Il blog di Giovanni

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I 15O ANNI DALLA NASCITA DI SANTA MARIA CHIARA NANETTI

Post n°94 pubblicato il 23 Dicembre 2021 da g.raminelli

Siamo ormai prossimi al ricordo dei 150 anni dalla nascita di Santa Maria Chiara Nanetti (al secolo Clelia). Nata il 9 gennaio 1872, pochi mesi prima del disastroso evento della grande alluvione provocata dalla rotta del Po a Guarda ferrarese, la martire polesana sarà ricordata con apposite celebrazioni soprattutto nella diocesi di Adria-Rovigo, ove la sua memoria è particolarmente viva, avendo avuto i natali a Santa Maria Maddalena. Ma ad onor del vero il ricordo della Nanetti è pure vivo a Francolino dove la famiglia si fermò nel 1878 dopo molte peregrinazioni nel territorio di qua e di là dal grande fiume. Santa Maria Chiara Nanetti, ad ogni buon conto, lega la vicenda umana della sua famiglia pure a Cologna, paese di origine del padre Narciso (figlio di Nicola e di Lucia Stefanati), dove i Nanetti si stabilirono per alcuni anni e dove l’8 dicembre 1867, in località Carmignano, nacque il fratello Silvio. Di solida formazione cattolica, la famiglia diede alla Chiesa i figli Silvio e Clelia. Il primo entrò nell’ordine dei Frati Minori in quel di Ferrara ed assunse il nome di Barnaba; la seconda lo seguì e dopo un incontro con le suore Stimmatine a Ferrara, entrò a 20 anni nelle suore Francescane Missionarie di Maria. Il 10 aprile 1892 vestì l’abito religioso prendendo il nome di Maria Chiara e si trasferì per il noviziato in Francia ai Châtelets. Il 13 novembre 1898 la Madre Fondatrice le comunicò che avrebbe fatto parte del gruppo di sette suore, destinate ad una missione in Cina. Il 12 marzo 1899 s’imbarcò insieme alle consorelle e dieci frati missionari con monsignor Fogolla per la Cina e arrivò alla meta finale di Tai-yuan. Al suo arrivo, il 4 maggio 1899, trovò ad attenderla il fratello Barnaba che, inviato in Cina nel 1893, era diventato Pro Vicario apostolico nel capoluogo del Shan-si. A Chiara e alle sue consorelle venne consegnata la cura e la conduzione dell’orfanotrofio femminile. Durante la sanguinosa rivolta xenofoba del 1900 vennero decapitati circa 30.000 cristiani. Padre Barnaba Nanetti riuscì a sfuggire al massacro trovandosi in località meno esposta. Ma le grandi sofferenze prodotte dalla persecuzione, le traversie, le fatiche che dovette affrontare a più riprese lo debilitarono nel fisico portandolo alla morte nel maggio 1911. La sorella Maria Chiara dopo circa un anno di missione venne uccisa il 9 luglio 1900 a Tai-yuan durante le violenze scatenate dalla rivoluzione dei cosiddetti Boxers. In quella occasione, furono 26 le vittime del massacro: 2 vescovi, 3 missionari, 5 seminaristi, 9 fra domestici ed inservienti, e 7 suore, fra cui appunto Suor Nanetti. Papa Pio XII li volle Beati il 24 novembre 1946 mentre il giorno 1 ottobre 2000, anno centenario del loro martirio, accomunati ad un centinaio di altri martiri della Cina dei secoli XVII, XVIII e XIX sono stati proclamati “Santi” dal pontefice Giovanni Paolo II nella cornice del Grande Giubileo della Chiesa. Chi volesse approfondire la vita e la testimonianza cristiana di Santa Maria Chiara Nanetti e del fratello Padre Barnaba può attingere a numerose pubblicazioni e scritti. Vorrei qui ricordare quelli del compianto Mons. Florindo Arpa, di Franco Teodori, di Lorenzo Zavalloni. Assai ben documentato quanto appare in “Una Santa tutta Missionaria. Maria Chiara Nanetti” in Quaderno n. 11 del CEDOC.SFR Ferrara, 2009 a cura di Adriano Mazzetti con un ottimo contributo di don Gabriele Fantinati, attuale arciprete di Ariano nel Polesine. Consiglio anche i testi di Enzo Tramontani apparsi sulla rivista diocesana di Ravenna “Risveglio 2000”, in particolare il libro “Tai-yuan, L’ora del sogno. Maria Chiara Nanetti nella Cina dei Martiri” (Ed. EMI, Bologna, 2000), e “P. Barnaba Nanetti. Fratello di una Santa Martire”, voluto dal parroco di Cologna don Rino Lotto, edito nel 2001 coi tipi della Soc. Artigiana per la Stampa di Ariano nel Polesine (Ro).

