Creato da gio_bat24 il 24/10/2010

S. Giovanni Battista

La festa di San Giovanni

 

 

La festa di San Giovanni Battista

Post n°3 pubblicato il 03 Dicembre 2010 da gio_bat24
Foto di gio_bat24

Francesco Trevisani - Battesimo di Gesù   

 

CONSIDERAZIONI

C che accomuna i festeggiamenti è il fuoco.
È molto interessante il particolare della purga da assumere prima del bagno, prescritta come una precauzione medica ma evidentemente non necessaria, se questo uso si è perso.
Continuando nelle interviste all'interno della Tholos e anche all'esterno siamo venuti a conoscere altri particolari.
Il racconto di Lidia Soggiu.
Il 24 giugno era il giorno nel quale noi passavamo dalla maglia di lana a quella di cotone, a prescindere dalla temperatura. Inoltre prendevamo una purga che era olio di ricino. La mattina del 24 giugno mia nonna ci portava al mare, davanti alla chiesa di San Giovanni e ci faceva bagnare i piedi. Da allora iniziava la stagione balneare.

Da altre fonti abbiamo scoperto che le mamme avevano i loro mezzi per scoprire se i figli maschi, più trasgressivi,  avevano fatto il bagno in mare prima del 24 giugno. C'era chi si accorgeva lavando gli slip poiché il sapone non scorreva; c'era poi chi, incredibile a dirsi, arrivava ad "assaggiare" i polpacci del proprio figlio per capire se sapevano di sale e lo faceva con la pompa in mano, pronta a dare una dolorosa punizione. Abbiamo discusso per capire le motivazioni di questa mamma e molti di noi pensano che volesse accertarsi che suo figlio non avesse trasgredito al divieto di bagnarsi prima di San Giovanni.

Oggi che abbiamo perso questo tabù ci chiediamo quale fosse il motivo di tale proibizione. Ad Alghero c'era il detto "San Giuan lu primè ban" (A San Giovanni il primo bagno). Non ne avevo mai capito il significato. Alla luce di queste testimonianze diventa chiaro.
Un altro particolare che mi viene in mente è che ogni volta che facevamo un bagno nel mare prima di tuffarci facevamo il segno della croce. L'uso potrebbe essere interpretato come la richiesta di una protezione poiché il mare può essere pericoloso, ma potrebbe essere anche un antico gesto che sottolinea il valore purificatore dell'acqua. Qui però siamo nell'ambito delle ipotesi.

L'ABERO DELLA CUCCAGNA

L'albero della cuccagna presente nella festa di san Giovanni merita un approfondimento. Secondo James Frazer l'albero della cuccagna è collegato ai culti arborei della fertilità che si svolgevano in primavera presso popolazioni di origine celtica.
In antichità i Celti appendevano all'albero consacrato alcune focacce (kuchen) come offerta agli dei. Attorno all'albero sacro si festeggiavano anche i due solstizi.
Nei paesi anglosassoni c'è ancora il maypole (palo di maggio) il lungo tronco di un albero decorato in vari modi e talvolta corredato di lunghi nastri che alcune fanciulle tengono per mano danzando.

L'arrampicata all'albero della cuccagna che è molto alto non è priva di rischi, oltre ad essere quasi impossibile se eseguita individualmente. Infatti il palo è privo di appigli ed è cosparso di sostanze vischiose.
Ad Alghero i concorrenti si arrampicavano uno alla volta aiutandosi con una corda legata ad una tavoletta.

Indubbiamente era uno spettacolo divertente e coinvolgente. Chi arrivava in cima prendeva tutto quanto vi era stato appeso. In tempi di ristrettezze come quello del dopoguerra era senz'altro una bella vincita.

Pare che i pali provenissero da Porto Torres e che fossero in realtà alberi di grandi barche alti almeno 5-6 metri e più. Venivano cosparsi di grassi naturali o di pece. In seguito si usò anche olio per macchine. In cima si collocava un cerchione di bicicletta e lì venivano legati i "premi" tra i quali figurava sempre una gallina viva legata per le zampe, con la testa all'ingiù.

Alla base si disponevano almeno tre ragazzi che facevano da appoggio. Da li' partiva colui che doveva tentare l'arrampicata che diventava possibile solo dopo molte prove, quando le sostanze grasse erano state asportate. La vincita veniva divisa tra i membri del gruppo che avevano così modo di festeggiare alla grande.

 
 
 

La festa di S. Giovanni ad Alghero - Ricerche sui libri

Post n°4 pubblicato il 22 Gennaio 2011 da gio_bat24
 

LA FESTA DI SAN GIOVANNI BATTISTA AD ALGHERO

Ricerche sui libri e su internet

JOAN PALOMBA - In "Tradizioni , usi e costumi di Alghero" (1911) - scriveva che

"La festa di San Giovanni è una delle più tipiche e originali, la chiesa è situata fuori dal centro della Città, è annessa all'antico convento dei Cappuccini.
Alla vigilia, verso il tramonto, comincia un vero e proprio pellegrinaggio che dura quasi tutta la notte: molte persone, per voto, vegliano in chiesa pregando.
Il piazzale è affollatissimo, dove sono improvvisate per l'occasione rivendite di torrone, liquori, dolci, noci, nocciuole, aranci, lotterie, ecc.

Alcuni fanno il bagno della mezzanotte perché in quell'ora si crede di raccogliere un erba speciale risplendente, detta PURIOL, che guarisce tutti i mali.
L'indomani alla mattina, le funzioni religiose, la sera corse di cavalli, albero della cuccagna, fuochi d'artificio, corse nei sacchi, gare poetiche. È usanza in questo giorno farsi compari e comari ".
Ultima modifica di Massimiliano Lepri

Nel 1995 il Comune di Alghero (sindaco Carlo Sechi, assessore alla cultura Carlo Demartis) pubblicò un libretto intitolato "Festa dels focs de Sant Joan - Festa del solstici d'estiu).
La pubblicazione riporta le testimonianze di Joan Amades (Costumari català - 1950-1956) e di Antoni Ciuffo (noto come Ramon Clavellet n. 1879 - m.1912?).

Joan Amades nel libro "Costumari Català" pubblicato tra il 1950 e il 1956 ci racconta che ad Alghero durante la festa di San Giovanni i bambini compravano un bambolotto di pasta dolce chiamato canalleru o munycot.
Nelle bancarelle si vendevano anche torroni, marmellate, noci, noccioline, vino e carrube.
Era usanza anche fare il bagno a mezzanotte in punto per essere preservato da ogni male per un anno intero.
Ma la notte di San Giovanni è anche il momento ideale per predire il futuro delle ragazze da marito. Allo scoccare della mezzanotte le ragazze gettavano un garofano dalla finestra. Il futuro marito avrà il nome di colui che raccoglierà il garofano.

Anche Ramon Clavellet (Antoni Ciuffo 1879-1912) ci dà la sua testimonianza che risale a fine ottocento, primi del Novecento. Il poeta sassarese sembra infastidito dalla festa e dice che i bambini tirano le giacche dei genitori chiedendo un soldino per comprare cavalluccius e mugnichetas di pasta dolce.
Le ragazze non sposate fanno la prova del piombo "nota in Catalogna e altre località".
E dice ancora: "La notte della vigilia tutti gli algheresi vanno a riempire la piccola navata della chiesa, dove cantano certi gosos che non trascriverò perché sono in dialetto sardo.
Nell'insieme, gran concorso di pubblico, molta animazione, suoni e canti che durano fino alla mezzanotte, ora in cui ognuno si ritira a casa sua lasciando i devoti di Bacco, i quali, stesi per lungo nel fossato aspettano la luce del nuovo giorno."

In una rivista degli anni ottanta Antonello Colledanchise parla della festa.

Dice che la notte del 23 le ragazze algheresi mettevano dell'acqua in una pentola, quindi aggiungevano il piombo. Aumentavano il fuoco e quando il piombo era sciolto recitavano questa preghiera:
En nom del Pare, del Fill
i de l'Espirit Sant.
San Joan meu
feu-me veure qui empleu
tengarà lo marit meu.

In nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo
San Giovanni mio fammi vedere quale mestiere
avrà mio marito.

Nota: "Fare il piombo" era una delle usanze più diffuse in Sardegna. Dalla forma che assumeva il piombo sciolto al contatto con l'acqua si traevano pronostici sul futuro.

Quando un bambino cadeva e sbatteva la faccia per terra, tirandolo su si ripeteva:
San Joan, San Joan
que te fassi bò i gran
San Joan Baptista
que te dongui bona vista.

San Giovanni, San Giovanni
che ti faccia buono e grande
San Giovanni Battista
che ti dia buona vista.

Aggiunge poi che la vigilia di San Giovanni i ragazzi algheresi prendono sedie, mobili, tavole e altri legni che bruceranno di notte in un gran fuoco che verrà acceso in mezzo a una piazza e che sarà saltato dai più giovani. Gli adulti seduti in circolo diventano "compari e comari".

 

 

 
 
 

Alberto della Marmora: La festa di San Giovanni in Sardegna - Il comparatico

Post n°5 pubblicato il 18 Febbraio 2011 da gio_bat24

ALBERTO DELLA MARMORA

IL COMPARATICO

Presentiamo la testimonianza di Alberto della Marmora che descrive una cerimonia di comparatico molto particolare che si svolgeva ad Ozieri e nel nuorese.
Poi scopriremo tradizioni singolari come quelle dell'acqua muta presente nel nuorese e a Palau, e quella della "Focaccia di fiori" di Fonni.

Alberto della Marmora riporta in maniera dettagliata il rito del comparatico in uso ad Ozieri e nel nuorese.

Della Marmora dice che il comparatico di San Giovanni è in uso solo nelle campagne ed è un legame importante e rispettato. Due mesi prima della festa i due persone di diverso sesso si scelgono. Alla fine del mese di maggio la donna prende una corteccia di sughero e ne fa un vaso. Lo riempie di terra e vi semina del grano. Dopo venti giorni il grano è cresciuto e viene chiamato erme o nènneri.
Il 24 giugno i due compari accompagnati da molte persone si dirigono verso una chiesetta nei dintorni dove uno dei due lancia il vaso contro la porta.
Viene dunque fatta una frittata con delle erbe e infine, tenendosi per mano ciascuno dei due ripete: Compare e comare di san Giovanni. La festa finisce con un ballo che dura molte ore.

Ad Ozieri durante il Corpus Domini, alla fine di maggio, in un vaso fatto di sughero si semina del grano. Il 23 giugno quando il grano è in piena vegetazione l'erme, rivestito di seta e decorato con nastri colorati, bandierine e altri fronzoli viene collocato in una finestra sopra un telo di seta. A volte vi si aggiunge una bambolina di stoffa o una figura umana fatta con pasta di farina. È la stessa che anticamente si usava nelle feste di Hermes fino a quando le autorità ecclesiastiche hanno vietato l'uso di tali simulacri.
Il vaso erme è preparato da ragazze e attira l'attenzione dei giovanotti del luogo. Durante la notte si balla e infine ci si riunisce davanti ad un grande fuoco acceso di fronte a casa.

