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GAZA E LE CONVENZIONI DI GINEVRA

Post n°240 pubblicato il 19 Gennaio 2009 da giannipardo

GAZA E LE CONVENZIONI DI GINEVRA
Per secoli, il vincitore ha avuto ogni diritto sul vinto, sia militare che civile. Gli eserciti si sostenevano – per quanto riguardava il cibo e ogni altro bene – depredando i territori sui quali passavano e se vincevano una battaglia avevano il “diritto” di ammazzare i prigionieri, di rendere schiavi i vinti, oppure di uccidere tutti gli uomini e di stuprare le donne. Per poi magari uccidere anche loro. Né molto più teneri erano con i commilitoni. Chi era ferito poteva essere lasciato morire. L’accompagnamento musicale del dopo battaglia erano i lamenti dei feriti di cui nessuno o quasi si curava. Naturalmente parecchi lettori protesteranno, leggendo queste righe, come se le conseguenze devastanti del cancro fossero colpa dell’oncologo che le descrive.
L’umanità ci ha messo veramente molto, per accorgersi che questa situazione era intollerabile. Ci sono voluti secoli e secoli, prima di arrivare a Florence Nightingale e alle Convenzioni di Ginevra. Finalmente s’è fatta strada l’idea che, se non si possono evitare le guerre, si possono almeno limitare quegli orrori che non sono utili alla guerra stessa. Si possono proteggere i prigionieri, perché ce ne sono da una parte come dall’altra, e si può rispettare la popolazione civile, perché il suo eventuale massacro non conduce di per sé alla vittoria.
Gli obblighi nei confronti della popolazione civile hanno posto immediatamente il problema di riconoscerla e per questo s’è stabilita la regola che la distinzione la fa il vestiario. I militari vestono in uniforme, i civili no. Nel film “Il Pianista” un ebreo polacco, miracolosamente scampato alle camere a gas, rischia di essere ammazzato dai russi solo perché un ufficiale tedesco gli ha regalato un cappotto e i soldati sovietici hanno giustamente tendenza a sparare a quel cappotto, chiunque ci sia dentro.
Naturalmente i civili non devono aggredire i vincitori. Sarebbe strano che, a fronte della pietà per gli inermi, gli inermi avessero poi il diritto di attaccare chi li ha risparmiati. Per questo, secondo le convenzioni internazionali, i civili che aggrediscono l’esercito nemico non beneficiano dello status di prigionieri: se presi, sono immediatamente passati per le armi. Questo è durato, senza sostanziali problemi, fino a tutta la Prima Guerra Mondiale.
Purtroppo, considerando ormai intangibili certi principi, durante la Seconda Guerra Mondiale la popolazione civile si è creduta in diritto di prendere le armi contro l’esercito invasore: l’hanno chiamata resistenza. Naturalmente questo ha provocato ritorsioni, ma gli Stati che militarmente hanno perso la guerra hanno avuto interesse a glorificare i partigiani come la fiammella da cui sarebbe rinata l’indipendenza nazionale. Inoltre i tedeschi si sono resi odiosi e si è dunque posta la più ermetica sordina sull’illegittimità, sulla base delle Convenzioni di Ginevra, della lotta partigiana. Il caso dell’Italia è stato ancora più drammatico: essa ha perduto rovinosamente la guerra contro gli Alleati ed ha cercato di rifarsi una verginità attaccando l’ex-alleato. Ha dunque completamente dimenticato la legittimità della rappresaglia proporzionata e ha fatto assurgere il partigiano senza divisa a mito nazionale.
Tutto questo contribuisce a spiegare la situazione attuale a Gaza e l’atteggiamento dell’opinione pubblica meno informata. Nel 1943-44, tedeschi in divisa, cattivi, e partigiani in borghese, buoni. Oggi israeliani in divisa, cattivi, e palestinesi in borghese, buoni. Ecco perché gli striscioni dicono: stella di Davide uguale svastica. Né il pensiero politico nazionale più serio sa che cosa opporre, a queste sciocchezze. Per farlo, dovrebbe sconfessare la Resistenza e legittimare la rappresaglia, anche se quella degli israeliani non è tale in quanto non punisce intenzionalmente la popolazione civile.
Dominano sentimenti confusi e ricordi sfocati. Dal momento che si condannano le stragi naziste si condannano i soldati con la stella di Davide che sparano contro una casa da cui un cecchino ha sparato contro di loro. Ci potrebbero essere dei civili: quei soldati dovrebbero farsi sparare e basta.
Ecco perché Gerusalemme ha sempre torto. I palestinesi, per anni, hanno lanciato migliaia di razzi sulla popolazione civile e la comunità internazionale non si è risentita: erano partigiani in borghese che sparavano sull’invasore. Anche se l’invasore in questo caso era una scuola o un condominio. Ancora oggi Israele propone ed attua una tregua ma i palestinesi lanciano altri razzi, perché loro hanno il diritto di toccare Israele mentre Israele non ha il diritto di toccarli.
Con le buone intenzioni, partendo da Florence Nithgingale, si è francamente andati troppo lontano.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
18 gennaio 2009
Questo blog è ormai chiuso. Chi volesse continuare a leggere articoli di questo autore si rivolga a www.pardo.ilcannocchiale.it.

