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Fiasco o rivelazione? (seconda parte)

Post n°44 pubblicato il 18 Agosto 2007 da Giubizza

Qual è stata la vera funzione del femminismo?
Durante la rivoluzione industriale le classi sociali progressiste, borghesia in primis, erano impegnate in una battaglia all’ultimo sangue contro i vincoli feudali imposti da una classe, quella dei feudatari, che era paladina di un ordine sociale ormai in pieno disfacimento. Premeva più di ogni altra cosa eliminare tutte quelle restrizioni che facevano in modo che una marea di uomini e donne fossero impediti di spostarsi “liberamente” e quindi lasciare le terre feudale e alla merce di circolare con rapidità e senza impedimenti di ogni sorta.
Lo stato nazionale è stato il suggello della rivoluzione borghese, la nascita di un mercato più o meno omogeneo e vasto in cui merci, persone e capitali potessero spostarsi in base ai bisogni capitalistici. Ma per completare l’opera di capitalizzazione della società tutto doveva divenire arbitrio del libero mercato e sottoposto alle sue leggi. Tutto doveva essere smembrato e costituire atomi “liberi”, elementi sparsi soggetti a compravendita.
Una delle istituzioni che in buona parte resisteva agli attacchi del capitalismo avanzante era la famiglia. È vero che già negli anni ’60 del XX secolo in buona parte la famiglia nucleare capitalistica aveva sostituito l’antica famiglia agricola, ma è anche vero che fino ad allora la gran parte della popolazione di molti paesi era ancora agricola e si apprestava a divenire urbana.
Ecco l’esigenza di sgretolare l’ultimo baluardo feudale, la famiglia. Ora io non voglio dire che il crollo dell’istituzione familiare, che ancora oggi perdura, sia un fatto di per sé né negativo né positivo, ma solo che sia un fatto evolutivo, ossia conseguente l’evoluzione della società. Ma quando crolla una certa istituzione, soprattutto importante come lo è la famiglia, necessiterebbero istituzioni nuove che la sostituiscano e si sobbarchino i compiti. Questo oggi non c’è ancora. Tutti i tentativi di sostituire la famiglia, come le comunità del libero amore e roba varia, sono falliti, forse perché contrastati da una società ancora non pronta e ostile, forse perché non conformi al modo di essere delle persone, ma sono falliti. Così la famiglia diviene solo un centro di mantenimento finanziario e forse la sua permanenza parziale è più dannosa che del suo crollo definitivo.
Ma ciò che si è verificato nei decenni scorsi è stato lo svincolamento degli individui, che erano preposti all’autorità familiare, da questa forma di autorità. I figli da una parte, ma in particolare le donne. Se le donne una volta erano sottoposte alla tutela familiare, formale o informale che fosse, con la cosiddetta “rivoluzione culturale e sessuale” non lo sono più state. Il capitalismo è entrato fin nelle midolla di questo sistema sgretolandolo e rendendo la donna “libera”. Ma libera di cosa? Libera di vendersi. Non più la famiglia, ma lei decide a chi e come vendersi. La donna è divenuta merce libera. Ma una merce non è libera per il consumatore, ma per il detentore. Una merce libera non è quella merce disponibile a tutti ma una merce il cui proprietario è libero di stabilire le regole di vendita, le condizioni contrattuali. Essendo la donna proprietaria della propria “merce” è diventata libera di stabilire le condizioni della propria vendita. Si perché nel capitalismo non è l’Uomo a essere padrone della merce, ma la merce a essere padrona dell’Uomo.
Il consumatore può appropriarsi fisicamente della merce dietro pagamento del relativo pedaggio, ma la merce si appropria dell’anima del consumatore gratuitamente e ne detta le regole e i moti interiori. Inoltre la donna è una merce “trainante” perché è una merce che consuma e richiede molta “manutenzione”. Così una cospicua fetta di redditi maschili finisce nelle casse di aziende di beni di consumo per donne alimentando il giro d’affari consumistico odierno.