Quelli che vogliono diventare compari e comari di San Giovanni si mettono uno di fronte all'altro con in mezzo il fuoco. Tengono con la destra le estremità di un lungo bastone che spingono tre volte avanti e indietro in modo che le mani destre passino sopra il fuoco. Così diventano compari e comari.
Della Marmora osserva che l'erme o nènneri ricorda i "giardini di Adone", che era una festa solstiziale nella quale il vaso con il grano si gettava a fine cerimonia. Anche gli Ateniesi preparavano un vaso con germogli di grano per la festa di Hermes Aethonius. Aggiunge che anche la cerimonia del bastone da passare sul fuoco ha origini antichissime.

Lo studioso conclude che i riti della festa di San Giovanni si collegano al culto fenicio di Adone e con quello di Hermes greco che si svolgevano al solstizio d'estate.

Alberto della Marmora - Viaggio in Sardegna - Editrice Archivio Fotografico Sardo - Nuoro- 1997

Ci sono diversi modi per stabilire il comparatico di San Giovanni. Grazia Deledda ci chiarisce il valore di questo legame nel romanzo "Marianna Sirca".
Simone e Costantino sono compari di San Giovanni e in un momento di disaccordo Costantino dice a Simone:
-Ricordati che ci siamo giurati fede la notte di San Giovanni; e il compare di San Giovanni, quale io sono per te e tu per me, è più che la sposa, più che l'amante, più che il fratello, più ancora del figlio. Non c'è che il padre e la madre a superarlo.

Marianna Sirca di Grazia Deledda, Newton Mammut, 1993, pag. 735

 
 
 

Vittorio Lanternari: Il comparatico di San Giovanni

Post n°6 pubblicato il 19 Febbraio 2011 da gio_bat24
 

 

VITTORIO LANTERNARI

IL COMPARATICO NEL NUORESE E AD OZIERI

Vittorio Lanternari descrive la cerimonia del comparatico riportando la descrizione fatta dal Bresciani.
Il Bresciani dice che in certe località del nuorese il comparatico di San Giovanni si svolge in forme orgiastiche e secondo un rituale altrettanto significativo.
"A fine di marzo o ai primi di aprile un uomo del villaggio si presenta ad una donna del vicinato e le chiede amichevolmente se per tutto quell'anno sia contenta di essere sua comare poiché egli le si offrirebbe assai volentieri d'essere suo compare. E siccome la famiglia della donna tiensi onorata di questo comparatico, la sposa (sic) risponde piacevolmente di si".

Ed ecco il nucleo del rito:
"Sulla fine di maggio la futura comare prende un largo pezzo di corteccia di sughero, l'avvolge a formarne un vaso, riempie questo vaso di terra e vi semina un pizzico di grano. Dopo una ventina di giorni, innaffiandolo con cura ne esce un ciuffo d'erba, che rapidamente infoltisce sì da apparire pienamente rigogliosa esattamente per il 24 giugno. In questo giorno il compare e la comare, riccamente vestiti ed accompagnati da un lungo corteo preceduto da bambini e giovinette festanti, prendono quel vasetto vegetale contenente le piantine di grano cui vien dato il nome di Erma o Nenneri, e muovono verso la campagna."

Giunti alla chiesuola fuori del villaggio, s'arrestano sul prato e gettano il vaso contro la porta della chiesa, ove si spezza. Indi con letizia si mettono tutti a sedere e mangiano ... La turba di poi, unita per mano, con canti e musica fa festa ai due sposi (sic). E la festa si protrae fino a sera."

Nel Nuorese manca la figuretta femminile che era presente ad Ozieri. Tuttavia il rito rimanda alla religione dei primi agricoltori neolitici sardi, con le loro statuine muliebri sepolcrali.

 
 
 

Considerazioni sul comparatico di San Giovanni

Post n°7 pubblicato il 20 Febbraio 2011 da gio_bat24
 

Considerazioni sul comparatico di San Giovanni

Vittorio Lanternari analizza i riti descritti dal Lamarmora ed osserva che la bambolina femminile o la figurina muliebre fatta con farina impastata veniva adoperata come elemento significativo nel grande complesso festivo di San Giovanni, ed era collocata precisamente sopra l'erma, un vasetto di terra entro cui si facevano crescere per l'occasione piantine di frumento seminato pochi giorni avanti alla festa.
Una ragazza allestiva e alimentava il vasetto e lo custodiva insieme con la pupattola. La ragazza attendeva in questo modo di celebrare, nella festa imminente, il suo "comparatico" ossia quella particolare forma di unione sacra e solenne fra un giovine e una giovinetta, che resta come una delle vestigia arcaiche e pagane sia pure cristianamente riplasmate della tradizione così clamorosamente pagana, di san Giovanni.

Il comparatico di San Giovanni attraverso le trasformazioni subite per opera del cristianesimo, appare originariamente un simbolico sacro rito nuziale, una ierogamia simbolica consumata sui campi. Ora, il destino delle piante (il grano) e della donna sono identificati in modo simbolico e significante, in virtù del rito dell'erma di Ozieri. La pupattola è il probabile resto di un'antica divinità pronuba e tellurica, protettrice del destino muliebre e dei campi. Il Lamarmora afferma che l'autorità ecclesiastica proibì l'uso del simulacro muliebre e della pupattola di farina.

Lanternari precisa che tra comare e compare c'era il divieto assoluto di sposarsi e di intrattenere rapporti meno che casti. Giuseppe Pitré nel suo libro "Usi e costumi" riferisce che la Costit. Sinod.(sic) di Monreale sanzionava con quattro anni di carcere chi trasgrediva tale regola. Pare infatti che il vincolo sacro del comparatico fosse frequentemente violato.

 

Secondo Lanternari la festa di San Giovanni incarna due temi fondamentali: morte-rinascita e fecondità-fertilità.
La presenza di idoletti femminili nelle tombe richiama il tema della morte-rinascita.
Il sughero ricavato da un albero assai diffuso in Sardegna richiama l'idea della rinascita in quanto periodicamente viene tagliato e ricresce.

In conclusione si comprende da questi riti che la sessualità umana era vista come compenetrata con la fertilità delle piante e degli animali, elementi fondamentali per popoli di agricoltori e allevatori. Quindi il lasciarsi andare a pratiche sessuali orgiastiche non era un fatto di immoralità, ma era finalizzato al benessere della comunità. La chiesa chiaramente non ne condivideva le finalità e le riprovava ma era molto difficile sradicare le convinzioni delle popolazioni rurali.
Dall'abbondanza del prodotto dipendeva l'esistenza stessa della comunità e le cerimonie erano fondamentali. Non si potevano assolutamente abbandonare, pena la carestia e la fame.

Giuseppe Pitré (n. 1841- m. 1916) studiò a lungo le tradizioni popolari siciliane.

Nel suo libro "Storia della mia vita" Giacomo Casanova fa un accenno al comparatico. Nel III capitolo del II volume a pag. 84-85 si legge:

"... nonostante uno dei congiurati fosse mio compare di San Giovanni e questa parentela spirituale gli desse su di me un titolo inviolabile e più sacro che se fosse stato mio fratello, decisi che dovevo fare andare in fumo quell'infame piano."

Poi continua:

"Dopo pranzo, il mio compare di battesimo mi mandò a chiamare ...."

Siamo a metà del 1700 a Venezia e il dialogo si svolge nella prigione dei Piombi. Con mia sorpresa ho notato che il comparatico di cui si parla è quello del battesimo e questo particolare mi fa capire che il nesso tra il comparatico del fuoco e quello del battesimo è proprio San Giovanni che battezzò Gesù. Lo stesso vincolo che si stabilisce tra il padrino e i genitori del battezzato si può ottenere saltando il fuoco di San Giovanni in coppia. Questo si deduce dal fatto che il comparatico di battesimo viene definito Comparatico di San Giovanni.

Giuseppe Pitré  riferisce un'altra forma di comparatico che si otteneva in Sicilia con piantine di basilico. Se una ragazza nel giorno di San Giovanni Battista manda ad un'amica una piantina di basilico le due ragazze diventano "comari di basilico".

Di quest'usanza parla anche Giovanni Verga che scrive: "La Barbara aveva perciò mandato in regalo alla Mena il vaso del basilico, tutto ornato di garofani, e con un bel nastro rosso, che era l'invito a farsi comare."

I Malavoglia, Giovanni Verga, Mondadori, BMM, 1961, pag.108

 
 
 

I Giardini di Adone

Post n°8 pubblicato il 22 Febbraio 2011 da gio_bat24
 

 

I GIARDINI DI ADONE

Alberto della Marmora paragona l'erma o nènneri ai "Giardini di Adone"

Adon in cananeo significava Signore. Nell'ebraico biblico Dio viene indicato anche come Adonai, mio Signore.
Adone era un dio di origine fenicia (proveniva da Biblos) e rappresentava la vegetazione che muore. Ad Atene durante le feste a lui dedicate il simulacro del dio morto veniva seppellito. Insieme veniva esposto un vaso di grano appena germogliato, che veniva gettato ritualmente nell'acqua.
Infatti il Giardino di Adone cresce rapidamente e altrettanto rapidamente muore.
Naturalmente Adone era un bellissimo giovinetto e il termine adone indica ancora un uomo molto bello.

Lanternari trova molte similitudini tra i riti di Adone e il comparatico di San Giovanni.
Il tema morte-rinascita richiama la forza rigenerante del seme messo nella nuda terra: il seme muore, nasce una pianta. I monumenti funerari sono ricchi di simboli di rigenerazione. Nel momento in cui il sole perde le sue energie vitali e sembra morire, al solstizio d'estate, occorre dunque aiutarlo a rigenerarsi.
La rinascita richiama dunque l'altro tema, quello della fecondità-fertilità. La morte viene annullata dalla vita generata dall'unione dei due elementi maschile e femminile.

Vittorio Lanternari - Preistoria e folklore - Tradizioni etnografiche e religiose della Sardegna - L'Asfodelo Editore - 1984

 
 
 

L'acqua muta

Post n°9 pubblicato il 22 Febbraio 2011 da gio_bat24
 

L'ACQUA MUTA

Ad Orune, Oniferi, Orotelli, ecc. le ragazze vanno di notte in assoluto silenzio e in tutta solennità a raccogliere l'acqua dai pozzi.
Sempre in silenzio tornano in paese e spruzzano l'acqua su tutte le case. È questa "l'acqua muta" che purifica le abitazioni dagli spiriti malefici e mette in fuga gli animali nocivi.
Lavando il viso e il corpo con l'acqua così raccolta ci si libera da spiriti ossessivi e da malanni.

Vittorio Lanternari - Preistoria e folklore - Tradizioni etnografiche e religiose della Sardegna - L'Asfodelo Editore - 1984

Dal sito dell'associazione "L'Elicriso" di Palau
"C'era chi dopo aver saltato a croce il fuoco per la purificazione e pa lu dolori di la mazza (contro il mal di pancia) si recava in silenzio presso una fonte dove si bagnava e beveva l'acqua ritenuta magica; quindi, tenendo l'acqua in bocca, doveva tornare al luogo dal quale era partito: era questo il rito detto di l'ea muta (l'acqua muta). Coloro che compivano insieme tutto il rito dell'acqua oltre a quello del fuoco diventavano compari e commari per la vita.