 
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DIO ESISTE?

Post n°239 pubblicato il 15 Gennaio 2009 da giannipardo
 

DIO ESISTE?
Che cosa si penserebbe di un Congresso Filosofico Internazionale per discutere se sia meglio bere Coca Cola o Pepsi Cola? Naturalmente che i professori sono ammattiti. E questo giudizio perentorio non nascerebbe dall’irrilevanza del problema – nient’affatto secondario per le industrie interessate – ma dalla sua insolubilità. I favorevoli all’una o all’altra bevanda in fondo non potrebbero che dire: “io preferisco questa”, “io preferisco quella”.
A volte l’insolubilità dipende dal fatto che de gustibus non est disputandum, non bisogna discutere dei gusti, a volte il problema, pure razionale (il riscaldamento della Terra è di origine antropica?), è insolubile nel senso che non c’è una dimostrazione che convinca pressoché tutti.
Il problema dell’esistenza di Dio è razionale ma rimane razionalmente insolubile. A questa conclusione è giunto Immanuel Kant (che pure personalmente era credente) e da allora si è smesso di accapigliarsi. Chi vuole credere crede, chi non vuole credere non crede.
C’è di più. Credere o no nell’esistenza di un Dio provvidenziale - che, diversamente dal Dio di Aristotele, si occupa di noi esseri umani – non è una questione meramente metafisica. Chi crede ha qualcuno cui rivolgersi, in caso di bisogno; può sperare che la morte non sia definitiva; può pensare che malgrado tutto Qualcuno dirige il destino dell’umanità; che alla fine ci sarà giustizia per tutti. Dunque rinunciare al Dio cristiano non sarebbe, per molti, solo cambiare un’idea ma modificare in senso pessimistico l’intera visione della vita. L’ateo infatti è un orfano. Proprio per questo l’iniziativa di scrivere sugli autobus la frase: "La cattiva notizia è che Dio non esiste, quella buona è che non ne hai bisogno" è in larga misura insulsa. Gli atei sprecano i loro soldi. Nessuno cambierà opinione per aver letto quella pubblicità. I bacchettoni si indigneranno, come se fosse sconveniente mettere in dubbio l’esistenza di Dio, per giunta facendo dell’umorismo, i normali credenti, se persone di spirito, sorrideranno e basta.
L’episodio è una buona occasione per osservare che le idee religiose e le idee politiche si presentano ai loro portatori con connotati di tale evidenza da indurre all’intolleranza. Il credente non si capacita che si possa essere atei e il liberale che si possa essere comunisti: per questo tutti credono che, con qualche buona argomentazione, si metterà l’altro con le spalle al muro. E invece ciò non avviene mai. Capita che ci si converta da un’ideologia a quella opposta, ma la cosa avviene per ragioni esistenziali e lungo un arco di tempo notevole. L’illuminazione sulla via di Damasco o è leggenda o è un caso raro. Tutto ciò che è legato all’affettività – e Dio sa se la religione e la politica lo sono – è estremamente vischioso. Ecco perché i trattamenti psicoanalitici durano tanto: non si tratta di spiegare al nevrotico il meccanismo del male di cui soffre, si tratta di ricondizionarlo dal punto di vista affettivo. Ecco un esempio (di Michel de Montaigne) che vale per tutti: se dovessimo imparare a camminare su una tavola fra due edifici, al quarto piano, non basterebbe certo spiegarci che, così come sapremmo farlo se quella tavola fosse posata per terra, nello stesso modo possiamo farlo a quell’altezza. Per impararlo – ammesso che ci riusciamo – avremmo bisogno di un bel po’ di tempo. L’intelligenza e l’emotività conducono spesso a conclusioni diverse ed è praticamente sempre la seconda a prevalere.
Non vorremmo che l’iniziativa dimostrasse che gli atei, oggi, cominciano ad avere l’atteggiamento tendenzialmente intollerante di chi si indigna per il fatto che gli altri la pensino diversamente. Deprecano, con ragione, l’Inquisizione perché voleva imporre a tutti di credere e vorrebbero suggerire di non credere? Forse la frase giusta sarebbe stata: “Dio esiste? Dio non esiste? Affari vostri”.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
Poiché su questo blog non ricevo un numero sufficiente di commenti, e forse non ho molti lettori, lo chiudo in data odierna. Chi fosse ancora interessato ai miei scritti, me lo segnali oppure apra da oggi www.pardo.ilcannocchiale.it
15 gennaio 2009

