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Un blog creato da GiuseppeLivioL2 il 31/08/2014

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Post n°14 pubblicato il 26 Febbraio 2015 da GiuseppeLivioL2

 

 

è tardisssssssssssimo, ma provo a scrivere questa cosetta  molto meno importante della fede, evidentemente, ma che riguarda  una mia (e di quasi tutti) grande passione, la musica  (le canzoni)     
   

PER FAVORE,  CONSIGLIATE  A ME  E A TUTTI,  TUTTE LE CANZONI CHE VI PIACCIONO TANTISSSSIMO, se vi va, ovviamente!   ^__^ 

 

Ci sono tantissime canzoni famose o famosissime che sono ovviamente grandi, grandissime canzoni, brani belli o bellissimi, parecchi veramente immortali, e sono pezzi che tutti, più o meno  conosciamo.
 
naturalmente  non tutte le canzoni di (anche grande) successo, quindi hits e super-hits, sono "classici" o grandi canzoni, e, viceversa, pezzi che non hanno venduto milioni di copie possono avere invece tutte quelle qualità che un 'classico', una song importante  deve avere...
 
questo non vale solo per la musica pop, evidentemente, ma per: romanzi, film, ecc. ecc.....

per quanto riguarda la musica leggera, poi, ci sono molte canzoni (e naturalmente anche album) che sono belle o bellissime, pur essendo poco conosciute, ne conosco davvero parecchie...   

non poche di queste, poi, vengono rivalutate col tempo, dopo diversi anni...

   
ma qui oggi voglio parlare, INVECE, di canzoni quasi sconosciute o sconosciute o addirittura sconosciutissime (!!)  ^___^ 
  
non poche, anzi  PARECCHIE, UN BUON NUMERO  di queste canzoni sconosciute  hanno però una caratteristica 'particolare', 'strana'.....
.....  cioè, che sono conosciute, appunto da pochissime persone, ma, da queste persone, da questi pochi o pochissimi '''fortunati''', sono MOLTO MOLTO apprezzate ed amate, e questa cosa che sto dicendo ora  è vera ed oggettiva.
INFATTI, queste ultime canzoni (di cui sto parlando), ad esempio su youtube, hanno poche o pochisssssime 'visualizzazioni',  MA  hanno un 'gradimento' ALTISSIMO .....!!!!!
  
AD ESEMPIO,
hanno solo  5.000  visualizzazioni, ma :
300  ''mi piace''   e 0 (ZERO...!!!) ''non mi piace'' 
   

su youtube  sappiamo benissimo che  anche canzoni che sono CAPOLAVORI ASSOLUTI, VERAMENTE IMMORTALI, possono ricevere MIGLIAIA (!!!!!) di ''non mi piace''  a fronte, ovviamente di decine o centinaia di migliaia di ''likes'', essendo canzoni bellissimisssssime.
   
ma, appunto, come mai canzoni straordinarie, eccezionali, anche tra quelle famosissssssime,  :)  ricevono comunque molti, parecchi DISLIKES ??!!!!!???
   
Come si fa a non apprezzare, anzi, a dare il proprio ''voto'' negativo, a canzoni che, come ho detto, sono assoluti super-classici, assoluti capolavori, indiscutibilmente  ???!!!!!??    mah  :)  

 

 

DA COMPLETARE ....... :) CONTINUA.....
  


HO MOLTO ALTRO DA SCRIVERE, E PARECCHI ESEMPI DI CANZONI DA PROPORRE, OF COURSE ..!   ^___*            
Grazie per l'attenzione
Buona notte  e  buon risveglio..!   ;-)) 

 

 