Tra le tradizioni più diffuse in tutta l'isola quella di accendere dei falò, è probabilmente di origini falliche e per questo associata al comparatico (compare di fuoco).
I galluresi di li marini (che abitavano sulla costa), usavano lavare i loro corpi nell'acqua marina prima del nascere del sole. La sera i giovani di entrambi i sessi, baciandosi, abbracciandosi, tenendosi per mano e saltando su grandi fuochi instauravano una parentela di tipo simbolico.

Secondo quanto dice F. De Rosa la mattina di San Giovanni, prima del levarsi del sole, i Terranovesi (gli abitanti di Olbia) andavano a bagnarsi in mare, credendo che il bagno avrebbe reso belli e perfetti i loro corpi e inoltre li avrebbe preservati per tutto l'anno dai dolori addominali (li dolori di la mazza).

Dal sito "L'Elicriso"di Palau
Francesco De Rosa (1854-1938) - Tradizioni popolari di Gallura (Tempio 1900)

 

 
 
 

I festeggiamenti di Fonni

Post n°10 pubblicato il 24 Febbraio 2011 da gio_bat24
 
Foto di gio_bat24

Su co'one de vrores

I FESTEGGIAMENTI DI FONNI

San Giovanni Battista è il patrono di Fonni. Due i momenti importanti che caratterizzano la magia di questa festa:
la sfilata de S'Istangiartu, il " drappello d'onore di uomini a cavallo", che portano in processione per le vie del paese Su Cohone de Vrores, un originale e suggestivo pane floreale di Fonni; questo pane rituale ha origini antichissime e il suo significato è ancora avvolto dal mistero;
Sa Arrela e' Vrores dove gli abili cavalieri in costume locale si esibiscono nelle tradizionali parillas, dimostrazioni acrobatiche con i cavalli in corsa.

Il santo è festeggiato dai fonnesi da oltre 500 anni; ancora oggi questa ricorrenza è Sa die de vrores (Il giorno dei fiori).
Un rito non del tutto scomparso era quello de s'abba de vrores (acqua dei fiori) probabile riferimento all'acqua di sorgente. Se raccolta nella notte fra il 23 e il 24 giugno le si attribuivano poteri taumaturgici contro le coliche e i calcoli renali.

Gruppetti di donne, anche di due persone, ancora oggi, infatti, nella notte del 23, su pispiru (il vespro) si recano in religioso silenzio alla fonte di Guttirillai , a duecento metri dalla Chiesa; appena dopo la mezzanotte riempiono i recipienti di acqua, per poi percorrere per tre volte di seguito in senso antiorario le stradette che circondano la Chiesa, recitando tre "Credo", tre "Ave Maria" e tre "Gloria". Fino a pochi decenni fa questa usanza veniva praticata anche dagli uomini.
Fra le tradizioni che meglio si sono conservate e che caratterizzano la festività del Protettore di Fonni è la corsa dei cavalli, sa 'arrela de vrores.

SU CO'ONE 'E VRORES

Nella parlata locale viene chiamato su co'one de vrores il pane dedicato alla festa dei fiori, ossia la primavera. Preparato in occasione della festa di San Giovanni Battista, viene confezionato da un'artigiana, l'unica rimasta a custodire quest'arte antica, Anna Coinu, per conto della "Società San Giovanni Battista". Si tratta di una complessa elaborazione composta da una focaccia a forma di torta (40 cm. di diametro e una decina di centimetri di spessore), sulla quale vengono infilati dei bastoncini di canna che reggono 160 pugiones (uccelli) e cinque puddas (galline).

Al centro della composizione si trova il nido (cinque centimetri di diametro) decorato con dei chicchi di grano finto e con sopra tre pugioneddos (uccellini). Attorno al nido, vi sono quattro puddas, una delle quali porta sul dorso un pugioneddu. Il tutto è costituito da un impasto di acqua di sorgente con semola molto fina: miele, su pistíddu (mandorle grattugiate), manteca (composto di sostanze grasse fra le quali il burro). Il costo di su co'one si aggira intorno al milione e mezzo di lire e ha un peso di circa 8 chili.

Per la sua preparazione occorrono cinque o sei mesi di lavorazione. Saranno inoltre confezionati circa altri 150 pugioneddos che, una volta terminati i festeggiamenti, verranno distribuiti ai soci, alle autorità, ai parenti ed amici del "cassiere", l'organizzatore dei festeggiamenti civili in onore del Patrono.

Questa tradizione ha origine, secondo i fonnesi, da una terribile carestia del 1865 causata dalle cavallette. Rimando chi volesse conoscerla ad una ricerca su internet.
Basta digitare Fonni 1865.

URL dell'immagine: http://www.ilportalesardo.it/sagre/img/fonni_3.jpg

Http://www.Sardegnabb.eu/speciale.asp?id_speciale=25&comune=Fonni

www.fonni.it
http://www.paesionline.it/sardegna/fonni/comune fonni.as

 
 
 

La festa ad Oschiri - Canto per il salto del fuoco

Post n°11 pubblicato il 02 Marzo 2011 da gio_bat24
 

LA FESTA AD OSCHIRI 

Infine concludo questa parte con la testimonianza di Giovanna Fenu, una signora di 93 anni che con una invidiabile memoria parla della festa negli anni della sua infanzia ad Oschiri.
"Il giorno di San Giovanni, dalla mattina, ogni rione o quartiere del paese preparava un altarino con l'icona del santo che veniva decorato con fiori e spighe di grano. Nel tardo pomeriggio la processione partiva dalla chiesa con la statua del santo e passava a benedire ogni altarino nei vari quartieri, in questa occasione veniva impartita anche l'eucarestia.

Poco prima del tramonto " prima de iscurigare" venivano accesi i fuochi "sos fogarones", sempre uno in ogni rione, a volte in questi fuochi venivano bruciati dei fantocci fatti di spighe di grano e fieno quasi sempre vestiti di tutto punto...che rappresentavano persone in vita e del quartiere da prendere bonariamente in giro. Davanti a questi fuochi con una stretta di mano si diventava comari e compari di "fogarone" o di S. Giovanni... Poi nelle case si mangiavano i dolci preparati qualche giorno prima o alla vigilia per festeggiare i nuovi compari e le nuove comari di fogarone ....ad Oschiri non ricordo che ci fosse il salto del fuoco ... anche perché i fuochi era grandissimi e le fiamme alte..."

Troviamo qui i fantocci che rappresentano abitanti del paese che venivano bruciati nel falò tanto alto da non poter essere saltato.
Il salto del fuoco è qui sostituito dalla stretta di mano che sancisce il legame di comparatico.
Inoltre troviamo riti agrari e celebrazioni sacre: grano, fieno, altari, processioni, benedizioni, eucaristia.
E infine, come nelle migliori tradizioni, si mangiano i dolci per concludere i festeggiamenti.
La signora Fenu aggiunge che lo stesso rito , in tutto e per tutto uguale alla festa di S. Giovanni, si svolgeva a giugno nel giorno di S.Pietro.

Anche in altre località sarde e italiane ho riscontrato l'usanza di accomunare le due feste di San Giovanni e di San Pietro.

Compari e comari davanti al falò e saltando il fuoco cantavano:

Frade e cumpare meu
Santu Giuanne de Deu,
subra de inoghe giuramos
po Deu e santu Giuanne,
ne in bene ne in male.
In cosas de pragher
in cosas de allirghia,
frades e frades
semus in compania.
Finamente a nos morrere
lu ponzamos in assentu
chi demus esse' frades a frades,
frades de giuramentu

Traduzione

Fratello e compare mio
San Giovanni di Dio,
giuriamo qui sopra (il fuoco)
per Dio e san Giovanni
né in bene né in male.
In cose di piacere,
in cose d'allegria,
fratelli e fratelli
siamo uniti.
Fino alla morte
lo stabiliamo
dobbiamo essere fratelli e fratelli
fratelli di giuramento.

Da "La grande Enciclopedia della Sardegna" Ed. La Biblioteca della Nuova Sardegna - 2007

 
 
 

La festa di san Giovanni nell'Ottocento in Sardegna

Post n°12 pubblicato il 02 Marzo 2011 da gio_bat24
 
Foto di gio_bat24

Nel 1933 l'abate Goffredo Casalis iniziò la redazione di un dizionario storico riguardante il Regno di Sardegna. Per la compilazione della parte riguardante la Sardegna lo aiutò il canonico Vittorio Angius. L'opera si concluse nel 1856 ed è caratterizzata da rigore e precisione.
Ci siamo riferiti a tale opera per trarre informazioni sulla festa di San Giovanni nell'ottocento in Sardegna. Riportiamo qui i risultati della nostra consultazione. Il testo è riportato quasi integralmente nelle parti di nostro interesse.

A Bidonì le principali sacre solennità sono addì 24 giugno per lo patrono , ed a' 27 dicembre per lo compatrono s. Giovanni evangelista. Sono le feste de corriòlu, con la distribuzione ai concorrenti di pane e carni.
A Bonorva si fa festa per San Giovanni Battista "che era per lo avanti una delle principali di tutto il Logudòro." C'è una fiera, la corsa, fuochi artificiali, carole, e canti d'improvvisatori che in varie parti della piazza dove c'è la fiera gareggiano fino a notte avanzata.

A Cagliari nella sera del 23 giugno sino a dopo la mezzanotte è solito farsi gran rumore dalla gioventù e dalla plebe. Dappertutto è baldoria, e si prende diletto a lanciare e a far scoppiare dei fuochi artificiali. Lo stesso si fa per San Pietro.
A Castelsardo secondo una superstizione si crede che se qualcuno si alza prima dell'alba nel giorno di San Giovanni Battista non avrà la rogna.
Chi strapperà una felce in quel giorno potrà vedere mostruosi spaventosi fantasmi.

A Dorgali per la festa di San Giovanni Battista si dà pranzo gratuito agli accorrenti, vi si corre il palio, e vi ha molta allegrezza per cantici e carole (danze medievali in cerchio).
A Laconi si festeggia per la decollazione del santo il 29 agosto e si dà lo spettacolo della corsa.
A Magomadas si celebrano due feste, una il 24 giugno e l'altra il 29 agosto. I balli nella pubblica piazza sono molto animati.

 A Mara nella festa c'è molto concorso di ospiti, che fanno le loro divozioni e si sollazzano nei pubblici balli.
A Mores nella campagna non lungi dal fiume Malis si celebra una gran festa nella chiesa di San Giovanni con numerosissimo concorso da tutti i luoghi circonvicini, gara di corsieri, e sollazzo di continue danze e cantiche.