 
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KEEP SMILING

Post n°238 pubblicato il 14 Gennaio 2009 da giannipardo
 
Tag: humour

Corso di riqualificazione per uomini. È possibile orinare alzando la tavoletta e senza bagnare per terra? Esercizi di gruppo.
Corso di riqualificazione per uomini. Come si può imparare a cercare le cose nel posto giusto senza buttare all’aria tutta la casa? Forum aperto ai partecipanti.
Corso di riqualificazione per uomini. È veramente impossibile sedere e star zitti, mentre lei parcheggia fra due auto lungo un marciapiede? Lezioni al simulatore di guida.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
Poiché su questo blog non ricevo un numero sufficiente di commenti, e forse non ho molti lettori, conto di chiuderlo a metà gennaio. Chi fosse ancora interessato ai miei scritti, me lo segnali oppure apra da oggi www.pardo.ilcannocchiale.it
14 gennaio 2009

 
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NONNA PILAR

Post n°237 pubblicato il 13 Gennaio 2009 da giannipardo
 
Tag: VILLARI

NONNA PILAR - Un apologo
Forse perché di antico ceppo castigliano, Pilar i suoi ottantadue anni se li godeva in piena salute. Aveva una mente chiara e una gran voglia di vivere. Mangiava come un portuale, faceva spesso le scale a piedi, per arrivare al suo quinto piano, e, se non andava al cinema o a teatro, passava le serate a giocare a ramino con amiche vecchie quanto lei. I parenti non la frequentavano più anche perché, spesso, invece di essere la classica anziana signora grata della carità di un po’ di compagnia, era sarcastica e dimostrava a tutti quanto fossero ignoranti e sciocchi. Era una rompiscatole: fra l’altro, invece di essere tenera con i nipotini, pretendeva che fossero bene educati e non accettava di badare a loro neanche per un paio d’ore. La soluzione che fece felici tutti fu la distanza. I parenti non andavano a trovarla e lei dimostrava in ogni modo che non aveva bisogno di loro. Fra l’altro, era di abitudini sobrie e la sua piccola pensione le era più che sufficiente.
Tutto sarebbe andato avanti così chissà per quanto tempo se il diavolo non ci avesse messo la coda: da un giorno all’altro un biglietto della lotteria regalò alla vecchia Pilar due milioni di euro. Due milioni di euro! E che poteva farne, un’anziana come lei? cominciarono a chiedersi i parenti. Qualcuno concepiva che avrebbe magari potuto fare quel “viaggio intorno al mondo” di cui amava parlare ma con meno di diecimila euro di quei viaggi poteva farne uno o due. L’unica cosa sicura è che non poteva tenere quel denaro per sé. Che farne, dunque?
Si riunì il consiglio di famiglia e parteciparono tutti i parenti, anche quelli che normalmente vivevano in Argentina. Costoro vennero dichiarando untuosamente che avevano da molto tempo in animo di venire a trovare i cari cugini. In tutto, poco meno di sessanta persone. Visto l’argomento di cui si trattava, Pilar non fu invitata: si prevedeva un aspro scontro di interessi e non si voleva che lei assistesse ad un simile spettacolo. Anche se era ovvio che lei non avrebbe potuto tenersi tutto quel denaro, non sarebbe stato bello farle capire che si era troppo impazienti per aspettare che morisse. Il suo dovere morale era di far sì che i suoi discendenti beneficiassero subito della fortuna che era naturalmente destinata a loro, senza aspettare inutilmente per qualche anno.