L’operaio è appendice della macchina come il consumatore è appendice della produzione. Ecco la donna che si mette in mostra, che stimola il consumo. Ecco il sesso effeminato sbandierato ai quattro venti. Ecco la deriva sessista del femminismo.
Altra caratteristica della forma merce consiste nella concentrazione in poche mani. Si viene così a verificare che uomini che hanno maggiori “attrattive” si ritrovano ad avere relazioni con un cospicuo numero di donne mentre molti uomini si ritrovano esclusi dal mondo femminile. Alcuni riconducono questo fenomeno alla cosiddetto “maschio alfa” ossia il capobranco che si appropria non solo delle risorse del territorio ma anche delle femmine del branco. Ci sarebbe però da notare che, almeno nei mammiferi, il maschio alfa non viene scelto dalle femmine, ma è una condizione che si determina con le lotte tra maschi. Il vincitore diventa il maschio alfa e si impossessa di tutto o quasi tutto, ma non sono le femmine ad essere “attratte” da lui, come invece avviene nella nostra specie. Nella nostra specie si verifica quasi il fenomeno del “lek” che avviene in molte specie di uccelli, come per esempio per il pavone. Nella stagione degli amori i pavoni maschi occupano degli spazi di terreno, i leck, e aprono le code. Le femmine accorrono dal maschio che per vari motivi attira più femmine. Non solo per le sue caratteristiche, ma anche se per eventi fortuiti alcune femmine iniziano ad accorrere presso un certo maschio le altre non guardano il maschio in questione ma le altre femmine. Se sostituiamo la coda del pavone con un bel macchinone del fighetto di turno (magari un vero cesso, ma sempre col macchinone però...) possiamo renderci conto di quanto una certa porzione di Umanità sia molto più vicina al regno animale di quanto si credi. E in effetti le donne, più che dal potere d’acquisto economico, sembrerebbero essere attratte dallo status dell’uomo, dal suo essere celebre e famoso. Ma il tutto potrebbe anche farsi ricondurre al fenomeno generico della moda e all’innato istinto imitativo degli esseri umani più che a una vera e propria pulsione “sessuale”. Ma il che non esclude certo anche il mero calcolo economico, ossia l’avere un uomo che possa garantire una buona vita per sé e per i figli.
Così il paradigma della donna-merce costituisce forse il fine di quel processo di cui il femminismo che abbiamo conosciuto è stato forse più una pedina che non una guida. Però non bisogna credere che la donna per questo sia davvero libera, perché così come la merce inanimata, anche la donna è sottoposta alle dure e ferree leggi del mercato e a queste ella deve sottomettersi per gestirsi al meglio. Quindi la donna-merce non ha sottomesso l’uomo a sé ma si è sottomessa al mercato, in questo caso del sesso e delle relazioni sentimentali, come l’uomo è stato sottomesso da queste dure leggi di mercato.
Ma perché si è verificato tutto questo? Perché le donne non sono diventate persone pari e uguali agli uomini?

Storia o natura contro la parità effettiva
Come per molti aspetti della conoscenza dei fenomeni umani e sociali, anche in questo campo esistono diverse interpretazioni che possono farsi ricondurre in due principali tronconi. C’è una prima versione che asserisce che per motivi storici le donne hanno un reddito globale minore di quello degli uomini e questo le renderebbe economicamente ricattabili. Altro punto di vista invece afferma che i due sessi hanno impulsi sessuali diversi e questo renderebbe gli uomini sessualmente più ricattabili. Entrambe le argomentazioni non mancano di avere fatti e fenomeni a loro disposizione per appoggiare le proprie tesi e smentire quelle dell’altra “corrente”.
Anche qui mi vien da pensare a quella che Plechanov (http://www.criticamente.com/cultura_arte/Plechanov_Georgij_Valentinovic_-_Scritti_di_estetica.htm) direbbe che si tratta di una “semplice” interazione, e come afferma nel suo libro “La concezione materialistica della storia” (http://www.comprovendolibri.it/ordina.asp?id=1706449) chi si ferma a osservare l’interazione senza andare a scavare ciò che ne sta a monte e che la “innesca”, che la fa causa, è affetto da miopia intellettiva.