Per quanto riguarda i festeggiamenti di Mores riportiamo anche la descrizione di Pasquale Cugia*.
"Nella valle denominata S'Ena Frisca, la fresca sorgente, trovasi la chiesa rurale dedicata a S. Giovanni Battista, nella quale, per la ricorrenza della festa del titolare, si celebra grande fiera che si protrae per un 10 giorni circa. Traevi concorso immenso non solo dai vicini paesi, ma anche dai più lontani della Gallura e del Campidano. Buona parte degli accorrenti vi si fermano un 7 o 8 giorni, bivaccando nelle vicine tanche Delogu e Isolero; mentre i merciai stanno nelle bottegucce fabbricate nel piazzale o addossate alla chiesa. Tutti i costumi dell'Isola fannovi bella mostra; dalla gentil gallurese alla bruna ogliastrina; dai fulvi colori usati nel Monte Acuto e nel Monte Ferru, agli smaglianti sfoggiati dalle osilesi e dalle nuoresi.
È degna di nota la processione che i devoti, le donne specialmente, fanno alla mezzanotte per andare a bagnarsi nel prossimo torrente; essendovi la pia credenza che le sue acque, in tale ora, si convertano in quelle del Giordano e abbian la potenza di guarire diversi mali. Il fatto si è che, alle volte, invece di guarire incomodi immaginari, ne colgono dei veri; in particolare, le donne che trovansi in critiche condizioni.
La festa chiudensi il 24 giugno con la corsa dei cavalli, dopo celebrata la messa solenne. Durante la medesima può calcolarsi che vi stazionino permanentemente un 7 ad 8 mila persone con 2 a 3 mila cavalli."
Da notare che non si fa cenno dei fuochi, che probabilmente non venivano accesi a Mores. Interessante il riferimento al fiume Giordano.

A Nuragugume la festa è allegrata da pubblici divertimenti, principalmente da quello della danza al suono delle canne.
Ad Oristano i sacerdoti illuminati che hanno cura delle anime studiano con grande zelo a estirpare certe pazze opinioni che si prendono nella prima età; ma il successo non è molto felice, perché la loro opera si annienta da coloro ai quali giova che il popolo ritenga quelle opinioni.
Continuano molte antiche superstiziose consuetudini, i capannelli nella veglia di S. Giovanni Battista, tra le cui fiamme passan di salto i ragazzi, non nell'intendimento degli antichi di purificarsi, ma per giuoco.
Nello stesso giorno, traesi dall'oscuro, e soventi da sotto il letto, il nènniri (l'antico giardino di Adone), che è un fascio de' germi che diedero le semenze del frumento, dell'orzo e di alcuni legumi, involte nella stoppia entro una scodella, e innaffiate.
Se la germinazione sia stata prospera, la fanciulla che seminò il nènniri compiacesi di essere cara a S. Giovanni, dal quale crede stati innaffiati i grani, lo adorna di bei garofani, e lo manda in giro alle sue amiche ed anche a giovani delle famiglie consanguinee o amiche, perché tolgansi un fiore e facciano alleanza di perpetua amicizia. Da quel giorno lasciano il tu se pria l'usavano , e prendendo il voi, si danno il titolo di comari e comari, o compari e comari.
Sono non poche fanciulle del popolo che versano il piombo liquefatto in una scodella di acqua per sapere di che mestiere sarà il futuro sposo, volendo indovinarlo dalla forma che presentino le stille di metallo.
Parlando di Orotelli il canonico Angius specifica:
"La chiesa parrocchiale ... è intitolata a s. Giovanni Battista, nella cui vigilia da molte persone di questo popolo, per la crassa ignoranza in cui giacciono, sin poco dopo la mezzanotte si dà opera alle più assurde superstizioni.". Aggiunge poi che si celebrano alcune piccole fiere e si ha lo spettacolo della corsa dei cavalli.

"A Pattada il 24 giugno si celebra una fiera, si corre il palio e si danza allegramente.
A Sassari nella sera della vigilia si fanno fuochi di gioia, ma in modo molto maggiore che per S. Antonio da Padova (sic) e si accendono dai giovani polveri artificiali da mano, però in quantità molto minore che in Cagliari, dove se ne consumano molti quintali.
Nella plebe restano ancora radicate molte superstizioni, che, come in altre parti dell'Isola, così in Sassari, si praticano nella vigilia di questa solennità. La loro persistenza prova che il popolo non è ancora sufficientemente istrutto nella religione.
A Senis si corre il palio e il popolo si sollazza nella danza nazionale all'armonia delle canne, o lionelle. C'è concorso di forestieri.
A Seui in occasione della solennità, si prepara un pranzo popolare, al quale senz'invito sono ammessi quanti si presentino per parteciparne, sieno persone del paese, o forestieri.
A Siniscola le fanciulle per conoscere la condizione del futuro loro sposo usano nella vigilia di San Giovanni Battista preparar tre fave, una con tutta la buccia, l'altra sbucciata per metà, la terza totalmente. Nella mattina vanno a prenderne una ad occhi chiusi, e se prendono quella che ha tutta la buccia si persuadono che lo sposo sarà persona ricca, se la sbucciata lo sposo sarà povero, se l'altra sarà di mediocre fortuna. Usano pure prendere le cime di tre cardi asinini che abbiano il fiore. Tolto il fiore lo mettono sul tetto, poi nel mattino vanno a osservare: se vi trovano sopra le formiche lo sposo sarà possessore di pecore, se un insetto rosso alato che chiamano bacca de s. Antoni sarà proprietario di vacche, se uno scarafaggio sarà agricoltore
.

Dopo il mezzodì della stessa festa parte dal paese verso il mare un gran numero di cavalli, e gli sposi portano alle groppe le loro fidanzate, i fratelli le sorelle, i mariti le mogli per bagnarsi, e poi si sollazzano sulla sponda. Le persone che non possono andare ala spiaggia si bagnano nel fiume, sì che il lavacro è generale.
Inoltre c'è una fiera, spettacoli e divertimenti con grande concorso di gente.
A Teti si fa la corsa dei cavalli.
A Thiesi la festa principale e veramente popolare è quella di S. Giovanni Battista, alla quale intervengono molti dai paesi vicini per visitar gli amici, e per godere dello spettacolo della corsa de' barberi e de' fuochi artificiali.
A Tramatza il 24 giugno si fa festa con gran quantità di popolo dai luoghi vicini, tenendosi nel vespro la corsa de' cavali per i soliti premi (di solito pezze di stoffa).
Commentando in generale le feste l'Angius precisa che: "Le allegrezze corrispondono all'esito dei lavori agrari"

Le testimonianze dell'Angius risultano oltremodo importanti. Infatti ci dicono come si festeggiava nell'Ottocento nei paesi e nelle città della Sardegna. Le attività principali erano le danze tradizionali al suono delle launeddas, la corsa dei cavalli, e il pranzo offerto gratuitamente a tutti coloro che si presentavano. Talvolta i paesi erano così poveri che non potevano organizzare la corsa dei cavalli in quanto era previsto un premio consistente di solito in una pezza di stoffa pregiata.
A Cagliari come ad Oschiri la festa di San Giovanni era associata a quella di San Pietro che si celebra quattro giorni dopo.

Anche in Sardegna il clero lottò inutilmente contro le superstizioni del popolo che continuava negli antichi riti agrari e purificatori. L'Angius precisa che la festa del 24 giugno era una delle principali di tutto il Logudoro e che i fuochi erano più numerosi che per sant'Antonio Abate.
L'affermazione che "più il raccolto era stato abbondante, più allegra era la festa", ci riporta col pensiero ad un periodo nel quale l'andamento della stagione determinava la differenza tra salute e malattia, tra vita e morte. Festeggiare significava ringraziare per l'abbondanza e augurarsi che mai più tornassero gli stenti e le privazioni.

Le superstizioni legate alla festa di San Giovanni sono veramente tante. Nel libro di Gino Cabiddu "Usi costumi riti tradizioni popolari della Trexenta" edito a Cagliari nel 1965, a pag. 197 si legge che "veder proiettata l'ombra propria, senza testa, nel mattino della festa di San Giovanni Battista" era un presagio di morte.

*Nuovo Itinerario dell'Isola di Sardegna, Pasquale Cugia, 1892, pag. 316

 
 
 

La festa di San Giovanni oggi in Sardegna

Post n°13 pubblicato il 02 Marzo 2011 da gio_bat24
 
Foto di gio_bat24

OGGI IN SARDEGNA

Ancora oggi in Sardegna la festa di San Giovanni è molto sentita soprattutto nei piccoli centri. Facendo una ricerca su internet abbiamo trovato l'elenco delle località sarde nelle quali si festeggia il 24 giugno. Talvolta si festeggia anche il 29 agosto, giorno della morte del santo.

In provincia di Oristano abbiamo:
Una festa campestre a Ghilarza;
La "Sagra della pecora" a Bauladu, Bidoni, Bonarcado, Milis Nurachi, Oristano, Paulilatino;
A Paulilatino si corre anche un' "Ardia";
A Bonarcado si organizza una corsa di cavalli montati a pelo fra le vie del paese;
Ad Oristano il Gremio dei contadini festeggia il santo con cerimonie religiose;

In provincia di Nuoro per San Giovanni Battista si fa festa nei seguenti centri:
a Bosa processione religiosa, prove equestri e gara poetica;
a Dorgali festa campestre con balli, canti, musica, pasto;
ad Escalaplano festa campestre, processione in costume con traccas, folclore;
a Gavoi processione in costume, prove equestri, spettacolo folcloristico;
Isili propone una processione in costume tradizionale, traccas, balli e musica;
Ad Oliena processione in costume, prove equestri, distribuzione pasto;
Ad Onifai festa campestre, balli, musica, distribuzione pasto;
A Seui processione religiosa, sfilata di cavalli, balli, canti, vini.
Di Fonni abbiamo già parlato diffusamente.

In Provincia di Sassari:
Il 23/24 giugno a Calangianus si organizza una festa campestre;
Ad Olbia "salto dei fuochi", balli, gare di imbarcazioni e sagra del pesce fritto e dei frutti di mare;

A Sassari l'antico Gremio dei Contadini festeggia il suo patrono san Giovanni Battista della Nebbia e il 29 agosto ne ricorda la decollazione;
A Bonorva dopo i vespri solenni si corre la tradizionale "Ardia";
A Sennori si organizza una sagra vicino alla chiesetta campestre;
Ad Alghero si sono ripresi i festeggiamenti da un paio di anni cercando di riproporre le antiche celebrazioni, in primo luogo i falò;
A Bono la sagra con il rito de "Sas Funtanas" che conferisce virtù magico-terapeutiche all'acqua;
A Nulvi all'imbrunire vengono accesi i falò;
A Laerru si distribuisce un pranzo a base di prodotti tipici;
Ad Ozieri è rimasto l'antico rito del "comparatico di San Giovanni", Fogarones e Compares de Santu Juanne.


Un elemento fondamentale della festa è il falò. Cerchiamo di capire il significato del fuoco attraverso le parole di James Frazer.

James Frazer, uno dei padri della moderna antropologia, ha dedicato molte pagine della sua opera "Il Ramo d'Oro" ai riti del fuoco. In particolare egli afferma che il solstizio d'estate, cioè in termini cristiani la festa di San Giovanni, è " la più diffusa e solenne di tutte le festività rituali dell'anno celebrate dai popoli primitivi d'Europa".
Il solstizio è un punto di svolta dell'anno, lentamente il sole inizia a declinare, e per l'uomo primitivo è il momento di ricorrere a riti magici con cui arrestarne il declino, o quanto meno garantire la rinascita della vita delle piante.
Il falò deve servire a sostenere l'astro, ad aiutarlo a mantenere la sua potenza, allontanando le forze avverse. Un rito quindi che permette di espellere o tenere lontano tutto ciò che può essere dannoso a uomini, luoghi, piante, animali. Un rito di purificazione (che fa appello al carattere purificatore del fuoco, e, come vedremo, anche dell'acqua).

