Creato da: 1carinodolce il 08/06/2008
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FORREST GUMP - REC.

Post n°36 pubblicato il 14 Giugno 2008 da 1carinodolce

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Gli anni ’90 hanno lasciato il segno sulla visione americana del destino e l’attenuazione dell’ottimismo alla base dei film girati da Zemeckis è un sintomo emblematico. Ce ne accorgiamo riflettendo su quella che è la frase tematica che caratterizza Forrest Gump, uno dei più significativi personaggi cinematografici degli ultimi anni: “La vita è come una scatola di cioccolatini. Non sai mai quello che ti capita”. In modo semplice ed efficace questa massima esprime un profondo cambiamento dell’orientamento rispetto alla natura del nostro destino (espressa anche da una delle sequenze più famose di questo film: il lento cadere di una piuma sospinta dal vento): l’essere umano, creatura finita, non ha a completa disposizione il proprio futuro, la scelta libera ha sempre una componente di rischio e la realizzazione della felicità un che di aleatorio.

Il personaggio di Forrest Gump sollevò fin da subito numerose polemiche circa il suo essere un ritardato. A mio avviso Eric Roth, lo sceneggiatore di questo film (e di altri film interessanti e profondi come Insider, L’uomo che sussurrava ai cavalli, Mr. Jones, L’uomo del giorno dopo) girato da Zemeckis, ha voluto presentare due personaggi, Forrest e l’amica Jenny, che attraversano in modo diverso i decenni più tormentati della storia americana (il Vietnam, la contestazione giovanile, la lotta contro la discriminazione razziale, la violenza contro le più alte cariche dello stato). Forrest attraversa questi anni senza venirne travolto, mentre Jenny subisce tutti gli sbandamenti di un epoca fino a morire di Aids. Molti hanno dunque letto nel film questa tesi: l’unico modo per sopravvivere alla storia e difendersi dalle avversità del futuro è quello di ignorare la storia stessa rifugiandosi in un oasi di ingenua semplicità. Non credo si voglia difendere una tesi semplicistica come questa. Forrest è un uomo felice, nonostante i dolori che attraversa, non perché è stupido e non capisce ciò che sta avvenendo. È un uomo felice perché il suo sguardo, all’inizio per necessità poi sempre più per scelta consapevole, non si fa distrarre da ciò che è importante: l’amore per Jenny e per la madre, l’amicizia leale, la fedeltà al proprio dovere, la capacità di elaborare un lutto con profondità (espressa dalla famosa sequenza della lunga corsa da una costa all’altra degli USA). La straordinaria esperienza che si prova seguendo questo film (e che ne ha determinato il clamoroso successo) risiede nel fatto che alla fine lo spettatore si accorge che un uomo che per tutta la storia gli è stato presentato come ritardato è invece una persona a cui desidera profondamente assomigliare.

Forrest è insomma una specie di Pinocchio postmoderno che affronta un interessante percorso di formazione. Da bambino è riuscito a liberarsi dai pesanti sistemi tutori per la sua spina dorsale imparando a correre in modo autonomo. Da grande ha imparato a liberarsi dalla forma di tutela psicologica che la madre gli aveva suggerito (rispondere a chi lo considerava uno stupido con un convinto, ma ripetitivo, “stupido è chi lo stupido fa”).  

   Il momento in cui Forrest dimostra di essere cresciuto è particolarmente emozionante: lo vediamo trovare il coraggio di dichiararsi alla donna che ama, affermando con chiarezza che lui non è stupido, e non perché “non fa lo stupido” ma perché sa amare e sa cosa amare significhi. 

 

Francesco Arlanch

Per gentile concessione di :  Studi Cattolici

    

 
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