 

 

GIOVANNI RAMINELLI

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In rovina la chiesa "Maria Regina Pacis" di Valgrande.

Post n°93 pubblicato il 26 Agosto 2021 da g.raminelli

Fra Berra e Cologna, in località Valgrande, ai margini della strada provinciale si trova la chiesa dedicata a “Maria regina Pacis”. Il sacro edificio, officiato sino alla metà degli anni ’70 del Novecento, risulta ora abbandonato: il tetto è in parte caduto all’interno e in più punti la struttura presenta gravi lesioni. Il complesso con attigua casa colonica, fu eretto nei primi anni del secondo dopoguerra per volontà del Canonico don Luigi Rambaldi, arciprete di Cologna dal 1930 al 1972.

Gli anni della ricostruzione vedevano nella zona di Valgrande-Marchiori una discreta presenza di famiglie, già servite da una piccola scuola costruita in epoca fascista, cui andava garantita anche l’assistenza e la vicinanza spirituale. Per tale motivo don Rambaldi decise la costruzione del complesso costituito da chiesa, campanile e casa canonica. L’intento del sacerdote era pure quello di potersi dedicare stabilmente all’assistenza spirituale di quella porzione parrocchiale al momento del suo ritiro in quiescenza: ciò tuttavia non avvenne a causa delle sue precarie condizioni di salute.

La chiesa ancora nel “Bollettino Ecclesiastico” della diocesi ferrarese dell’anno 2011 definita come “succursale” della parrocchiale di Cologna, fin dal 2017 è stata dichiarata decaduta dal culto. Strutturalmente l’edificio in pietre a faccia vista è in stile neo-romanico, con facciata a capanna, dotata di due finestre archivoltate, con una cornice di sottotetto a mensole e una croce traforata. Il portale è strombato e riquadrato con finto frontespizio triangolare. Il campanile a base quadrata presenta una cella monofora.

La casa canonica, attualmente abitata, risulta collegata al sacro edificio a piano terra con un piccolo portico e al primo piano con ballatoio.

Nei pressi, a nord, esiste la presa d’acqua del Po detta “Contuga”. In quel luogo, non lontano dall’antico insediamento di Fossasamba, esisteva già nel secolo XVII un oratorio pubblico dedicato a San Michele Arcangelo, e officiato dai frati certosini fino al 1842. La chiesetta venne demolita per consentire lavori di sistemazione dell’argine; in quel frangente vennero esumati dal pavimento i resti del padre certosino Domenico Paolo Bardelli di Ferrara morto il 14 settembre 1670.

 

Di quella chiesetta si conservò la pietra sacra, contenente le reliquie di alcuni martiri, ed è probabile che sia stata inserita nell’altare della chiesa di Valgrande quando venne costruita. Oggi però anche “Maria Regina Pacis” sembra destinata ad essere demolita, se non dagli uomini, sicuramente dalle ingiurie del tempo e delle stagioni: i segnali anche a chi transita frettolosamente sulla provinciale sono ben visibili. Un altro segno della storia e della identità della nostra gente se ne va. Purtroppo.