È un rito di morte e resurrezione e dunque di fertilità.
"Nell'Europa moderna - scrive Frazer - la grande festa di mezz'estate è stata soprattutto una festa dell'amore e del fuoco. Uno dei suoi caratteri principali è la scelta degli innamorati che saltano sopra i fuochi tenendosi per mano e si tirano dei fiori attraverso le fiamme".

 

 
 
 

Dai Romani a Sant'Agostino

Post n°14 pubblicato il 07 Aprile 2011 da gio_bat24
 
Foto di gio_bat24

FORS FORTUNA

Ora volgeremo l'attenzione allo sviluppo della festa e alla sua trasformazione da pagana a cristiana.
Lanternari dice che i dati storico-religiosi documentati ascrivibili all'antichità più attinenti al nostro discorso rinviano, per quanto riguarda l'Italia, all'epoca romana.
Nell'antica Roma il 24 giugno si celebrava la festività di Fors (il Caso) Fortuna: Il giorno è indicato nel calendario romano come "Solstitium", "Lampas", e "dies lampadarum". La festa era dunque chiaramente legata al culto solare (solstitium) ed assume anche una valenza agraria poiché i Romani il 24 giugno inauguravano religiosamente la mietitura compiendo nei campi una processione con delle torce accese in onore di Cerere, divinità che incarnava la Terra Madre, supremo elemento femminile della ritualità agraria.
Questo porta a supporre che la giornata fosse dedicata anche a Cerere.
Secondo il mito Cerere, al lume delle fiaccole, andava a cercare la figlia Persefone (dea del grano) che per sei mesi viveva sotto terra con suo marito Plutone.

Tale festa, intesa come giorno dedicato al sole, costituiva un appuntamento talmente importante che ancora oggi, in Sardegna, il mese di giugno è chiamato, appunto, mese "de làmpadas".
In occasione della festa di Fors Fortuna (24 giugno) e di Sol Invictus (25 dicembre), nell'antica Roma si organizzavano balli e mense. Una testimonianza ci arriva da Ovidio: "Andate e celebrate lieti, o Quiriti, la dea Felice! Correte in parte a piedi e in parte su celeri barche... Né poi vi vergognate di tornare ebbri a casa." Aggiunge che Fors Fortuna è venerata dalla plebe perché il fondatore (Servio Tullio) si dice che fosse plebeo e da strato umile fosse giunto al trono.

Il 24 giugno tra ricchi e poveri, schiavi e padroni non vi erano differenze. Tutti accorrevano ai due templi della dea Fors Fortuna per invocarne la protezione. Poi banchettavano e danzavano fino a sera.
Da questa festa derivò, in seguito, l'usanza medioevale di mangiare, giocare, danzare e cantare sui prati fra la Basilica di San Giovanni in Laterano e Santa Croce in Gerusalemme.

Frazer ricorda come la festa del 24 giugno fosse presso i romani anche una festa acquatica, caratterizzata dall'attraversamento del Tevere su barche inghirlandate di fiori e illuminate da fiaccole.
Spiega anche con questo duplice carattere (acqua e fuoco) la scelta della Chiesa di dedicare la festa a San Giovanni Battista. Il solstizio è dunque anche glorificazione dell'acqua, simbolo di fecondità e di purificazione, elemento di rigenerazione.
Nel noto processo di adattamento delle ricorrenze pagane a quelle cristiane, il calendario della Chiesa sostituì alle celebrazioni del Sol Invictus quella del Natale (e il Cristo nell'immaginario dei credenti è ritenuto significativamente il "nuovo sole della Storia"), mentre al solstitium estivo del calendario romano adattò il natale del Battista.
Anche Giano trovò posto in queste trasformazioni. Infatti il dio bifronte, custodiva le chiavi delle porte del cielo e anche delle porte solstiziali. Nel cristianesimo fu sostituito da Giovanni Battista e da Giovanni Evangelista.

SANT'AGOSTINO

Sant'Agostino (354-430) dovette giustificare il fatto che di San Giovanni, caso unico tra i santi, si festeggiasse il natale oltre che il giorno del martirio, vero giorno di nascita agli occhi della Chiesa.
Il Padre della Chiesa trasse dal Vangelo di San Giovanni Evangelista lo spunto per assimilare al culto del Sol Invictus, molto diffuso nella Roma imperiale, i natali di Gesù e San Giovanni.
Fu Giovanni Battista a dire: "Illum oportet crescere, me autem minui".
Sant'Agostino precisa: "In nativitate Christi dies crescit; in Johannis nativitate decrescit".
Nei confronti dei riti popolari caratterizzati da una forte promiscuità sessuale e spesso dalla esibizione senza pudori del corpo, la Chiesa ebbe fin dai primi secoli un atteggiamento di estrema diffidenza.

Le storie pagane di San Giovanni partono dal IV secolo, con Sant'Agostino e la sua violenta polemica contro le indecenti licenziosità, le canzoni oscene, i divertimenti indegni che nelle campagne accompagnavano la festa del santo.

Sant'Agostino interviene esplicitamente contro l'uso il giorno di San Giovanni di bagnarsi in mare per purificarsi, definendolo una superstizione pagana che toglieva valore al battesimo cristiano.
Egli scrive: "Natali Johannis, de sollemnitate superstitiosa pagana, Christiani ad mare veniebant et se baptizabant. Adiuro, obstringo, nemo faciat" (Scongiuro, obbligo, che nessuno abbia a ripeterlo).
Lanternari aggiunge che tali moniti non ebbero efficacia se ancora nei primi anni del novecento nell'Africa mediterranea si praticava il rito battesimale pagano per il solstizio d'estate.

 Nell'immagine: la statua di Sant'Agostino nella chiesa omonima di Alghero

 
 
 

Le tradizioni italiane

Post n°15 pubblicato il 07 Aprile 2011 da gio_bat24
 

Le seguenti notizie sono state ricavate in gran parte da siti internet. Dove la fonte è differente, è citata.

TRADIZIONI ITALIANE

IN CAMPANIA

Benedetto de Falco, dell'ordine gerosolomitano, nel suo libello "Descrizione dei luoghi antichi di Napoli" (1580) afferma che per antica usanza oggi non del tutto abbandonata, la vigilia di San Giovanni verso sera uomini e donne, nudi, si lavavano al mare persuasi di purgarsi dei loro peccati.
È interessante notare come il lavacro necessario per allontanare malattie e negatività sia qui inteso come purificazione dai peccati.

Preistoria e folklore di Vittorio Lanternari - L'Asfodelo Editore 1984 pag 167-168

- Le noci di San Giovanni
"... unguento unguento
mandame alla noce de Benevento
supra acqua et supra vento
et supra omne maltempo ".

Tra le mille tradizioni italiane rimaste nella celebrazione del 24 giugno ricordiamo qui l'usanza di preparare un liquore tipico, il nocino. Secondo la tradizione, le donne devono staccare le noci per il liquore quando la drupa è ancora verde, nella notte di S. Giovanni con una falce o una lama di legno, mai di metallo. L'infusione darà un liquore dalle virtù magiche, in grado di rigenerare le forze.

IN SICILIA

Il 24 Giugno ad Alcara li Fusi (Sicilia) si organizza la festa popolare considerata dagli antropologi la più antica d'Italia.

Il "Muzzuni" è una festa pagana, nella quale sono presenti i tratti distintivi di riti risalenti alla civiltà ellenica: è, infatti, un rito propiziatorio alla fertilità della terra, un inno al rigoglio della natura, all'amore e alla giovinezza.
La Festa coincideva con il Solstizio d'Estate. Originariamente veniva celebrata il 21 giugno; con l'avvento del Cristianesimo, venne spostata al 24 Giugno, giorno dedicato a San Giovanni Battista, martire decapitato. Da allora elementi pagani e cristiani si mescolano in questo rito che si ripete da secoli.
Il termine "Muzzuni" fa riferimento, probabilmente, alla brocca priva di collo ("mozzata"), o al grano che viene falciato e raccolto in fascioni ("mazzuna") e, dal punto di vista religioso, a San Giovanni decollato (con la testa mozzata).

Ad Aci Trezza il 24 giugno c'è la rappresentazione di "U pisci a mari". Si tratta di un rito propiziatorio, parodia della pesca del pesce spada che si teneva nello stretto di Messina. Dopo vari tentativi i pescatori guidati dal Raisi riescono a catturare il pesce spada ma con un ultimo guizzo la preda scompare tra i flutti. I pescatori disperati per la perdita capovolgono la barca mentre i giovani spettatori si tuffano in acqua.
Durante la festa si svolge anche una Processione a mare.

 ALTRE LOCALITA' ITALIANE

A Civitanova Marche e' ormai una tradizione consolidata il ritrovarsi la mattina presto del 24 giugno in spiaggia per celebrare la messa e bagnarsi i piedi
In Friuli, nella regione Carnica, c'è la tradizione del lancio delle cidulas, rotelle di legno ricavate dal tronco di un abete giovane infuocate. Il lancio è preceduto da una litania che indica i giovani che formano le nuove coppie. Il lancio si svolge nelle notti tra il 24 e il 29 giugno (Santi Pietro e Paolo).
In varie località italiane il 24 giugno è usanza consumare lumache, animale posto sotto la protezione della Luna. Secondo la tradizione, le corna delle lumache portano discordia, mangiandole e seppellendole nello stomaco la discordia viene scongiurata.

Possiamo affermare che la festa è diffusa in tutta Italia pur con svolgimenti differenti. Vi sono località di mare dove prevale l'elemento marino come in Sicilia e nelle Marche, spesso troviamo il rito agrario della germinazione del grano e di altri semi, le pratiche divinatorie, e il comparatico svolto secondo varie modalità.
Si diventa compari e comari con il salto del fuoco, la stretta di mano, lo scambio dei confetti, il rito del nènniri, e così via.
I falò sono presenti quasi dappertutto ma non sempre vengono saltati.

 

 
 
 

San Giovanni in Europa e nel mondo

Post n°16 pubblicato il 04 Febbraio 2012 da gio_bat24
 
Foto di gio_bat24

TRADIZIONI IN EUROPA E NEL MONDO

La quantità di notizie da noi trovate nei libri e in Internet sull'argomento è veramente ingente.
È impossibile parlare di tutte le celebrazioni e riti che si sono tramandati nei millenni in ogni parte del mondo. Tuttavia cercheremo di dare un'idea della loro diffusione ed importanza partendo da testimonianze che risalgono alla Germania del 1300.

IN GERMANIA
Un testimone d'eccezione dei riti acquatici è Francesco Petrarca che in una sua epistola racconta, ancora meravigliato e stupito, di aver assistito a Colonia nel 1333 ad un'immensa folla di donzelle ornate di erbe odorose e di fiori immergersi al tramonto della vigilia di San Giovanni Battista nelle acque del fiume Reno*.
Il poeta ricorda anche come gli fosse stato spiegato che si trattava di un antichissimo rito popolare molto sentito, specificatamente femminile, per allontanare le calamità dell'anno e garantirsi un'annata felice.