 
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GiuseppeLivioL2
GiuseppeLivioL2 il 20/03/15 alle 03:12 via WEB
Pat Benatar. L'amore è un campo di battaglia... Superficialmente etichettata come icona kitsch, Pat Benatar è stata a lungo una delle cantanti e performer di razza del rock americano. Grazie a una serie di canzoni che, in bilico tra hard-rock/Aor e pop, hanno rappresentato una felice stagione creativa, contribuendo a rilanciare un modello femminile aggressivo e vincente, in un ambiente storicamente maschilista. Una striscia positiva segnata idealmente dalla pioggia di Grammy e nomination del decennio Ottanta. Pat Benatar “Linda, that girl looks just like Pat Benatar!” “I know. Wait. There are three girls at Ridgemont... who have cultivated the Pat Benatar look” (dal film “Fast Times at Ridgemont High” – “Fuori di testa”, 1982) Prima di finire crudelmente relegata alla voce “kitsch”, con conseguente condanna all’oblio da parte della critica snob, Pat Benatar è stata a lungo una delle cantanti più amate e talentuose del rock americano. Come interprete e performer, anzitutto, ma anche attraverso una serie di canzoni che, in bilico tra hard-rock, Aor e pop, hanno rappresentato una felice stagione creativa, contribuendo a rilanciare un modello femminile aggressivo e vincente, in un ambiente storicamente maschilista. Una striscia positiva lunga circa una decade, tra la fine dei 70 e la seconda metà degli 80, segnata idealmente dai vari Grammy portati a casa (quattro consecutivi per la “migliore interprete rock femminile” dal 1980 al 1983, più la nomination altre quattro volte nel 1985, ‘86, ‘88 e ‘89 – un record senza precedenti...!!!!!!!), cui ha fatto seguito una brusca fase discendente, che ha contribuito a minarne la fama, almeno al di fuori dei confini nazionali. Perché negli Stati Uniti resta tuttora immutato il suo status di star, pluri-omaggiata e introdotta anche nella Long Island Music Hall of Fame nel 2008. Una polacca a New York Patricia Mae Andrzejewski nasce a New York (10 gennaio 1953) da padre polacco e madre irlandese. La sua carriera sarà in gran parte legata al secondo marito, il chitarrista Neil Giraldo, ma per uno strano scherzo del destino il cognome con cui passerà alla storia sarà quello dell’uomo con cui era convolata in prime nozze, Dennis T. Benatar. Un matrimonio di breve durata, finito al ritorno nella Grande Mela dopo un’esperienza a Richmond (Virginia) a metà tra impiegata in banca (di giorno) e cantante da night-club (di notte). Pat BenatarNel mezzo dei 70 Pat non sa ancora bene cosa fare da grande. Ha sì studiato canto (anche lirico) seguendo le orme materne, ma dopo il diploma alla Lindenhurst High School (1971) ha perso tempo, indecisa sul da farsi. Prosegue, comunque, una faticosa gavetta nei locali. E nel 1977 riesce finalmente a fare centro. L’occasione è una gara per cantanti dilettanti organizzata dal club Catch a Rising Star, New York. Pat esagera e si presenta mascherata come uno zombie, con un costume simil-Halloween di un personaggio del B-movie “Cat-Women Of The Moon”. Scherzo o provocazione, fatto sta che, incredibilmente, funziona. Forse per merito di una voce prepotente che non poteva passare a lungo inosservata. Complici anche un jingle per la Pepsi Cola e alcune performance al Tramps di New York, l’industria discografica si accorge di lei: Terry Ellis, boss della Chrysalis, la ingaggia senza pensarci un attimo. A completare la svolta che le deciderà la carriera, arrivano anche le nuove nozze con il succitato Neil Giraldo, con il quale Pat stabilirà un solidissimo legame artistico e sentimentale (da lui avrà anche due figlie, Haley e Hana). Pat e la sua band suonano un sano hard-rock senza fronzoli. Duro e irruento, ma non troppo. Perfetto per sfondare in classifica, nell’America del 1979. L’attacco nerboruto del drumming di "Heartbreaker" è l’introduzione ideale a questo rock bionico, in cui brilla la sua voce cristallina, tanto “pulita” nelle tonalità acute, quanto ruvida e sensuale in quelle più profonde. Un canto così spavaldo da essere esibito perfino a cappella oppure accompagnato solo dal rimbombo della batteria, ma che trova alla fine nelle scorribande chitarristiche di Giraldo il suo più fedele alleato. Il testo, invece, è il primo dei tanti tumulti sentimentali che verranno: “Your love is like a tidal wave, spinning over my head”. Tanto per mettere in chiaro subito le cose. Pat BenatarUn singolo-bomba, insomma, che schizza subito al n.23 delle chart Usa, trascinando l’album d’esordio, In The Heat Of The Night, e riuscendo quindi nell’impresa fallita dai due 45 