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Giovanni Raminelli

 
 
 

Ricordo del Maestro Alfredo Zanellato, un artista a tutto tondo.

Post n°92 pubblicato il 08 Maggio 2021 da g.raminelli

Si sono svolte ad Ariano ferrarese oggi, sabato 8 maggio, le esequie del pittore Alfredo Zanellato. Ne scrivo con commozione avendolo avuto amico caro per lunghi anni, praticamente dalla fine gli anni 70 del Novecento allorché si gestiva con lui, con la scultrice Rita Da Re, con il critico d’arte del Carlino Antonio Caggiano e con l’indimenticabile don Franco Patruno gli appuntamenti annuali del Premio di Pittura Estemporanea “Campanile d’Oro”. Un premio fortemente voluto e sostenuto a Serravalle dall’allora parroco abate don Giovanni Camarlinghi e dal presidente del Comitato Fiera Roberto Tarroni. Quel Premio portò la parrocchia a dotarsi di tele di artisti noti e meno noti con cui nacque la Pinacoteca Parrocchiale di Arte Contemporanea. Non solo, donò una sua interpretazione della chiesa e del campanile con cui si realizzò la copertina del mio libro del 1980 sulla storia del nostro paese. Alfredo era già, in quegli anni, un artista a tutto tondo, affermato e conosciuto non solo in Italia ma anche a livello internazionale. Aveva vinto il primo premio alla European Art di New York nel 1962, cui seguirono mostre in Russia, in Australia, in Nuova Zelanda in Romania, in Jugoslavia, in Francia.  Già dal 1955 partecipò a collettive nelle principali città italiane con presentazioni e lusinghiere attestazioni di merito di Balestrieri, Prete, Portalupi, Spinelli, Brindisi, Quilici-Buzzacchi, Breddo, Tieto, De Grada, Giuliani Oltre duecento i premi di rappresentanza e di acquisizione, oltre ad una quarantina di primi premi. Fra i riconoscimenti più prestigiosi la Medaglia d’Oro del Presidente della Repubblica e quella della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Pittore che ha rappresentato il Polesine, la quotidianità, senza dover ricorrere a linguaggi privilegiati ma con uno stile caldo, personalissimo, accattivante segno di un raggiunto equilibrio tra le cose reali e l’idea di amore per l’umanità e per la vita, Zanellato ha esposto anche al Palazzo dei Diamanti in Ferrara e, recentemente, con una magnifica personale presentata dal comune amico Giuliani Galeazzo nelle sale del Castello Estense della Mesola. Ritratti di una quotidianità con volti puliti, ancora emergenti da una civiltà contadina mai consegnata in alcuna sua tela alla retorica e alla nostalgia, Alfredo ce li ha offerti anche nelle poesie. Sì, anche la poesia, quella che potremmo scrivere con la P maiuscola, codificata in versi gradevolissimi e toccanti nella bellissima pubblicazione del 1997 “Parole & Immagini”, corredata da tante riproduzioni di sue opere, con una prefazione di Ottorino Stefani e un ottimo saggio critico di Renzo Biasion. In una bellissima poesia dedicata alla moglie, conclude la composizione scrivendo: “E se dovessi un giorno/al passo della vita cedere, /chìnati a sollevarmi/ e chiedimi se ancora/ vivo per te”. Zanellato vive nelle sue opere, nei suoi versi, soprattutto vive nel ricordo e nell’affetto dei famigliari e di quanti hanno avuto il privilegio di averlo per amico. Ciao, Alfredo!