Io sono miope e non vado oltre.

Il paradigma del sesso-successo e la “sacralità” del corpo femminile
Ci sarebbero da notare alcune cose riguardo il “reciproco” ricatto sesso-denaro che intercorre tra uomini e donne.
Riguardo l’aspetto quantitativo dei bisogni sessuali dei due sessi non mi sento di avanzare nulla con sicurezza. È molto probabile che il fatto che il sesso maschile abbia per sua natura dei bisogni sessuali parecchio superiori di quello femminile sia vero, ma non lo affermerò né lo negherò.
Ciò che mi viene invece da notare è l’aspetto “qualitativo” di questi bisogni, ossia il modo con cui si manifestano e con cui spingono alla loro soddisfazione, senza asserire che ciò sia dovuto né a fattori culturali né a spinte di origine naturale.
Se ben notiamo tutta la strutturazione sessuale maschile e femminile odierna è improntata in maniera tale da rendere il maschio umano dipendente dal corpo femminile. Quello che voglio dire è che i bisogni sessuali di per sé possono anche essere esorbitanti ma sono facilmente soddisfabili in maniera autonoma. L’autoerotismo è qualcosa che tecnicamente funziona molto bene. Eppure da una parte sembra che gli uomini siano più attratti dal corpo femminile che non dal sesso in sé e in particolare dalle caratteristiche fisiche secondarie femminili (seppure la loro sessualità viene tacciata per “grezza”, “genitale”, “animalesca” e “primitiva”) e dall’altra si infonde la figura che l’uomo che non fa sesso con una donna, a meno che non sia gay, è un fallito. Il termine “segaiolo” indica praticamente l’uomo sessualmente “fallito”. Fa niente se magari un uomo gode molto di più da solo che non con una donna incapace, il fatto che non “riesce” a stare con una donna lo rende “fallito”. Questo mentre l’autoerotismo femminile è segno di grandissima sensualità, così come i rapporti omosessuali femminili. Una donna che “confessa” di fare autoerotismo “merita” encomi da parte del pubblico maschile, come se il fatto che le donne si fanno i ditalini cambiasse qualcosa nella vita degli uomini. Per non parlare poi delle donne che hanno rapporti erotici con altre donne. Così per molti l’autoerotismo, invece di essere un incontro con se stessi e col proprio corpo non diventa altro che una rappresentazione (adorazione?) virtuale dell’immagine femminile. Del resto l’attacco che il femminismo fa alla pornografia, ma anche all’utilizzo dell’immagine femminile a scopi commerciali e mediatici, è solo ipocrita e superficiale. In realtà il femminismo cavalca l’onde di questa dipendenza per i propri scopi reali.
Anche il disprezzo che si ostenta verso l’omosessualità maschile va in questa parte. È vero che gli omosessuali oggi pare siano abbastanza rispettati se non addirittura “venerati” tanto che oggi pare che l’omosessualità faccia “vogue”, ma è anche vero che la società nutre un profondo disprezzo verso la sessualità degli omosessuali maschi, mentre divinizza quella delle omosessuali femmine. Come dire: il sesso non è sesso decente se non c’è almeno una presenza femminile. La sessualità deve in qualche modo girare intorno all’immagine femminile, solo questa merita di essere assurta al rango di “erotismo”. Il sesso senza donne è considerato come qualcosa di estremamente reietto. Anche la stessa pornografia, utilizzata da molti uomini a fini autoerotici, pare volta a una dipendenza dell’uomo verso l’immagine femminile: se non c’è una donna materialmente deve esserci almeno virtualmente. A tutto questo da aggiungersi la persistente passività femminile, in quanto, contrariamente da quanto si afferma, le donne non sono per niente diventate più intraprendenti verso l'altro sesso. Anzi forse se la tirano ancor di più di un tempo.
