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il nostro Gramsci di Sergio Dalmasso

Post n°461 pubblicato il 31 Agosto 2014 da Guerrino35

 

Sergio Dalmasso

 

IL NOSTRO GRAMSCI.

 

Possiamo schematicamente dividere l’attività di Gramsci in tre periodi: gli anni torinesi e l’ ”Ordine nuovo, la costruzione del partito, il carcere. Li percorriamo sinteticamente, facendo seguire alcune brevi considerazioni.

 

Gli anni torinesi e l’ “Ordine nuovo”

Antonio Gramsci è a Torino all’età di vent’anni, nel 1911, vincitore di una borsa di studio per la frequenza della facoltà di lettere.

In Sardegna ha maturato le prime letture (Salvemini, Croce, Marx, “La Voce”), aderendo a tesi autonomistiche (è da discutersi se, in seguito, abbandonate o meno).

Nel 1913 si iscrive al PSI, anche per la profonda amicizia con Angelo Tasca che gli trasmetterà una forte impronta culturale e pedagogica. Torino è il maggior centro industriale del paese e non è retorica l’affermazione per cui il giovane studente va a scuola dalla classe operaia, pur mantenendo sempre uno spiccato interesse meridionalista (la lezione di Salvemini).

Nel 1915 la svolta nella sua vita:

Sono entrato nell’ “Avanti” quando il PSI era ridotto agli estremi…liberamente, per convinzione. Nei primi giorni del dicembre 1915 ero stato nominato direttore del ginnasio di Oulx, con 2500 lire di stipendio e tre mesi di vacanza. Il 10 dicembre 1915 mi sono invece impegnato con l’ “Avanti”, per 90 lire al mese di stipendio.

Qui si manifestano i suoi interessi: l’attenzione alla cultura, al teatro, al costume, al senso comune. La sua rubrica “Sotto la Mole”, calendarietto di vita cittadina, modifica il linguaggio, trasforma il pettegolezzo di tanti giornali, affronta, attraverso pagine minute di vita, aspetti complessivi, così come i suoi articoli politici.

Dopo i moti torinesi contro il caro vita e la guerra, nell’agosto 1917, diviene segretario della sezione socialista e direttore del “Grido del popolo”. Nel novembre, dopo Caporetto, è delegato al convegno nazionale della frazione massimalista. Le iniziali incertezze, con qualche simpatia interventista, si è trasformata in un chiaro astensionismo.

Il 1 maggio 1919 nasce l’ “Ordine nuovo”, inizialmente settimanale. Siamo nel cuore del “biennio rosso”, massimo intreccio tra la crisi del capitalismo internazionale e la spinta operaia che sogna di fare come in Russia, di trasformare e rovesciare il mondo poggiandolo sulle classi subordinate.

La testata del settimanale sintetizza elementi del pensiero gramsciano: la spontaneità e le spinta delle masse (Agitatevi), la necessità di forza e di strutturazione politica (Organizzatevi), la necessità dell’istruzione, della formazione, della cultura (Istruitevi). L’influenza del leninismo e della rivoluzione sovietica si coniuga con la impietosa analisi delle organizzazioni operaie e dei sindacati tradizionali.

E’ la fase in cui maggiormente Gramsci concepiscel’organizzazione politica come necessariamente fondata sulla fabbrica, sul ruolo centrale dell’operaio nel processo produttivo. Il capitalismo è caratterizzato da concorrenza, anarchia nella produzione, individualismo, disordine, indisciplina.

L’alternativa è data dalla fabbrica, dalla coesione materiale del proletariato; è la fabbrica a costituire il modello organizzativo, su essa si modella il futuro dello stato operaio. I lavoratori sono educati alla rivoluzione comunista da questo apparato.

Inevitabile la teorizzazione del doppio potere. E’ il rapporto tra operai nella produzione a sviluppare modi di vita e di pensiero alternativi a quelli della borghesia e la conseguente necessità di una struttura organizzativa. I consigli operai sono, quindi, intesi come strumento di lotta rivoluzionaria e, al tempo stesso, come modello istituzionale per lo stato operaio. Nel ’20, Gramsci, avendo acquisito la teoria leniniana del dualismo di potere, scrive: Esistono due poteri in Italia.

E’ chiaro, oggi, il nodo problematico: è in discussione l’ideologia della neutralità delle forze produttive e dell’organizzazione del lavoro, propria anche del Lenin di Soviet più elettrificazione.