 

 Giovanni Raminelli

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Breve storia della chiesa abbaziale parrocchiale di S.Francesco d'Assisi in Serravalle (Ferrara)

Post n°91 pubblicato il 05 Maggio 2021 da g.raminelli

La storia della chiesa di Serravalle, e del consolidarsi del nucleo abitativo della comunità, può farsi di certo risalire al momento in cui, al tramonto della presenza degli Estensi nel ducato ferrarese con la morte di Alfonso II, il conte Alessandro Pasqualetto Giglioli del fu Ottavio decise di costruire un oratorio dedicato al Poverello d’Assisi. In quell’epoca il territorio, con le famiglie ivi insediate, era soggetto ab immemorabili alla giurisdizione della diocesi di Adria e l’assistenza spirituale era garantita parte dai sacerdoti della parrocchia di Papozze e parte da quelli di Ariano nel Polesine. Il disagio più particolare della popolazione, per portarsi alle due sedi parrocchiali per soddisfare il precetto festivo o per l’adempimento di altre pratiche religiose, era enorme, ulteriormente accresciuto dalla impraticabilità delle strade in tempo di pioggia e, in generale, durante la stagione invernale, senza dimenticare le periodiche e pericolose piene del fiume Po. Si tentò di ovviare, in parte, alle difficoltà con il convogliare gli abitanti della zona poste in fronte all’abitato di Santa Maria in Punta (detta allora “del Traghetto”) a quella chiesa che, proprio in quegli anni, palesò d’essere insufficiente a contenere non solo gli abitanti locali ma anche quelli che costituivano la porzione serravallese.

Il Giglioli, erigendo l’oratorio di Serravalle, dotandolo di rendite abbastanza cospicue (parte delle decime di cui egli era stato investito dall’antica Abbazia di Gavello), nonché di suppellettili, ebbe l’indiscusso merito di aver favorito l’aggregazione comunitaria sia dal punto di vista religioso che sotto il profilo civile. Nel corso di una Sacra Visita Pastorale effettuata il 9 settembre 1603 si apprende che il sacro edificio era ancora da rifinire e carente pure di un campanile (quest’ultimo costruito addossato alla parete nord solo dopo il 1607). Proprio in quell’anno, più precisamente il 10 settembre, i conti Ippolito e Alfonso Giglioli, del fu Scipione, rappresentati dal Procuratore Domenico Vallarolo, ed eredi legittimi del fondatore, presentarono al Vescovo di Adria il Rev.do don Francesco Bonfioli della diocesi di Cervia perché venisse nominato Cappellano perpetuo. Secondo il testamento del fondatore il sacerdote avrebbe dovuto celebrare ogni settimana una santa messa per l’anima del fondatore e dei suoi defunti, come pure celebrare la santa messa in tutti i giorni di festa. L’atto di nomina del cappellano e la sua immissione "in forma solenne" nel possesso perpetuo dell'oratorio porta la data del lunedì 8 ottobre 1607.

A seguito della morte di don Bonfioli (il sacerdote fece testamento nel 1613 con atto di Gaspare Rasori, notaio di Ariano nel Polesine), i conti Giglioli nell’anno 1614 presentarono al vescovo di Adria, per la nomina a Cappellano perpetuo, il conte don Alfonso Giglioli. La nomina di un famigliare, nonostante questi non avesse mai celebrato nella chiesa di Serravalle (che era officiata da un sostituto; sappiamo, ad esempio, della presenza nel 1633 di don Domenico Motta.), consentiva il rientro nella casata degli introiti delle decime. Alfonso Giglioli seguì gli onori di una brillante carriera ecclesiastica giungendo ad alte cariche. Già nell'anno della sua nomina a Serravalle lo ritroviamo con il titolo di protonotario apostolico. Divenne quindi governatore di Camerino, ambasciatore del Pontefice in Firenze ed ebbe pure la nomina a vescovo di Anglona. Il suo nome figura nel Dizionario Biografico degli Italiani.