Ma questo non è un fenomeno dovuto al femminismo, ma risalente a epoche molto precedenti e forse di origine naturale. Solo che il femminismo lo usa per i propri scopi, come la società odierna usa a sua volta il femminismo per i propri. Sono quindi degli stereotipi, o se vogliamo degli archetipi, che risalgono a quella che viene definita dai più come “era patriarcale”. Gli stessi cultori della fine dell’era “patriarcale” non si accorgono di quanto usino tali stereo-archetipi quando definiscono come “fallito”, “frustrato”, eccetera chi osa criticare il “sacro” sesso femminile. La morale consisterebbe nel fatto che solo chi non fa sesso con le donne sarebbe tanto “frustrato” da criticare le donne, le quali invece, essendo il non plus ultra della perfezione in terra, non meriterebbero alcuna critica. Quindi un uomo sessualmente “soddisfatto”, e per essere soddisfatto a un uomo basterebbe che faccia sesso non importa come e con chi, non avrebbe altri motivi per criticare le donne. La presunzione, l’incoerenza e la grettezza di un tal modo di ragionare è evidente. Ma del resto i cultori del femminismo sono i primi che hanno l’interesse a rendere gli uomini dipendenti il più possibile dal genere femminile, oltre che di utilizzare “armi” vecchie e nuove per attaccare chi si oppone ai loro crismi.
Lo stesso disprezzo merita chi non sbava dietro il corpo femminile. Fare commenti adulatori alle donne, specie se nude o seminude, è un dogma che non è pensabile trasgredire. Più che dal sesso il maschio umano sembra “dipendere” dal corpo femminile che costituisce la meta ultima della sua vita. Il migliore indice di realizzazione dell’uomo è costituito dall’avere almeno una donna con cui fare sesso.
Sulla stessa linea d’onda sta il passaggio dall’immagine maschile a quella femminile nell’ideale collettivo, con la conseguente svalutazione dell’immagine maschile. Dalla figura umana dotata di virilità, vigore e possenza dell’uomo classico si è passati al prototipo della modella siliconata a tirata a lucido dei calendari e della pubblicità odierna. La figura della donna è diventata il liet motiv della propaganda mediatica e commerciale di oggi, esaltata, acclamata ed enfatizzata pur nella sua artificiosa ridicolaggine. Questo mentre le poche immagini maschili, in tutte le varie salse, vengono puntualmente criticate e ridicolizzate. L’uomo è “ridicolo” se bello o brutto in quanto uomo, la donna è “grandiosa” bella o brutta (definire “belle” molte “figone” di oggi è una vera offesa alla bellezza!) in quanto donna e ormai adesso in quanto nuda o seminuda.
        
Gli uomini contro gli uomini, il femminismo è maschio?
La scienza odierna sostiene che la riproduzione sessuata permette una varietà genetica che consente a una specie di affrontare vari cambiamenti e varie situazioni. A fronte di questi vantaggi vi sarebbe il cosiddetto “costo del maschio” consistente nel fatto che vi sia una parte della popolazione, quella maschile, che non si “riproduce”, nel senso che non partorisce direttamente la prole. Il sesso maschile è un sesso “derivato” in quanto il sesso base è quello femminile che potrebbe riprodursi anche per partenogenesi.
In realtà i vantaggi che fanno fronte a questo costo sono innumerevoli e vanno ben oltre la semplice varietà genetica. Basti pensare alla suddivisione sociale dei ruoli che è esistita ed esiste tuttora nella nostra specie, che fa in modo che i due sessi si specializzino, a seconda del proprio ruolo biologico, in diverse mansioni sociali in modo da rendere il massimo per il beneficio della comunità. Oggi in una società tecnologica questa suddivisione può apparirci superflua, ma in passato ha avuto di certo una necessità di non poco rilievo.
Uno dei ruoli in cui i maschi umani si sono specializzati in passato è stato il campo del pensiero. La filosofia, la religione, la scienza sono state per lo più prerogative maschili, in cui gli uomini hanno pensato e agito per sé ma forse soprattutto per le loro donne e i loro figli. E lo stesso vale per la politica e le dottrine che l’hanno alimentata e sostenuta.