Malgrado questa convergenza sui doveri di Pilar, il diavolo si fece di nuovo vivo durante la riunione. Credevano di essere partiti da idee condivise e invece la discordia fu presto evidente. Bisognava lasciare una parte della somma alla vecchia: ma quanto, esattamente? Il denaro doveva distribuirlo lei stessa o darlo ad uno di loro, che si occupasse della spartizione? Il massimo del contrasto, quello che spinse tutti ad alzare la voce, si ebbe però a proposito del criterio di divisione: bisognava dividere come se si trattasse di un’eredità ab intestato, oppure semplicemente dando una quota uguale a tutti quelli che erano lì? E il cugino Alfredo con i suoi figli, che non era potuto venire, bisognava contarlo? E come reagire, se lei non fosse stata d’accordo sul criterio di spartizione? Bisognava interdirla? “Ma che dite, interdirla, quella farebbe interdire noi!” Alla fine si fece mezzanotte e i vicini telefonarono chiedendo che il baccano cessasse. La seduta fu aggiornata.
I muri delle case moderne non garantiscono certo la segretezza e qualcuno riferì il fatto all’anziana. Pilar rise divertita. “Mi avessero avvertita, gli avrei risparmiato la fatica”, spiegò. Non avrebbe dato niente a nessuno. Si sarebbe tenuto tutto, esattamente. E questo significava che la discussione era stata molto, molto prematura.
Naturalmente, quando i parenti seppero la notizia, furono sbalorditi, rattristati, indignati, addolorati, sorpresi, sconvolti, arrabbiati. Si chiesero come passare al contrattacco. Si riunirono ancora. Qualcuno propose di punirla non andando più a trovarla, ma così le si faceva un favore. Qualcun altro propose di farla decadere del titolo di nonna, ma ci si accorse che questo non è giuridicamente possibile. E comunque le sarebbe stato indifferente. Finalmente si decise che si sarebbe letto di domenica, sul sagrato, un documento in cui il comportamento di Pilar era definito immorale, egoista ed inumano. Pilar era una vecchiaccia avida e nessuno le avrebbe più rivolto la parola, finché non avesse consegnato il denaro. Avida? rise qualcuno: ma non sono loro, che vogliono i soldi? I parenti si videro dare ragione da tutti, ufficialmente, ma in realtà molti lettori di giornali, a casa loro, con quella vicenda si facevano le più matte risate.
Pilar andò ad abitare in un grande albergo, si mise a spendere a piene mani, sembrava ringiovanita ed era l’immagine stessa della serenità soddisfatta. Inoltre, faceva beneficenza a colpi di centinaia di migliaia di euro e si capì che non avrebbe lasciato un centesimo a nessuno. Ai parenti non rimase che continuare a litigare fra loro.
A questo punto si deve rivelare che Pilar di cognome si chiamava Ricardo Villari.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
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Chi vuol essere sicuro che il suo commento mi giunga, oltre ad inserirlo nel blog, me lo spedisca al superiore indirizzo e-mail.
12 gennaio 2009

 
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KEEP SMILING

Post n°236 pubblicato il 12 Gennaio 2009 da giannipardo
 
Tag: humour

CORSO DI RIQUALIFICAZIONE PER UOMINI
Corso di riqualificazione per uomini. Fondamentali differenze fra la cesta della biancheria sporca e il pavimento circostante. Immagini esplicative e precisazioni.
Corso di riqualificazione per uomini. Domanda: “la carta igienica cresce direttamente nel suo sostegno, accanto alla tazza? Si consiglia di assistere alla tavola rotonda su questo argomento.
Corso di riqualificazione per uomini. Come si diviene buoni accompagnatori della moglie in occasione delle compere? Esercizi di meditazione, relax e tecniche di respirazione.
Corso di riqualificazione per uomini. I veri uomini chiedono la strada, quando si sono persi. Esempi tratti dalla vita reale.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
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12 gennaio 2009

 
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