Deceduto mons. Alfonso Giglioli il 24 marzo 1630, trascorsero ben otto anni prima che venisse nominato per Serravalle un altro Cappellano perpetuo. Risale al 19 ottobre 1638 la redazione di un mandato di procura voluto dal conte Francesco Giglioli nella persona del Rev.do don Sperandio Rasi per la presentazione al Vescovo di Adria, e per la successiva nomina a Cappellano perpetuo, del conte don Giovanni Giglioli, figlio di Galeazzo. Don Giovanni Giglioli, in quell’epoca, deteneva già il titolo di Priore della chiesa di San Leonardo in Ferrara oltre a gestire interessi con il cardinale Antonio Barberini, perpetuo commendatario della chiesa di Santa Maria di Gavello, grazie ai cui buoni uffici ottenne con Breve Pontificio, dato in Roma presso la basilica di Santa Maria Maggiore del 15 maggio 1639 il titolo perpetuo di “Abbazia” alla chiesa di Serravalle e di “Abate” al sacerdote che vi venisse immesso.

Alla morte dell’Abate Giovanni, collocabile tra il 1665 e i primi mesi del 1666, con atto del notaio Alessio Tabarrini datato 23 agosto 1666 venne nominato Abate di Serravalle il canonico Decio de Quochi o Cocchi di Roma, il quale rinunciò alla prebenda in manu Sanctissimi.

In conseguenza di ciò, con rogito del notaio Domenico Nali datato 5 aprile 1684, venne eletto Abate il conte don Galeazzo Giglioli.

Alla morte del Giglioli, la Dataria di Roma conferì il titolo abbaziale al reverendo don Giuseppe Marsigli in data 30 gennaio 1694, già primo e perpetuo Rettore della chiesa di San Luca in Ferrara col titolo di Canonico.

Al Marsigli subentrò attorno al 1738 il Marchese don Gherardo Bevilacqua presentato al Vescovo di Adria dal conte Riccardo Giglioli. Il Bevilacqua tuttavia lasciò lo stato ecclesiastico cedendo di fatto l’Abbazia di Serravalle al sacerdote don Antonio Schiavi (nominato il 13 aprile 1761, deceduto il 20 febbraio 1797). Sono di quell’epoca le controversie giudiziarie che contrapposero i Giglioli ai Bevilacqua in merito al diritto di nomina degli Abati di Serravalle e derivanti dai legami di parentela fra le due casate. Infatti, il conte Ippolito, figlio di Scipione d’Alfonso Giglioli, e fratello del vescovo Mons. Alfonso, sposò Costanza Bevilacqua da cui nacquero i figli Scipione, Francesco, Lucrezia e Costanza. Lucrezia, a sua volta, si unì in matrimonio con Onofrio Bevilacqua ed ebbe un unico figlio, Riccardo, che portò entrambi i cognomi Bevilacqua e Giglioli. Di qui il preteso diritto dei Bevilacqua di nominare gli Abati di Serravalle. Ma la sentenza del 1797 confermò ai Giglioli, originari fondatori e costruttori della chiesa, il diritto di nomina. In conseguenza di ciò il 10 marzo 1797 venne presentato al vescovo di Adria il sacerdote don Giovanni Antonio Crepaldi. La sua nomina porta la data del 3 giugno 1800.

Alla morte del Crepaldi, avvenuta il 16 aprile 1802, si presentò in data 22 aprile di quell’anno don Angelo Reali, immesso poi ufficialmente nel possesso abbaziale in data 9 maggio 1803. Nel 1818 con Bolla del pontefice Pio VII De salute dominici gregis le comunità di Berra e di Serravalle passarono dalla diocesi di Adria a quella di Ravenna, con aggregazione per la responsabilità della cura d’anime alla chiesa arcipretale di Santa Margherita V.M. di Cologna.