Tutto questo lo dico per lanciare una provocazione, cioè che il femminismo non sarebbe un grande strappo alla regola, che non costituisce un vero e proprio pensiero femminile, ma anzi che sia anch’esso un pensiero maschile. Sono gli uomini che si dividono, come sempre, in diverse fazioni sostenenti una determinata tesi. Ci sono uomini profemminist che si ergono a paladini del femminismo e, a torto o a ragione, delle donne in generale, e gli antifemministi che invece contrastano i primi. Una guerra tra uomini tanto per cambiare, in cui i piagnistei e le “proteste” delle femministe non sono altro che lo sfondo, il pretesto su cui si fonda questa ennesima lotta intramaschile.
E infatti sono gli uomini i più accaniti sostenitori del femminismo. Sono gli uomini che attaccano con più furore le correnti antifemministe. Le femministe spesso si limitano a lanciare qualche commento “ironico” (o impertinente?), o al massimo a fare qualche “scaricata” per poi ritirarsi e “ignorare” o fingere di ignorare chi critica il femminismo. Ma le argomentazioni più vaste e più valide, vere o false che siano, e anche più accalorate le forniscono in genere i soggetti di sesso maschile.
Del resto i cortei delle femministe a nulla sarebbero serviti se non vi fossero stati uomini pronti a concedere alle donne legittimi o illegittimi diritti.
Ma perché gli uomini sostengono il femminismo? Cosa li spinge a questo?

Una società che informa ma non forma
La libertà di informazione è uno dei capisaldi della società moderna. Essere liberi di diffondere e di reperire notizie è un elemento importante del nostro vivere quotidiano. Ma oggi notiamo però che siamo sommersi di informazioni nozionistiche, frammentarie, contradditore, incoerenti e di cui è difficilissimo discernere quelle piuttosto vere da quelle piuttosto false.
In questo marasma nozionistico abbiamo perso un elemento importante per il nostro essere, che è la formazione. Oggi la nostra personalità non ha più tempra di carattere, non ha più struttura di principi, non ha più forma. Ciò che dico non ha valore di critica, le finalità che mi propongo sono prevalentemente descrittive e non prescrittive.
Una caratteristica fondamentale della nostra specie consiste nella dimensione cerebrale e nella durata dell’infanzia. Quest’ultima serve per prolungare il periodo di apprendimento e fare in modo che il cervello non solo accumuli informazione, ma si formi in maniera atta a fornire gli strumenti intellettivi idonei ad affrontare i problemi delle vita. Una volta i problemi della vita erano attinenti la stessa vita, la sopravvivenza. Un tempo remoto, e oggi presso i popoli più primitivi, sono previsti rituali iniziatici per gli adolescenti che si apprestano a entrare nella vita adulta.
Oggi questi rituali non ci sono più il passaggio alla vita adulta è diventato in parte più problematico e in parte più indefinito. Anzi pare che vi sia uno spostamento in avanti di questo passaggio, un culto del giovanilismo, della spensieratezza, del non assumersi responsabilità. Questo mentre assumersi responsabilità diventa cosa sempre più dura, sempre più onerosa, sempre più problematica.
Quando in gioco c’era la sopravvivenza, quando la vita era fatta di miseria e di stenti, quando bisognava affrontare povertà, fatica, guerre e pestilenze, la società aveva bisogno di individui dotati di una tempra fisica, psichica, morale. Era una necessità fisiologica della società tradizionale. Nel momento in cui la tecnica ha favorito un enorme aumento di produttività, tanto che i mali della società odierna non stanno nella miseria ma nell’abbondanza, questa tempra non è più necessaria. Anzi ai fini consumistici c’è bisogno di persone viziate il più possibile, che non si accontentano, insofferenti. Il consumo di un bene nasce da una mancanza da un bisogno, se una persona è temprata nel suo carattere i suoi bisogni si esauriscono nel necessario per vivere e formarsi. La forza di carattere e il valore personale sfavoriscono il consumo. Quindi oggi c’è bisogno di tirare su individui deboli e viziati, dei consumatori modello che mai si accontentano e di tutto necessitano. Si viene a formare una società nozionistica che imbottisce di informazioni fini a se stesse ma che non si riconducono a un disegno generale, una società che non tempra il corpo e lo spirito, una società che informa (male) ma non forma.

 
 
 
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