giri precedenti: la cover country-rock di “I Need A Lover” (John Cougar Mellencamp) e l’agrodolce ballad “If You Think You Know How To Love Me”. Con un’irruenza di scuola punk, filtrata dalle pose sornione di una Debbie Harry (vedi anche la sensualissima copertina), Pat Benatar stende il pubblico, alternando scudisciate e carezze come una consumata mistress. “We Live For Love” è l’estasi sensuale, in guanti di velluto: una tesa ballata di sussurri e feedback maligni, sapientemente guidata dal canto della Benatar, che denota tutta l’ampiezza del suo range, inclusa un’attitudine “operistica” sconosciuta alla stragrande maggioranza delle cantanti rock. Si rivelerà l’altro hit, piazzandosi anch'esso tra i primi 30 della classifica. Altrettanto sinuosa è “In The Heat Of The Night”, che si snoda “notturna” anche nei suoni, ovattati e torbidi, con un basso pulsante e un bell’assolo centrale di chitarra. Sono forse i pezzi più vicini allo stile dei Blondie, un riferimento che resterà cruciale nella carriera di Pat, che si cimenta anche nella scrittura dei testi per il midtempo "My Clone Sleeps Alone" (un‘ode contro l’omologazione del modello female-rocker) e per il rock’n’roll sfrenato di “So Sincere”. Completano il quadro altre due cover – una più trascurabile, "Rated X" di Nick Gilder, l’altra più incisiva, "Don't Let It Show" degli Alan Parsons Project – mentre “No You Don’t” (originariamente scritta per gli Sweet) mostra gli artigli della rocker femminista nell’episodio forse più heavy del lotto. Grazie anche alla sapiente mano di Mike Chapman - già al fianco di Blondie e The Knack - che si alterna alla console con Peter Coleman, la miscela di In The Heat Of The Night si rivela esplosiva: approderà al 12º posto e conquisterà il primo di una serie di dischi di platino, imponendo la Benatar come nuova stella del firmamento rock. La guerra dei sessi Pat Benatar e Neil Giraldo sulla copertina di Rolling StoneNon c’è tempo da perdere, e nell’estate del 1980 è già pronto il nuovo Lp, Crimes Of Passion. Se nell’esordio se n’era intravista qualche traccia, qui la “guerra dei sessi”, che resterà un classico della produzione di Pat, esplode in tutto il suo furore. Ne è il manifesto ideale l’ouverture “Treat Me Right”, scritta dalla stessa Benatar: un ultimatum a tutta ugola, sotto uno strato di incandescenti feedback. “One of these days you're gonna reach out and find/ The one that you count on has left you behind/ Don't want to be no martyr, I know I'm no saint”, è la minaccia, di fronte alla quale l’unica alternativa è aprire gli occhi (“Open your eyes, maybe you'll see the light”), ponendo fine ai tentennamenti tipici della viltà maschile (“You want me to leave, you want me to stay/ You ask me to come back, you turn and walk away/ You wanna be lover, and you wanna be friend”). Rivendicazioni che tornano altrettanto aspramente su “You Better Run”, dove tra assoli sempre più heavy di chitarra, Benatar sfodera un’altra invettiva contro l’amato, mescolando rancore e passione: “I can't stand your alibis, you tell me lies, drive me wild, yeah”. Una sorta di attrazione perversa e fatale, per la quale l’unica ricetta è mettere in fuga il partner: “You better run, you better hide, you better leave from my side”. Irrompe sulla scena, dunque, una Pat guerriera, che non rinuncia però a mostrare il suo volto più sensuale (e, invero, un po’ volgarotto) in “Hit Me With Your Best Shot”: un rockaccio sporco e lascivo, trascinante nel suo corredo di chitarre in fiamme, seppur in sé piuttosto convenzionale: sarà però il suo primo singolo a entrare nella Top Ten, vendendo oltre 4 milioni di copie nei soli Stati Uniti. L’apice del disco è invece un’altra, infuocata performance, ispirata a Pat dalla lettura di una serie di articoli sul New York Times riguardo gli abusi sessuali sui bambini negli Usa. “Hell Is For Children” è uno dei saggi della sua potenza vocale, un tour de force sapientemente condotto tra momenti riflessivi ed esplosioni, ben supportate dai lancinanti solo chitarristici e da una implacabile sezione ritmica. Un ensemble che mostra tutto il suo affiatamento anche nel reggae-rock di “Never Wanna Leave You”. Il resto dell’album presenta episodi trascurabili (“Prisoner Of Love”, “I’m Gonna Follow You”, “Out-A-Touch” esercizi di buon mestiere e nulla più) ma anche una buona (e misconosciuta) cover rock della “Wuthering Eights” di Kate Bush, che mette in mostra una volta di più un talento vocale superiore. Crimes Of Passion non è un passo avanti rispetto all’esordio, mostra semmai una maggior consapevolezza nell’uso della voce e un più solido affiatamento