul circuito brasiliano

«Non è quel che si può dire un campione di bellezza; in compenso è il più completo fra i collaudatori che una casa d’automobili abbia mai avuto. Una macchina provata da Marinoni e da Marinoni messa a punto non si ferma più. Lo vedete bighellonare per l’officina che par non abbia nulla da fare. Ma Marinoni ha cento occhi come Argo e sa sempre tutto. Fu lui a salire per primo sulla Bimotore e a rivelarne le doti di velocità. Se Marinoni dice che tutto va bene, c’è da stare tranquilli». Con questa originale descrizione Enzo Ferrari catalogava Attilio Marinoni, il meccanico e pilota lodigiano che ne accompagnò felicemente l’escalation nel mondo dell’automobilismo sportivo tra il 1934 e il 1937, quando l’ingegnere assunse in prima persona la gestione della squadra corse dell’Alfa Romeo. Proprio con la casa di Arese Marinoni aveva fatto esperienza, sin dagli anni immediatamente successivi al primo conflitto mondiale. E con l’Alfa si era ritagliato preziose esperienze in gara, vincendo tre edizioni della 24 Ore di Spa, una Coppa Ciano e soprattutto il Gran Premio di Francia del 1924, in coppia con il coetaneo Giuseppe Campari, “el negher” di Graffignana, suo compagno d’avventura anche in due felici edizioni delle Mille Miglia. Marinoni continuerà la sua avventura nel mondo delle corse fino al 19 giugno 1940, quando morirà tragicamente sulla autostrada Milano-Varese, per il cedimento durante una manovra di sorpasso di una sospensione dell’Alfetta 158/159 che stava collaudando.n a rio de janeiroNegli anni al fianco di Ferrari Marinoni fu protagonista di un evento agonistico unico e irripetibile, esemplare dello spirito avventuroso e sconsiderato che animava i piloti dell’epoca, capaci di affrontare con il sorriso sulle labbra le sfide più impossibili. È la primavera del 1936 quando Enzo Ferrari riceve l’invito a portare un paio delle sue vetture oltre oceano. A finanziare la spedizione è il commendator Sabbado D’Angelo, un italiano trapiantato in Brasile dove aveva fatto fortuna come proprietario della fabbrica di sigari “Sudan”. Il commendatore, appassionato di corse automobilistiche, vuole farsi bello al “4° Gran premio Città di Rio de Janeiro”, in programma il 7 giugno sul circuito di Gavea, e ritiene che una coppia di piloti italiani potrebbe adeguatamente illustrarne la figura nella corsa di casa. Ferrari accetta e spedisce in Sudamerica due Alfa Romeo 2.9L Sport, scegliendo per guidarle l’ormai 44enne Marinoni e Carlo Pintacuda, un siciliano di temperamento, fortissimo sulle lunghe distanze, che l’anno precedente si era messo tutti alle spalle in una durissima edizione della Mille Miglia. Sugli undici chilometri del circuito paulista le cose però non vanno bene per gli italiani. Marinoni non ha neppure la soddisfazione di completare il primo giro. Sul traguardo di Leblon Beach arriva a piedi, complice la rottura di un differenziale. Non molto meglio vanno le cose a Pintacuda, che di giri ne completa 21 prima di arrendersi per un analogo cedimento meccanico. Per la cronaca sotto lo striscione d’arrivo passano soltanto in cinque, primo fra tutti l’argentino Victor Coppoli, su Bugatti.n un circuito “pazzesco”Ci sarebbe di che mangiarsi le mani. Un lungo viaggio per nave, tanti quattrini impiegati per un risultato che definire modesto è un eufemismo. Il cavalier D’Angelo allora rilancia. Di lì a un mese si sarebbe infatti corsa la prima edizione del Gran premio Città di San Paolo, 60 giri di un pazzesco circuito cittadino ricavato nella zona residenziale del Jardim América: un “rettangolo” di 4 chilometri e 250 metri con curve a novanta gradi che suggeriscono improvvise e pericolosissime “virate” al termine di interminabili rettilinei e introducono a un lungo vialone che le auto devono percorrere in entrambi i sensi, invertendo la marcia su una strettissima rotatoria. Il 2 luglio, alla chiusura delle iscrizioni, la griglia è composta da venti piloti, più cinque riserve. Con Marinoni e Pintacuda al via c’è anche la parigina Hellé Nice, nata Mariette Hèlene Delangle, visionaria e coraggiosa pioniera dell’automobilismo sportivo al femminile; poi gli argentini Coppoli e Rosa e