IN GRAN BRETAGNA
Anticamente per il calendario inglese l'estate iniziava a maggio. Quindi il giorno di mezz'estate (Midsummer day), in Inghilterra, è il 24 giugno, giorno di San Giovanni, e la notte del 23 giugno, la "Midsummer night", è consacrata alle stregonerie e ai prodigi ed è popolata da spiriti, folletti ed elfi non sempre benevoli.
William Shakespeare nel "Sogno di una notte di mezza estate" ha reso in tutta la sua magia questa notte straordinaria. L'opera risale molto probabilmente agli anni tra 1594 e 1597.
Secondo le tradizioni celtiche e nordiche, la notte del 23 giugno il mondo naturale e il soprannaturale si compenetrano ed accadono eventi ritenuti impossibili. Il tempo si ferma. Cadono le barriere che separano le diverse manifestazioni dell'esistere. Ancora una volta appare il simbolismo della porta aperta sull'aldilà. La notte di San Giovanni questa porta misteriosamente si apre e i due mondi entrano in comunicazione.

*Vittorio Lanternari: "Preistoria e folklore..." - L'Asfodelo Editore 1984

IN CANADA - QUEBEC

In Francia prima della rivoluzione la notte del 23 giugno il re accendeva personalmente il fuoco di San Giovanni.
I coloni francesi arrivati in Canada ripresero i festeggiamenti nel 1636 con cinque colpi di cannone e nel 1638 si fecero i primi fuochi accompagnati da canti e danze sulle rive del San Lorenzo. Anche qui troviamo il binomio acqua-fuoco.
Inizialmente il patrono dei coloni francesi era San Giuseppe ma in marzo il freddo non consentiva festeggiamenti adeguati. La festa del 24 giugno assunse più importanza ed infine il Battista sostituì San Giuseppe. Dal 1834 la festa ebbe anche connotazioni patriottiche. Nel 1908 San Giovanni fu proclamato patrono della nazione canadese francese.
Dal 1926 in numerose città del Canada si organizzano sfilate nelle quali non manca un bambino biondo vestito da piccolo San Giovanni.
Alla fine degli anni settanta la festa divenne nettamente una festa politica e dal 1995 è l'occasione per riunire le differenti etnie presenti nel paese perché anche scozzesi e altri immigrati si integrino nella società canadese e trovino collocazione nel paese. La sfilata comprende musiche e costumi che rappresentano le differenti comunità culturali che oggi compongono la nazione.

Nel 2005 è nato il "Solstizio delle Nazioni" per avvicinare le feste dei popoli autoctoni e quelle del popolo del Quebec. Si accende il fuoco dell'amicizia (feu de l'amitié) il 21 giugno nella Giornata Nazionale dei Popoli autoctoni. Le braci di tale fuoco serviranno per accendere il grande feu de joie del 23 giugno a Quebec.

La festa, che mantiene un forte significato simbolico, è nata per rinforzare i legami d'amicizia tra i discendenti dei colonizzatori e gli Autoctoni del Quebec. Prima dell'arrivo dei francesi, il Québec era abitato da popolazioni autoctone, 11 delle quali sono riconosciute dall'attuale governo.

IN SPAGNA

La festa è sentita soprattutto in Catalogna. Alicante festeggia l'arrivo dell'estate con i Falò della notte di San Giovanni.
Secondo la tradizione, gli abitanti di Alicante cenavano in campagna la sera del 23 giugno per festeggiare l'inizio dell'estate: mangiavano prodotti tipici e a mezzanotte accendevano i falò, ballavano intorno al fuoco, lanciavano petardi e facevano il bagno in mare. L'abitudine si rafforzò con il tempo e nel 1928 vennero istituite formalmente le Feste dei Falò della notte di San Giovanni.
L' omaggio al fuoco è strettamente collegato alle Fallas di Valencia, in cui le protagoniste principali sono autentiche ma effimere opere d'arte: le hogueras, enormi figure in cartone e legno a cui si dà fuoco durante la notte di San Giovanni.
La festa inizia ufficialmente il 20 giugno con la presentazione delle monumentali hogueras, che con il loro spirito satirico riempiono le strade di Alicante di arguzia e allegria. Lo stesso giorno si montano le barracas (tendoni) nelle quali si assaggiano i tradizionali fichi e le cocas, specie di torte salate con tonno, cipolla e pinoli. Il 21 giugno si tiene la sfilata delle bande musicali e delle commissioni di quartiere, con le rispettive "bellezze" e damigelle d'onore vestite con i costumi tradizionali. Il giorno dopo ha luogo l'offerta dei fiori alla patrona della città, la Madonna del Remedio, mentre il 23 è in programma la sfilata folcloristica internazionale. Infine, il 24 giugno a mezzanotte arriva il momento clou della cremá (l'incendio). Dopo uno straordinario spettacolo di fuochi d'artificio bianchi a forma di palma, le hogueras di tutta la città bruciano in un'atmosfera piena di allegria, canti e balli, mentre i pompieri gettano acqua sugli spettatori nell'evento conosciuto come la banyá (il bagno).

 Ma la festa non è ancora finita. Dal 25 al 29 giugno si tiene sulla spiaggia del Postiguet il concorso di fuochi d'artificio, mentre il centro storico della città ospita un vivace mercatino medievale con diversi spettacoli. Anche qui vediamo che la festa si prolunga fino al giorno di San Pietro.
NEI PAESI SLAVI
Il festival di Ivan Kupala o Kupalo in onore del solstizio d'estate è una celebrazione di origine slava tra le più antiche del mondo. In epoca cristiana le autorità tentarono di abolirla, ma la festa è rimasta nella Notte di San Giovanni del 24 giugno. Si credeva che Kupalo, il cui nome riecheggia la parola di origine indoeuropea ardere, fosse il Dio dell'Amore e la personificazione della fertilità della terra. Talvolta nel falò si brucia un fantoccio che è sovente un manichino di fattezze femminili (chiamato "strega" o Kupala, ma anche Marina o Morena, nome della dea slava della morte e della primavera) ma può avere anche nomi maschili (è chiamato nei vari villaggi Kupajlo, Ivan, Jurij, "nonno", il Diavolo).

Oggi questo festival di atmosfera pagana si festeggia in Russia, nelle foreste a pochi chilometri da Mosca, ma in forme simili anche in Bielorussia e Ucraina. La tradizione vuole che si accendano fuochi e durante il tramonto si faccia il bagno in acque aperte per poi intonare canti e balli fino alla mezzanotte, quando le donne non sposate, ornate da una corona di fiori, corrono tra i prati. Per purificarsi dall'influsso delle potenze nefaste e cacciare indietro gli spiriti maligni nell'aldilà si raccolgono le erbe, ci si incorona con ghirlande di fiori "sacri" si adornano le abitazioni con mazzi di piante rituali, si salta sopra covoni di fieno.

 

 
 
 

Il solstizio d'estate nel paleolitico e nella preistoria - La Massoneria

Post n°17 pubblicato il 04 Febbraio 2012 da gio_bat24
Foto di gio_bat24

IL SOLSTIZIO D'ESTATE

Già dal Paleolitico gli uomini avevano individuato i movimenti della volta celeste osservando una porzione di cielo da un punto fisso, ad esempio l'ingresso di una grotta.
Si incidevano ossa con segni che forse rappresentavano i cicli lunari come dimostrano reperti risalenti anche a 30.000 anni fa.
Ciò significa che già molto presto l'uomo ebbe consapevolezza del movimento ciclico del tempo e si rese conto dell'importanza di conoscere le scansioni dei mesi e delle stagioni. Probabilmente faceva osservazioni sulla comparsa e maturazione dei frutti di cui si cibava, o sui movimenti migratori degli animali che cacciava e associava questi momenti a particolari manifestazioni del sole e della luna.
Una etnoastronoma francese, Chantal Jégues-Wolkiewiez ha avanzato l'ipotesi che a Lascaux sarebbe rappresentata un'antica mappa del cielo.
"Tutto è cominciato quando ho deciso di verificare una mia teoria" spiega la ricercatrice. "Avevo misurato l'orientamento dell'ingresso della grotta e mi ero convinta che durante il solstizio d'estate i raggi del Sole al tramonto vi entrassero fino a illuminare i dipinti della grande Sala dei Tori. Per questo motivo il 21 giugno 1999 mi sono recata sul posto. Era proprio come pensavo. Questo dimostrava che essa non era stata scelta a caso. I dipinti della Sala dei Tori erano fatti in modo che venissero rischiarati dal Sole morente del solstizio, forse perché il solstizio d'estate era un periodo speciale, che serviva come punto di riferimento per la misurazione del tempo durante l'Era paleolitica".

 IN SARDEGNA NEL NURAGICO

Non possiamo sapere se i gruppi di Neolitici che sono approdati sulle coste della Sardegna dopo la fine dell'ultima glaciazione (10.000 anni fa) avessero un loro metodo per misurare il tempo in quanto non abbiamo reperti che ci possano dare testimonianze in questo senso.
Di recente nel cuore dell'Isola di Sant'Antioco si è individuato un cromlech, Sa Corona 'e Marroccusu (3400-3200 a.C.) formato da anelli concentrici, realizzati con macigni di andesite basaltica, e si può ipotizzare che la struttura che si conserva ancora integra e semisommersa dalla macchia, fosse utilizzata per individuare dei riferimenti temporali.

Osservando i monumenti del successivo periodo nuragico si sono riscontrate delle particolarità che fanno pensare proprio ad una loro dislocazione funzionale all'individuazione di solstizi ed equinozi.
In Sardegna alcuni pozzi sacri e tombe dei giganti sono direzionati verso l'alba dell'equinozio di primavera. Nel pozzo di Santa Cristina durante gli equinozi di primavera e d'autunno, un tempo era il sole a illuminare il fondo del pozzo, facendo passare i suoi raggi attraverso la gradinata.

A Isili è consuetudine andare a vedere tramontare il sole del solstizio d'estate dandosi appuntamento sui resti di un nuraghe da cui si scorge il sole scomparire, all'orizzonte, sulla verticale del nuraghe Is Paras. La mattina dopo, sempre dallo stesso basamento o rudere di nuraghe, si scorge il sole sorgere sulla verticale di un terzo nuraghe. Ovviamente qualcuno dirà che è un puro caso. La maggioranza invece afferma che l'intelligenza dei popoli nuragici e il loro spirito di osservazione ha determinato la costruzione dei tre nuraghi proprio per individuare il solstizio d'estate.

 A Sedilo presso il nuraghe Iloi gli appassionati di archeo-astronomia si danno appuntamento per ammirare il sole tramontare quasi perfettamente allineato sull'asse di un lato perimetrale del nuraghe.
È un fenomeno che si può ammirare solo due volte l'anno, appunto in occasione del solstizio d'estate al tramonto e nel solstizio d'inverno, ma in questo caso all'alba.

Lo studioso Mauro Zedda ha effettuato delle osservazioni presso altri complessi nuragici per verificare le sue ipotesi ed è giunto alla conclusione che la quasi totalità dei nuraghi complessi - tra cui rientra anche quello di Iloi - hanno delle linee tangenti alle torri periferiche orientate verso uno dei punti dove sorgono o tramontano il sole e la luna nei solstizi e nei lunistizi.
Secondo Leonardo Melis le feritoie di alcuni nuraghi servivano per indicare i solstizi e gli equinozi. Osservando il nuraghe Aiga di Abbasanta Danilo Scintu ha notato che all'interno della sala del primo piano, a mezzogiorno nel solstizio d'estate il sole entra dal foro apicale della cupola e va a illuminare la nicchia frontale all'ingresso. Per ottenere questo effetto occorre calcolare i movimenti del sole, le esatte dimensioni di cupola, di base e di posizionamento della nicchia.