Il 1 gennaio 1921 l’ “Ordine nuovo” si trasforma in quotidiano. 20 giorni dopo a Livorno viene fondato il Partito comunista d’Italia (PCd’I). Il gruppo torinese, pur rappresentando la più significativa esperienza di massa è inizialmente subordinato all’esperienza e all’iniziativa della componente che fa capo ad Amadeo Bordiga.

La convinzione comune è che la situazione veda ancora la fase ascendente aperta dalla rivoluzione sovietica, che il capitalismo non significhi che putrescenza e caos, che l’emergente fascismo no sia pericolo reale, ma un semplice colpo di coda. Da qui la critica frontale al Partito socialista e alla CGIL, in Gramsci mai così netta.

 

La formazione del partito

Il partito bordighiano è centrato su un programma comunista, su una concezione statica del marxismo, fondato su principi immutabili, sulla proposta astensionista.

La tendenza comunista astensionista non ha mai avuto la pretesa che le viene affibbiata di essere la più fedele interprete del pensiero di Lenin. Essa ha sempre sostenuto che il bolscevismo non è altro se non il richiamo al più rigido, severo, classico, marxismo al quale continuamente fa appello e a cui continuamente si riporta lo stesso Lenin.

Il gruppo torinese, nei primi anni subordinato a questo (Gramsci avrà sempre grande stima per la statura politica di Bordiga) inizia nel ’23 a proporre un’altra ipotesi di partito e di lavoro politico.

La caratterizzano la creazione di cellule nei luoghi di produzione, l’impegno nel sindacato, la centralità della fabbrica, l’attenzione alla formazione dei quadri (le scuole di partito).

Nel 1924, anche per l’intervento e l’appoggio dell’Internazionale, Gramsci è in maggioranza.

Sono gli anni in cui, nonostante l’affermarsi della dittatura fascista, il PCd’I cresce, raddoppia il numero degli iscritti, nasce e si afferma il quotidiano “L’Unità”; sull’onda dell’opposizione aperta dall’indignazione per il delitto Matteotti, il partito sembra ritrovare slancio e ruolo. Tutti gli scritti di Gramsci colgono le grandi potenzialità, ma contemporaneamente la sproporzione fra la spinta di massa e le capacità ancora insufficienti dell’organizzazione politica.

L’affermazione definitiva della nuova direzione è segnata dal congresso di Lione (1926) le cui tesi segnano un grande documento, capace di analisi strutturale, di applicazione del marxismo all’analisi concreta della realtà italiana ed internazionale.

Le tesi propongono la linea di massa per il partito, il funzionamento collegiale degli organi politici, il maggior ruolo degli organi periferici, la capacità di calarsi nel lavoro illegale, l’analisi precisa dell’imperialismo italiano, l’attenzione alla questione contadina e all’influenza della religione cattolica sulla società, in particolare sulla masse contadine meridionali, propone l’incontro di operai e contadini in un blocco storico capace di trasformare la società.

L’originalità e l’anticonformismo di Gramsci, autentico marxista critico, si manifestano nel 1926, quando davanti allo scontro nato nel Partito comunista dell’URSS, una sua lettera critica metodi e deformazioni che stanno affermandosi. La lettera è bloccata da Togliatti che risponde nervosamente e per anni ne sarà negata l’esistenza (verrà pubblicata ufficialmente solo nel 1966) e denota, indubbiamente una lettura diversa delle caratteristiche della società socialista. Trotskij, Zinoviev e Kamenev hanno posizioni errate, ma ci hanno educati…ci hanno qualche volta corretto molto energicamente e severamente, sono stati fra i nostri maestri. La maggioranza non deve stravincere, deve evitare le misure eccessive. E’ ovvio che già nel ’26 e più ancora dal carcere, il confronto fra la realtà dello stalinismo e gli anni e la prassi leninista portino il comunista italiano a riflettere sui pericoli di degenerazione e di potere personale in URSS e sulla degenerazione che sta investendo il movimento internazionale.