col gruppo. Ma l’America ne è entusiasta e si innamora perdutamente di Pat vedendo in lei quasi una Springsteen al femminile. Nel gennaio 1981 l'album si issa al 2º posto della chart Usa (dietro a “Double Fantasy” di John Lennon), dove resterà per 93 settimane, e un mese più tardi la cantante newyorkese vince il suo primo Grammy Award, nella categoria Best Female Rock Vocal Performance. Rolling Stone la immortala in copertina con una celebre foto di Annie Leibovitz, che la ritrae in una sua tipica mise dell’epoca (pantaloni di pelle attillati e maglietta a righe), truccatissima e avvinghiata al suo chitarrista, nonché ormai autore di fiducia. E anche la nascente Mtv le tributa un onore non da poco: “You Better Run”, infatti, sarà il secondo video trasmesso nella storia dell’emittente, subito dopo “Video Killed The Radio Star” dei Buggles (agosto 1981). Pat BenatarResta però ancora da conquistare la vetta assoluta delle classifiche. Compito portato a termine dal terzo album, Precious Time (1981), che resterà anche l’unico della sua discografia ad aver conosciuto l’ebbrezza del primato, oltre che il primo a spopolare anche sull’altra sponda dell’Atlantico (n. 30 nelle Uk Chart). La prodezza si chiama “Promises In The Dark”, una insinuante cavalcata rock che parte pianissimo, con l’intro sussurrata in punta di voce, e si infiamma nel ritornello, con chitarre ruggenti e un drumming tempestoso ad assecondare il climax. Dal vivo diventerà un cavallo di battaglia, incendiando letteralmente la platea. A spopolare è però soprattutto “Fire And Ice”, forte di un’altra robusta impalcatura rock, con basso pulsante sugli scudi, a supportare la strepitosa interpretazione vocale e l’apertura melodica del refrain: le varrà il secondo Grammy Award, sempre nella categoria Best Female Rock Vocal Performance, nel 1981. Oltre ai due hit, Benatar scrive anche l’ambiziosa “Evil Genius”, un pezzo piuttosto lontano dai suoi canoni, dove gli inserti di fiati e le chitarre imbastiscono a tratti una sorta di “mini-suite” strumentale, forse non pienamente riuscita, ma certamente intrigante. Calligrafica, rispetto anche alla versione di Siouxsie And The Banshees, ma tutto sommato dignitosa la cover di “Helter Skelter” dei Beatles, mentre il soft-rock della title track si tiene a galla su un ritornello appiccicoso e su un’altra brillante prova vocale (con qualche eco di Chrissie Hynde). Altrove, invece, si scade apertamente in un bolso hard-rock da Fm (“Just Like Me”, “Hard To Believe”, “Take It Anything You Want It”). Non giova a questi brani una produzione un po’ troppo piatta e levigata, che comprime la furia strumentale e attutisce il pathos. Le ombre della notte Pat BenatarMa se proprio certi vizi in sede di produzione riflettevano i limiti di alcune operazioni anni Ottanta, l’approccio di Pat era rimasto quello di una tigre rock dei Seventies. Nel 1982, in piena febbre new wave, era giunto il momento di cambiare. Nelle interviste che precedono il nuovo album, la cantante newyorkese fa sapere che non ha alcuna voglia di finire ingabbiata negli stereotipi da hard-rocker, aggiungendo che ora preferisce tastiere melodiche di stampo wave alle chitarre metalliche e hard. Il cambio di rotta è suggellato visivamente da una copertina tipicamente wave, che la ritrae con scarmigliata acconciatura eighties e sguardo allucinato su sfondo bianco. E anche il titolo dell’album, Get Nervous, non fa che attingere a un immaginario nevrotico già saccheggiato da nugoli di waver. Serve però un brano che dia un senso all’operazione, che rischia di apparire insincera, se non proprio posticcia. “Shadows Of The Night” assolve pienamente al compito e va oltre, rivelandosi (forse) il capolavoro di un’intera carriera. Un’apertura ad effetto, che ti spara in faccia subito il ritornello solo-voce, poi quel muro poderoso di chitarre e il drumming che alza il ritmo, quindi il bridge, declamato con piglio epico, acuendo allo spasimo il pathos, con le fatidiche tastiere che reggono il gioco, fino al ritorno trionfale del ritornello, ora sostenuto da tutti gli strumenti e seguito dall’immancabile solo chitarristico di Giraldo. L’enfasi sul suono non è lontana da certe coeve produzioni di Jim Steinman, l’uomo che farà la fortuna dell’alter ego britannica della Benatar, Bonnie Tyler. È la canzone perfetta, quella che amalgama in modo ideale lo spirito autenticamente rock di Pat e la sua evoluzione più melodica degli anni Ottanta. Volerà al n.13 delle chart Usa e le varrà un nuovo Grammy per la miglior performance vocale rock del 1982.
 
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