Nell'immagine tratta dal libro "Le torri del cielo" di Danilo Scintu si vede l'interno della sala del primo piano del nuraghe Aiga di Abbasanta. Si fa anche l'ipotesi che la nicchia ospitasse la sepoltura di una persona importante, forse un eroe nuragico.

LA MASSONERIA

Perché San Giovanni è patrono della Massoneria?
Caratteristica universale delle antiche Confraternite è il patronato dei due santi: San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista. Il primo è precursore di Gesù, il secondo è autore dell'Apocalisse.
Questi due santi con l'avvento del Cristianesimo sono divenuti l'emblema del culto solare che in passato si festeggiava con i solstizi: la festa del Battista ricorre nel solstizio estivo, quella dell'Evangelista nel solstizio invernale.
Le Confraternite insieme alle religioni del passato avevano ereditato anche la celebrazione dei solstizi.
Le Confraternite durante il paganesimo avevano come protettore Giano Bifronte il cui culto coincideva con i due solstizi.
Giano era la divinità dalla doppia faccia. Una rappresentava il passato, la ricchezza degli antichi, mentre l'altra era il futuro, il progredire del cammino umano. Chi meglio dei due Giovanni avrebbe potuto sostituire il dio bifronte? Sotto il nome di S. Giovanni la Massoneria coltiva l'antico culto filosofico di Giano che era il protettore degli architetti.

Ancora oggi molte logge in tutto il mondo aprono i loro lavori sul prologo del Vangelo di San Giovanni.
Tanti simboli delle logge sia nell'emblema sia nei sigilli richiamano espressamente i due santi. Ad esempio: aquila, Alfa-Omega simboleggiano l'Evangelista mentre il sigillo Agnus richiama il Battista. Durante la cerimonia si accende un fuoco, simbolo del tempo e del sommo potere. Con questa fiamma deve estinguersi ogni azione o sentimento consumato nelle tenebre dell'ignoranza.
Il fuoco di San Giovanni è il simbolo della luce, il fuoco cosmico che è all'origine della vita, materiale e spirituale. Quel fuoco che sostiene, conserva e distrugge la vita ma, distruggendola ne crea un'altra.

 
 
 

La chiesa di San Giovanni Battista ad Alghero

Post n°18 pubblicato il 04 Febbraio 2012 da gio_bat24
 
Foto di gio_bat24

La chiesa di san Giovanni ad Alghero

LA CHIESA DI SAN GIOVANNI BATTISTA EXTRAMUROS

Nel 1595 arrivarono ad Alghero i frati Cappuccini. I frati si attivarono per ottenere un terreno e i fondi per l'edificazione delle strutture necessarie alla loro permanenza. Pare che i lavori per la costruzione della chiesa e del convento, siano iniziati intorno al 1600 per concludersi entro il 1605.
Le strutture sorgevano sul colle di San Giovanni e vi rimasero fino al 1718. Nel 1718 furono demolite dal cannone per paura che potessero diventare un luogo utile ai nemici di Filippo V di Spagna che voleva riprendersi la Sardegna già assegnata ai Savoia.
Al loro posto, sul Colle di san Giovanni, nella seconda metà del 1800 fu edificato l'attuale carcere della città di Alghero.
I frati espropriati dei loro edifici furono ospitati temporaneamente nell'oratorio dedicato alla Beata Vergine della Misericordia, sede della Confraternita della Misericordia, nei pressi della chiesa di San Michele. I Cappuccini chiesero una nuova collocazione e nel 1722 ottennero la cappella gentilizia del nobile algherese don Carlos Martì Boyl morto nel 1682 costruita sul litorale. La cappella può essere datata prima del 1656 ed era dedicata a Santa Rosalia di Palermo in quanto il nobiluomo aveva abitato a Palermo per un certo periodo.


Descriviamo brevemente la chiesa, chiusa ormai da diversi anni.
Sul lato sinistro dell'edificio si addossa un portico con le arcate tamponate, tramite il quale si accede all'ex convento dei Frati Cappuccini, che oggi è inglobato nel Quarter Sayal. All'interno troviamo una navata, coperta da volta a botte lunettata, dove si aprono due cappelle simmetriche: una a destra non più accessibile da quando, in tempi non lontani, fu incorporata da privati nell'attiguo edificio e l'altra a sinistra.
L'altare maggiore è realizzato in stucco marmorizzato policromo e ospita l'ottocentesca statua lignea policroma di San Giovanni Battista.
La pila di marmo che si vede nei pressi dell'ingresso, con figuretta in rilievo di S. Rosalia risale alla metà del Settecento e ricorda l'originaria denominazione della chiesa.

La descrizione della chiesa è tratta da: Antonio Serra - Le chiese campestri di Alghero.

A maggio-giugno 2014 sulla facciata della chiesa è stata allestita una impalcatura per restauri. Quanto dureranno? Nel frattempo la palma di sinistra si è ammalata e si sta seccando.

LA FESTA DI SAN GIOVANNI EVANGELISTA - I COBLES

In conclusione della ricerca non posso tralasciare di accennare ad un'altra festa di San Giovanni che ad Alghero si svolgeva il 6 maggio con grande solennità nei secoli tra il 1400 e il 1800 e che spesso viene confusa con la ricorrenza del 24 giugno. In realtà il 6 maggio si ricordava San Giovanni Evangelista che, secondo gli algheresi, aveva aiutato la città a sconfiggere i sassaresi e il Visconte di Narbona, i quali tentavano di scacciare da Alghero i catalano-aragonesi. Il fatto è avvenuto il 6 maggio 1412. Il 6 maggio è il giorno del martirio di San Giovanni Evangelista che, messo nell'olio bollente a Roma nei pressi della Porta Latina, si salvò e morì molti anni dopo, il 27 dicembre, giorno della festività del santo.
Il 6 maggio fu per diversi secoli celebrato dagli algheresi che in quell'occasione cantavano i Cobles. La festa fu infine abolita perché rinfocolava antichi attriti fra algheresi e sassaresi e talvolta generava scontri come riportato da Alberto della Marmora e dal canonico Angius. Il canonico Angius afferma che la ricorrenza nella prima metà dell'Ottocento manteneva "solo quello che era puramente religioso nella memoria di quella vittoria".
Come si può vedere dai documenti dell'Archivio Storico di Alghero le spese sostenute per la festa di San Giovanni "Ante Portam Latina" erano a carico del comune.

 
 
 

Le feste - Origini - Modi di dire

Post n°19 pubblicato il 15 Marzo 2012 da gio_bat24
Foto di gio_bat24

In margine alla ricerca sulla festa di san Giovanni Battista mi sono chiesta che cosa è una festa, quando e perché sono nate le feste, ma sinceramente non sono riuscita a trovare risposte.

Allora sono andata a cercare una definizione antropologica e pare che una festa sia un momento della vita sociale caratterizzato dall'interruzione del lavoro, che si oppone al sistema costituito attraverso i momenti dell'eccesso, della trasgressione e infrazione delle regole, dello spreco e della distruzione.

Secondo Freud la festa è una trasgressione codificata da regole e perciò stesso è repressiva poiché segue comunque un percorso stabilito.

Oggi poi la festa è sempre più confusa con la vacanza che deve essere funzionale al consumismo e quindi è ancora più controllata.

Sulle origini della festa non ho trovato niente ma io mi sono immaginata che la festa forse è scaturita dall'abbondanza. Se la caccia era stata molto proficua e senza significativi incidenti i nostri antichi paleolitici saranno stati molto contenti, avranno fatto salti di gioia, avranno mangiato oltre il necessario, avranno anche sprecato il cibo.

Con la pancia piena saranno stati propensi alla convivialità, all'allegria, avranno guardato con meno sospetto i loro simili. In tempi di abbondanza il futuro sembra meno oscuro e minaccioso, aumenta la sicurezza e la solidarietà nel gruppo. Diminuisce la competizione, c'è posto per tutti.

Quando la nostra mente riesce a cancellare millenni di cultura per tornare agli inizi del nostro cammino si aprono scenari semplici e naturali. Così ci accorgiamo di appartenere ad un mondo che non è di pochi eletti, ma è di tutti e che non dobbiamo permettere a nessuno di spadroneggiare.

Ricercare le origini della festa ci aiuta a riscoprire le radici del nostro pensiero che nasce da un rapporto con la natura che è una madre che ci offre il benessere ma può anche negarcelo se non è rispettata. Questa è la base per costruire una relazione positiva e feconda con la nostra essenza umana che non sia deviata da confusioni tra ciò che siamo e ciò che possediamo. Al di là dei pesanti condizionamenti che ci ingabbiano possiamo riprenderci il diritto di vivere in una società che, spogliata da tante sovrastrutture, ci si presenta facile da comprendere e vicina a noi.

FARE LA FESTA A QUALCUNO

CONCIARE PER LE FESTE

Continuando a riflettere sulle feste mi sono balzati agli occhi due modi di dire: "fare la festa a qualcuno" e "conciare per le feste". Il primo ha un significato inequivocabile che arriva anche ad indicare l'ammazzare, oltrechè pestare o dare una lezione memorabile. Ma che cosa può unire la parola "festa" con l'omicidio o il pestaggio? Io azzardo l'ipotesi che il detto derivi dall'uso dei sacrifici umani e per il momento non trovo altra giustificazione all'accostamento dei due vocaboli. Anche gli animali venivano sacrificati, talvolta in gran quantità, per festeggiare. Ci si riferisce dunque all'uccisione di buoi, vitelli, pecore, ecc.?

Il "conciare per le feste" è più ambiguo in quanto il significato da noi attribuito è molto simile al "fare la festa a qualcuno" ma il termine "conciare" evoca una preparazione, fa pensare a un'attività che precede "la festa".

In realtà le vittime sacrificali venivano spesso preparate per il sacrificio anche mesi prima dell'evento, o addirittura anni prima.

È probabile che la parola "conciare" si riferisca alla concia delle pelli che, come si sa, subiscono trattamenti drastici per poter essere utilizzate. E allora il "conciare" si riferirebbe al trattamento da far subire alla persona presa di mira.

Non so se la mia intuizione sia nella giusta direzione ma la trovo stimolante per ulteriori ricerche di tipo antropologico.

"Conciare per le feste" potrebbe voler dire che una persona viene pestata tanto che non potrà partecipare alle feste. O che altro potrebbe significare?

Si noti anche il plurale, che fa pensare a molte feste successive o a un periodo di feste concentrato (tipo il Natale).

Più ci penso, più il significato diventa confuso e oscuro.

Se qualcuno conosce degli studi sull'argomento potrebbe indicarmeli?

 

 
 
 

Altre superstizioni e notizie

Post n°20 pubblicato il 26 Aprile 2012 da gio_bat24

Come si sa, le ricerche non finiscono mai. Ecco quindi altre informazioni sulla festa di San Giovanni che ho reperito durante il lavoro sulle Superstizioni che il Gruppo di Studio Tholos ha portato avanti nel 2012.