 

Il carcere

Ancor più netto, ormai dal carcere di Turi, il dissenso di Gramsci nel 1929, davanti alla ennesima, netta svolta dell’ Internazionale. La crisi economica viene letta, da parte comunista, come il segno dell’imminente crollo del sistema capitalistico e della inevitabile vittoria di una ipotesi rivoluzionaria, solamente “sospesa”dopo il biennio 1919- 1920. In questo quadro, il compito dei comunisti italiani sfuggiti alla repressione fascista è il rientro in Italia, paese prossimo non solo al crollo del regime, ma alla rivoluzione sociale; la parola d’ordine: Tutti in Italia, conseguenza di questa analisi schematica e scolastica, è contraddetta da Gramsci che dal carcere elabora una ipotesi politica radicalmente diversa:

- E’ assurda l’ipotesi del crollo imminente a livello mondiale del sistema capitalistico,

- è errata l’ipotesi del socialfascismo (un blocco unico contro il comunismo che accomuna fascismo e forze democratiche) che tra l’altro cancella e vanifica tutta la polemica leniniana contro l’estremismo,

- tra fascismo e socialismo è necessario prevedere una fase di transizione (la Costituente non come fine, ma come mezzo in cui trovino posto le rivendicazioni più immediate della classe lavoratrice).

L’isolamento in cui Gramsci passa gli ultimi anni della sua vita, i contrasti con gli stessi compagni di carcere sono conseguenza di queste posizioni e sono documentati dalle lettere.

Per questo, l’albero genealogico spesso presentato: Gramsci- Togliatti- Longo- Berlinguer è elemento propagandistico, non sempre motivato, o comunque da discutere storicamente se non politicamente.

 

Per una riflessione

Un uomo isolato, distrutto fisicamente e psicologicamente produce, dalla cella di un carcere, con quasi inesistenti contatti con il mondo esterno e con pochissimi strumenti, una delle opere di maggior importanza per la cultura, non solamente italiana, del ‘900. La prima, certo imprecisa, suddivisione dei Quaderni dal carcere, così li titola tematicamente: Materialismo storico, Gli intellettuali, Sul Risorgimento, Note sul Machiavelli, Letteratura e vita nazionale, Passato e presente.

Chiaro l’intendimento di una riflessione non contingente, ma di lungo periodo.

Il marxismo della Seconda internazionale ha piegato il pensiero critico e dialettico di Marx verso una china oggettivistica e scientifica. Leggi oggettive regolano lo sviluppo della natura e la storia. Le leggi dell’evoluzione, applicabili nello studio della continua e progressiva evoluzione della specie, sono da applicarsi anche alla storia. L’affermazione della classe operaia è un portato dell’evoluzione e avverrà attraverso progressive conquiste e dislocamenti progressivi del potere (vedi, per questa interpretazione: Lelio BASSO, Socialismo e rivoluzione, Milano, Feltrinelli, 1980).

Bernstein, Kautsky, Plechanov…pur nelle differenze, concordano su questa prospettiva gradualista.

Gramsci, fin dai suoi primi scritti, rivaluta, al contrario l’intervento attivo dell’uomo nella storia. La rivoluzione contro il Capitale, scritto con cui saluta la rivoluzione sovietica, è l’esaltazione dell’intervento cosciente che ha piegato le leggi ferree dell’evoluzione, a parer suo, teorizzate nel Capitale di Marx.

Fra le due guerre, la spaccatura fra le due letture del marxismo si accresce. La situazione (isolamento dell’URSS, crescita della destra) favorisce l’irrigidimento ideologico. In URSS si conia, come dottrina ufficiale, il materialismo dialettico (Diamat). Stalin scrive Sul materialismo dialettico e sul materialismo storico. Ogni deviazione dalla dottrina ufficiale è considerata errore e tradimento, strumento utile per la reazione.

Contro l’economicismo che considera unicamente la base economica e in contrapposizione a questa logica riduttiva e parziale vengono pubblicati, nel 1923, due testi: Storia e coscienza di classe di Gyorgy Lukacs e Marxismo e filosofia di Karl Korsch.

In questi, la logica è opposta. Cardini del loro pensiero sono il concetto di totalità e il ruolo centrale del proletariato. Per comprendere un fenomeno storico, occorre tenere conto di ogni dato, del contesto, non solamente del quadro economico. E’ il materialismo storico di Marx a darci la chiave per comprendere i fenomeni storici; una visione globale non appartiene a tutti, ma solamente a chi si immedesima nella coscienza collettiva di una classe sociale. La borghesia può cogliere la totalità, ma la vede nei rapporti economici, nella merce. Solamente il proletariato può spezzare questa logica, vedendo la società nella sua realtà. E’ il comunismo la società in cui i rapporti fra esseri umani non sono più sottoposti alle regole di mercato.

Nel 1925, il quinto congresso dell’Internazionale “scomunica” i due testi come cedimento piccolo borghese a concezioni idealistiche. Il Diamat si afferma come legittimazione della società esistente.