gli idoli di casa, i “privati” Manuel De Teffè su Alfa, Nascimento Junior su Ford e Chico Landi su Fiat. Proprio i brasiliani si ribellano agli elevati ingaggi garantiti ai piloti stranieri (per Marinoni e Pintacuda si parlava di 50 milioni di reìs, equivalenti a 50mila dollari dell’epoca, tanti quanti ne sarebbero andati al vincitore della corsa) e gli organizzatori devono correre ai ripari. Quando il solito commendator D’Angelo organizza il party d’onore per i partecipanti al Gran premio, alla presenza del console generale d’Italia Josè Castrucci, le tensioni sembrano superate.n la “spinta” di pintacudaFinalmente arriva il 12 luglio, giorno della corsa, attesissima. Lungo il circuito sono state allestite tribune e postazioni per il pubblico, è stato persino costruito un ponte sopra la sede stradale per consentirne l’attraversamento. La folla è immensa sin dalle prime ore del mattino, circa 150mila persone, trattenute a stento dai cordini della Guardia civil. Marinoni e Pintacuda sono i primi a presentarsi sul tracciato per una ricognizione a velocità ridotta, zigzagando tra i tanti spettatori che improvvisamente attraversano la strada in cerca di un punto migliore per assistere alla gara. Militari e poliziotti devono sudare sette camicie per sgombrare la carreggiata, tanto che il via viene dato dal prefetto Fabio Da Silva con quasi mezz’ora di ritardo, alle 9.35 del mattino. Marinoni e Pintacuda sono in coda al gruppo, perché l’ordine di partenza era stato stabilito per sorteggio, ma al terzo giro il siciliano è già terzo. Marinoni risale fino al sesto posto, dietro a Landi, Coppoli, Hellé Nice e De Teffè, ma alla quinta tornata il motore della sua Alfa si spegne improvvisamente tra rua Canadà e rua Cile. Quando ripassa, Pintacuda usa la sua vettura per spingere quella del compagno di scuderia, finché il motore non riparte e Marinoni inizia la sua lunga rincorsa. Un giro e il lodigiano è di nuovo al sesto posto, altri quattro e sorpassa Coppoli e Landi, guadagnando la quarta piazza. Superare De Teffè e la francese Hellé Nice è più dura, ma Marinoni ce la fa ed è secondo. La sosta per il rifornimento lo fa di nuovo scivolare indietro di due posizioni, ma la sua Alfa vola. Per tre volte il pilota lodigiano batte il record del circuito, abbassandolo a 2’12”, alla media record di 113 km/h, una punta di velocità che neanche il leader Pintacuda riuscirà a toccare. Il siciliano ha però un vantaggio enorme: talmente enorme che al 34esimo giro si ferma per accendersi un sigaro. Marinoni intanto corona il suo inseguimento alla piazza d’onore, che difende negli ultimi giri transitando sotto lo striscione d’arrivo con 4 minuti e 11 secondi di ritardo da Pintacuda.n l’incidentePassa meno di un minuto e sul rettilineo finale si presentano Manuel De Teffè e Hellé Nice, impegnati in un serrato testa a testa per la terza piazza. Settecento metri a 150 orari, ruota a ruota: la francese porta la sua Alfa 2300, ribattezzata “Flecha Azul”, sul lato sinistro del vialone e si lancia nel sorpasso, ma in quel momento un soldato, sportosi dalla tribuna per meglio assistere all’arrivo delle auto, perde l’equilibrio e finisce sulla strada. Hellé Nice lo investe e la sua vettura decolla piombando sul pubblico. Il bilancio è tremendo: cinque morti e una quarantina di feriti, tra cui la stessa francese che se la caverà con una lunga degenza in ospedale. Marinoni assiste impotente alla tragedia: pochi giorni dopo l’assemblea legislativa dello Stato di San Paolo stabilirà il divieto di organizzare corse automobilistiche se non in circuiti attrezzati. Il pilota lodigiano tornerà in Italia qualche giorno più tardi sul piroscafo Neptunia. Il secondo posto nella gara paulista gli ha portato in dote 25mila dollari, più altri 5mila per il record sul giro; 10mila li ha dovuti però pagare a titolo di multa per la spinta ricevuta da Pintacuda. Ma forse il premio più gradito è per lui, lodigiano, il cronografo ricevuto in dono da un diffuso quotidiano locale, organo di stampa degli immigrati italiani in Brasile, che non poteva altro che chiamarsi “Fanfulla”.Aldo Papagni

 
 
 
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