I processi dell'Inquisizione misero in luce numerose e insospettabili pratiche svolte abitualmente da coloro che intendevano ottenere del bene ma anche del male.

Tra le tante notizie riporto le seguenti legate alla festa di San Giovanni.

Sebastiana Sanna, originaria di Cagliari e residente ad Alghero, fu processata perché:

"... aveva insegnato a Serrampiona Manna certe orazioni, dedicate al sole e alla luna, da recitare nel giorno di S. Giovanni per ottenere beni di fortuna e l'amore delle persone amate" (pag. 135)

Il contadino di Macomer Gavino Faedda, processato nel 1678, confessò che una gitana gli aveva insegnato come, per "liberarsi dai nemici, occorresse cogliere delle erbe nella notte di San Giovanni" .(pag. 139)

Nei processi dell'Inquisizione il malocchio non è molto presente. Nel 1590 Crescentina Mameli di Siamanna confessò che: "Il giorno di San Giovanni Battista, prima del sorgere del sole, andava a cogliere ruta, finocchio selvatico e prendeva acqua benedetta. Con queste tre cose faceva un amuleto che soleva dare perché venisse messo ai bambini contro il malocchio". (pag. 139)

Caterina Casti di San Sperate confessò di conoscere is brebus de piciadura o pitziadura, usati quando una persona era pitziada, cioè afflitta da qualche dolore generalmente al capo:

Santu Juanni a mari andendi

i si batiendi in su riu Jordanu 

sa conca siat sana e Santa Anastasia   

sa conca sana siada.

(Nel frattempo metteva un po' di cenere sulla testa del malato a applicava le mani su di essa)

 Da "Streghe, esorcisti e cercatori di tesori" di Salvatore Loi, AM&D Edizioni, Cagliari, 2008.

In "Il folklore italiano" di Giuseppe Calvia (1926) apprendiamo una tradizione sarda localizzata nella Gallura. Premetto che la riporto per dovere di completezza e mi auguro che tradizioni simili non esistano più in nessun luogo.

"Nella notte della natività di San Giovanni Battista si prende un gatto completamente nero e lo si mette a bollire vivo entro una bignatta, finché tutte le ossa si possano staccare dalla carne. Si prende allora uno specchio e ad una ad una gli si presentano le ossa finché non se ne trovi tale che abbia la virtù di non essere riflessa. Con questo osso in tasca si può entrare dovunque senza esser visti da alcuno. Lo si mette in un sacchetto di pelle di volpe, lo si cuce a filo doppio e lo si appende al collo. Da quel giorno ha inizio la fortuna di chi lo porta, il quale, se ha lunga vita, può divenir più ricco di Mida. così almeno si crede nelle campagne galluresi."

Tale pratica trae origine da un antico mito, quello di Dioniso che, da piccolo, fu attirato dai Titani con una sfera, con un astragalo e con sonagli mentre guardava la sua immagine riflessa in uno specchio. I Titani lo fecero a pezzi e pare che si sia mantenuto nel tempo l'uso di collocare uno specchio sulla fronte di tori e buoi destinati al sacrificio.

Da "La grande enciclopedia della Sardegna" - Miti, Feste e Racconti Popolari  a cura di Dolores Turchi,  La Biblioteca della Nuova Sardegna, 2007

Le ragazze sarde rivolgevano invocazioni a San Giovanni. Gino Cabiddu ne riporta una:

O Santu miu Giuanni                 / O santo mio Giovanni

Pregu chi no m'inganni              / Prego che non m'inganni,

Chi no m'inganno ti pregu!        / Che non m'inganni ti prego!

A chini su coru intregu,               / A chi il cuore affido,

Faimiri sa grazia,                        / Fammi la grazia,

De mi liberai de disgrazia           / Di liberarmi di disgrazia!


Gino Cabiddu - Usi, costumi, riti, tradizioni popolari della Trexenta, Ed Fossataro, Cagliari, 1965

Nel sinodo di Ales del 1696 viene descritta la seguente pratica.

"(Le persone) sogliono digiunare superstiziosamente nel giorno precedente la festa (vigilia) di S. Giovanni Battista, senza mangiare niente in tutto il giorno al di fuori di mezzo pane. Dopo averlo cotto azzimo e fuori dal forno, durante la notte, al sorgere della prima stella e con altre cerimonie scandalose lo prendono e lo mangiano sulla soglia della porta , osservando se una moneta da loro posta dentro il detto pane si trova nella metà che mangiano o nell'altra che buttano sul tetto per arguire se si sposeranno fuori o nella località dove vivono. Identica cosa fanno nella vigilia di S. Nicola vescovo."

Salvatore Loi - Inquisizione, sessualità e  matrimonio, AM&S Edizioni, Cagliari, 2006

LAMPADAS

Sul nome del mese di giugno in sardo, lampadas, Gino Cabiddu ci dà numerose informazioni.

Pare che il nome Lampadas si trovi anche nell'Africa del Nord, come dice San Fulgenzio, Vescovo di Ruspa. Era il mese dedicato dai pagani alla dea Cerere: Lampadarum dies Cereri dedicatus est (il giorno delle Lampade è dedicato a Cerere). Qui si parla di un giorno, non di un mese.

In Africa si celebravano feste con grandi luminarie in onore di Cerere, così come le donne fenicie festeggiavano il loro dio Adone. Nel VI secolo in Africa le feste furono dedicate a San Giovanni. Queste feste si svolgevano nel mese di giugno ed erano chiamate Lampades.

Nella Penisola Iberica si mantengono tracce di questi antichissimi usi e il giorno della festa di San Giovanni Battista era detto Lampa.

In Portogallo San Giovanni fu chiamato nel Medio Evo San Ioào das lampadas o das lampa a causa "das innumeras luminarias, lampadas ou lampasas de ozeite, sebo o cera que ea ed è costume acender en la fiesta de lo Santo Precursor".

Aggiunge Gino Cabiddu che ciò lo asserisce anche Max Leopoldo Wagner.

Nel romanzo di Verga "Mastro don Gesualdo" il camparo massaro Carmine si lamenta perché il bestiame è svogliato. Allora dice che bisognerebbe mutar pascolo. "Il mal d'occhio! ... è passato qualcheduno che portava il malocchio! Ho seminato perfino i pani di San Giovanni nel pascolo..."

I Malavoglia di G. Verga, BMM, 1962, pag. 73.

 
 
 

La chiesa di san Giovanni ad Alghero

Post n°21 pubblicato il 17 Dicembre 2012 da gio_bat24
Foto di gio_bat24

 

 
 
 

La notte di San Giovanni

Post n°23 pubblicato il 23 Giugno 2018 da gio_bat24
Foto di gio_bat24

La notte tra il 23 e il 24 giugno per gli anglosassoni è la notte di mezz'estate. E' notte di grandi prodigi perché il sole, che il 21 giugno ha toccato il punto più a nord del nostro emisfero e si è fermato per tre giorni (solstizio d'estate), il 24 giugno riprende il percorso ma cambia direzione e va verso sud.

Di alcune tradizioni parla anche Grazia Deledda

"Cadeva la notte di San Giovanni. (...) Olì recava strisce di scarlatto e nastri con i quali voleva segnare (legare con un nastro) i fiori di San Giovanni, cioè i cespugli di verbasco, di timo e d'Asfodelo da cogliere l'indomani all'alba per farne medicinali ed amuleti."

Nessuno avrebbe potuto toccare i cespugli segnati.

Poi Olì dice ai fratellini di andare subito a casa perché "i bimbi buoni, nella notte di San Giovanni, vedono aprirsi il cielo e poi vedono il paradiso e il Signore e gli angeli e lo Spirito Santo."

Cenere di Grazia Deledda, Newton Mammut, 1993, pag. 200In "Colombe e sparvieri" il protagonista Jorgi giace paralizzato a letto già da diversi mesi. Pretu, il ragazzino che lo assiste, parla con Simona, una serva.


"Sai una cosa che fa bene, ma a chi crede in Dio? L'acqua di sorgente, ma attinta proprio dove sgorga e a mezzanotte, stanotte. Sì, l'acqua di san Giovanni, bello mio; non c'è altro, per i paralitici, ma solo per quelli che credono in Dio..."

pag.571


Più tardi arriva il vetturale che consegna una lettera a Jorgi e gli dice:

"Ebbene, come andiamo, Jorgeddu? Ancora a letto? A quest'ora? Alzati, su, poltrone, stanotte è San Giovanni: andremo a cogliere l'alloro per metterlo sui muri onde i ladri e le volpi non li possano saltare."

pag. 572


Dal paesetto salivano gridi di gioia e davanti alla chiesa di San Giovanni, al di là del Municipio, alcuni buontemponi accendevano qualche razzo e i fanciulli davano fuoco a una catasta di rami di lentischio.

Pag. 573


Era quasi notte. S'udivano i gridi dei bimbi, le voci delle donne che si giuravano amicizia stringendo i nodi del comparatico di San Giovanni.


Pretu rientrò e disse: "Mangiate, ziu Jò, io poi andrò a cogliere l'alloro ed a bagnarmi i piedi nella sorgente. Vi porterò un po' d'acqua."

........

Nella straducola le donnicciuole, Banna e la serva, i ragazzi, parlavano di andar alla sorgente per bagnarsi, e stringevano fra loro il comparatico di san Giovanni annodando e snodando sette volte le cocche d'un fazzoletto.

pag. 375

..........

Su proposta di Lia un gruppo di donne partì per andare a bagnarsi i piedi alla sorgente ed a cogliere l'alloro e il timo sull'orlo della valle.

.............

Alcuni ragazzi per non andar troppo lontano si bagnavano i piedi nel rigagnolo che scendeva dalla fontana, e spruzzandosi l'acqua sul viso si rincorrevano ridendo.

pag. 578



Colombe e sparvieri di Grazia Deledda, Newton Mammut, 1993, pag. 571 e seg.


Grazia Deledda descrive i riti della festa di San Giovanni: il fuoco, il comparatico, il bagno, l'alloro utile per tenere lontani ladri e volpi e l'acqua miracolosa se attinta a mezzanotte.


IL COMPARATICO

Ci sono diversi modi per stabilire il comparatico di San Giovanni. Grazia Deledda ci chiarisce il valore di questo legame nel romanzo "Marianna Sirca".

Simone e Costantino sono compari di San Giovanni e in un momento di disaccordo Costantino dice a Simone:

-Ricordati che ci siamo giurati fede la notte di San Giovanni; e il compare di San Giovanni, quale io sono per te e tu per me, è più che la sposa, più che l'amante, più che il fratello, più ancora del figlio. Non c'è che il padre e la madre a superarlo.


Marianna Sirca di Grazia Deledda, Newton Mammut, 1993, pag. 735




 

 
 
 
Successivi »
 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Aprile 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
29 30          
 
 

AREA PERSONALE

 

TAG

 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

I MIEI BLOG AMICI

Citazioni nei Blog Amici: 8
 

ULTIME VISITE AL BLOG

lucioguerradariodealessandriLetiziaFraschinichiaragobberombrachecammina62CONTEDIMARTANObonixbtholos1994pisano2005vacca.lorenzo48mariaimmacolata1951erotikosgio_bat24mariaconcettadimfrancoceravola
 

ULTIMI COMMENTI

 

CHI PUÒ SCRIVERE SUL BLOG

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963