Deceduto il Reali in data 26 dicembre 1824, i Giglioli presentarono all’arcivescovo di Ravenna in data 13 settembre 1825 don Luigi Bianchi, originario di Mezzogoro. Sacerdote perennemente in conflitto con i giuspatroni e con i superiori a causa di una gestione discutibile tanto del ministero sacerdotale che del beneficio, ostacolò per un trentennio la trasformazione dell’Abbazia di Serravalle in parrocchia. Ritiratosi in famiglia e rinunciato il titolo di Abate, gli subentrò nel 1855 don Angelo Malandri.

Con l’approvazione dei conti Giglioli e con soddisfazione dell’intera comunità, in data 11 giugno 1858 (rogito del notaio Luigi Ferrarini) la chiesa di Serravalle divenne “Abbazia parrocchiale”. Il Malandri lasciò la cura pastorale nel 1885 al faentino don Pio Minghetti che la tenne fino al 1908, allorché in data 1 novembre di quell’anno venne sostituito da don Primo Filippetti. Tre anni appresso ebbe la nomina ad Abate Parroco don Giuseppe Minguzzi, ricordato per aver ricostruito il sacro edificio e aperto un asilo infantile fra i primi dell’arcidiocesi ravennate.

Con la morte di don Minguzzi (24 giugno 1931) si ebbe la nomina del sacerdote don Adamo Zani, dopo pochi mesi sostituito da don Giovanni Baravelli (il cui ingresso ufficiale avvenne il 17 aprile 1932). Con la sua rinuncia al beneficio parrocchiale attuata nei primi mesi del 1950, l’arcivescovo di Ravenna inviò il 26 aprile 1950 don Giuseppe Fabbri (immesso ufficialmente il 22 ottobre 1950). Nominato il Fabbri direttore spirituale del Seminario di Ravenna, la chiesa abbaziale parrocchiale di Serravalle ebbe il nuovo nominato nella persona di don Francesco Migliorati (immesso il 4 ottobre 1958).

Il 18 maggio 1966 Serravalle e gli altri paesi della cosiddetta “Pentapoli” ravennate passarono sotto la giurisdizione della Arcidiocesi di Ferrara. Nominato il Migliorati Vicario Foraneo a Coccanile, l’11 giugno 1967 ebbe l’immissione ufficiale quale Abate parroco di Serravalle il sacerdote ferrarese don Silvio Padovani, poi inviato alla fine del 1973 a reggere la parrocchia di Quacchio. Dall’1 gennaio 1974 e con ingresso ufficiale datato 4 agosto 1974 il nuovo investito fu don Giovanni Alberto Camarlinghi, che resse la comunità fino ai primi giorni del febbraio 1985.

 

Dal 15 febbraio 1985 la nomina passò a don Carlo Maran (ingresso il 24 febbraio 1985), che lasciò la parrocchia nel 1992 e a cui subentrò ufficialmente dal 6 gennaio 1993 per trasferimento da Mezzogoro il sacerdote don Michelangelo Sandri. Questi, dopo un lungo periodo di malattia e di sofferenza, morì in Serravalle il 6 giugno 1996. Gli subentrò don Giogio Caon, fino al 2016, e da quella data don Andrea Masini, tutt’ora Abate parroco di Serravalle.

Giovanni Raminelli

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Un nuovo libro di Raminelli con le famiglie di Berra e Fossasamba dal 1787 al 1808.

Post n°90 pubblicato il 08 Febbraio 2021 da g.raminelli

Ancora un interessantissimo lavoro di ricerca storica del Dott. Giovanni Raminelli ha visto la luce proprio in questi giorni. Si tratta di un libro in formato A4 di quasi 90 pagine che reca un titolo esplicativo del suo contenuto: “Famiglie di Berra e Fossasamba dall’anno 1787 al 1808 negli stati d’anime conservati nell’Archivio della Chiesa Parrocchiale di Villanova Marchesana (Rovigo)”.  Berra e la vicina località di Fossasamba erano parte della parrocchia di Villanova e tali rimasero fino al passaggio dalla diocesi di Adria a quella di Ravenna nel triennio 1818-1821. Raminelli ci presenta lo stato demografico del lungopò berrese con una miriade di dati e di rimandi alle situazioni territoriale, religiosa ed abitativa con la possibilità di un confronto fra i dati del 1787 e quelli del 1808. Il testo è corredato di alberi genealogici, elenchi, annotazioni storiche e trascrizioni di documenti attinenti la vita delle genti di qua e di là dal Po. La pubblicazione riporta notizie e dati sulla composizione di numerosissime famiglie molte delle quali ancora insediate nella zona. Eccone un elenco: ALBIERI, ANDREOTTI. ARMARI. BALLARINI. BARUFFA. BATTAGLIA. BECCATI. BERGAMINI. BIGANI. BIOLCATI. BISI. BOMPANI. BONINCONTRI. BRANCALEONI. CAGNOTTI. CANETTI. CANIATTI. CAPATTI. CASTAGNARI. CASTELLANI. CATTANI. CAVALLARI. CAVECCHIA. CESTARI. CHIARATI. COLLA. CORNETTI. CREPALDI. CURINA. DAINESI. DOATTI. DUO’. FABRI. FELLISATTI. FERRO. FINOTTI. FORECHI. FRANCHI. GALETTI. GAMBONI. GARENTI. GHIRARDI. GIOVANNINI. GRANDI. GRASSI. GUARNIERI. LUISARI. LORENZETTI. MANTOVANI. MARZOLA. MASIERI. MATTIOLI. MAZZOCCHI. MISSOLI. NEGRINI. NICCHIO. NOCENTI. NOVI. PAGANINI. PAMPANI. PASQUALI. PAVANI. PERDOMI. PILLAN. PIVA. PIVANTI. POCATERRA. POLLESENANI. POZZATI. PREVIATI. RADINI. SIVIERI. SPADONI. STEFANATI. TRONCONI. TUMIATTI. VALLI. VERONESI. ZAGATI. ZAMBAGLIA. ZANELLA. ZERBINI

Non va dimenticato che l’avere a disposizione i registri degli Stati d’anime conservatisi nel tempo risulta indispensabile ai ricercatori e agli studiosi di storia locale per ricostruire l’assetto demografico di una comunità o di un intero territorio. Raminelli, da ottimo genealogista ha voluto protrarre il suo sforzo per consentire un soddisfacente cammino di conoscenza a chi è desideroso di andare alla ricerca delle proprie origini, consultando i tanti alberi genealogici ricavati dall’esame dei registri canonici. D’altra parte va sottolineato che un adeguato utilizzo dell’indagine storica può condurre a ricostruire e tramandare le origini familiari, le discendenze e i legami di parentela. Questa preziosa ed unica ricerca ricerca può fornire conoscenze circa l’evoluzione della onomastica e aiutare a ricostruire collegamenti e legami con altre famiglie, talune estinte, altre emigrate in regioni lontane da quella di origine se non addirittura all’estero, ma altre magari ancora presenti in una limitrofa area geografica. Inoltre, avendo a disposizione altri documenti, è stato possibile al Dottor Raminelli realizzare una descrizione di matrimoni celebrati dal 18 aprile 1803 al 28 luglio 1806, specificando che alcuni riti si svolsero nella parrocchiale di Villanova Marchesana, altri negli oratori di Canalnovo e della “Chiesuola metà Ferrarese e metà Veneziana”, altri ancora nelle chiesette di Fossasamba e di Berra. Insomma un libro indispensabile per conservare la memoria storica della zona, un libro in sole 150 copie numerate e firmate dall’Autore che, in attesa della presentazione ufficiale (restrizione pandemica permettendo) possono essere reperite e/o richieste a Raminelli. Chi fosse interessato può mettersi in contatto con l’Autore scrivendo all’indirizzo mail   historicus@outlook.it

 

Zan.Di.Pac.

 

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