Anche la Scuola di Francoforte, con il suo tentativo di legare marxismo e psicoanalisi, di inserimento di questa in una sfera sociale, con la sua grande capacità di lettura della società di massa e dell’autorità in tutte le sue forme, sarà oggetto di una chiusura totale e riscoperta (non a caso come Rosa Luxemburg) solamente negli anni ’60.

Davanti alla sconfitta politica e all’impoverimento culturale del movimento comunista, è Antonio Gramsci l’autore della più compiuta riflessione sullo scacco degli anni ’20 e contemporaneamente e teorizzatore di un pensiero (e forse addirittura di un comunismo) diverso e più ricco.

 

I Quaderni dal carcere

Di questi che rappresentano uno dei maggiori contributi alla cultura italiana del ‘900 e al marxismo teorico e che offrono, a distanza di 80 anni, apporti alla filosofia, al pensiero politico, alla storiografia internazionale (bastino il concetto di egemonia, il rapporto dialettico struttura/ sovrastruttura, o il nesso stato/società civile) isoliamo unicamente alcuni temi.

La critica a Bucharin. La propaganda marxista ha spesso prodotto una fase popolaresca, con tendenze deterministiche, fatalistiche, meccaniche. In fasi di sconfitta, questa concezione può divenire elemento di forza, di fede, di resistenza. Al contrario, quando il movimento rivoluzionario diviene forza dirigente, l’interpretazione meccanicistica si trasforma in un pericolo.

Esempio di questa semplificazione è il testo di Nicola Bucharin La teoria del materialismo storico, manuale popolare di sociologia marxista (1921) che riduce la filosofia della prassi (come Gramsci, non solo a causa della censura carceraria, chiama il marxismo) a ideologia, a verità assoluta, volgarizzandola.

Il marxismo rischia di essere ridotto alla teorizzazione di tesi meccanicistiche, di divenire un sistema dogmatico di verità assolute che giudica come assurde e prive di fondamento tutte le teorie precedenti: E’ indubbio come la critica gramsciana tenti di ridare al marxismo la veste di filosofia critica della storia e attribuisca centralità al momento filosofico superiore rispetto alle altre fonti (economia politica classica, rivoluzione francese) che riesce a sintetizzare.

La sua interpretazione coglie la natura anche filosofica della critica dell’economia politica contro la Seconda internazionale che nel Capitale vede solamente una nuova e superiore teoria economica. La critica dell’economia politica investe, invece, l’intera società capitalistica, in tutti i suoi aspetti, come “non universale”, ma capace di rispondere solo ad una classe sociale.

Il confronto con Croce. E’ indubbio che il confronto, anche se dal carcere, con Croce, coinvolga le due maggiori personalità culturali del ‘900 italiano, perlomeno quelle che maggiore influenza hanno avuto sul clima e sulla formazione intellettuale del nostro paese.

Se una ripresa del marxismo può avvenire solo confrontandosi con il livello più alto della cultura mondiale, in Italia il passaggio per la critica alle posizioni crociane è inevitabile. Diversa è la concezione dell’intellettuale (“tradizionale” in Croce, centrato sulla militanza politica nei Quaderni), netta la critica al peso avuto dai grandi intellettuali meridionali nella formazione complessiva della cultura e del senso comune nelle regioni del sud: Croce è una specie di papa laico. E’ il legame organico al proletariato a permettere all’intellettualità di avere un nuovo ruolo, di assumere impegno politico davanti ai nodi storici reali.

Tornano e si esplicitano, in questo confronto, i grandi temi del pensiero gramsciano: la questione meridionale, il ruolo della religione cattolica, il superamento dell’intellettuale “tradizionale” in quello “collettivo”

 

Il Risorgimento. Il Risorgimento italiano è “rivoluzione passiva”, cioè rivoluzione borghese parziale ed incompiuta. In esso non hanno avuto ruolo le grandi masse popolari, in particolare il mondo contadino. Le forze borghesi, ma anche quelle democratiche, rappresentate soprattutto dal Partito d’Azione non hanno saputo e voluto promuovere quella riforma agraria che sola avrebbe potuto muovere le masse contadine, legando ‘idealità nazionale a precise e concrete motivazioni sociali.

Questo mancato collegamento ha avuto conseguenze gravi e irrimediabili per lo stato unitario che si è costruito sul legame tra grandi proprietari terrieri meridionali e la nascente industria del nord, escludendo totalmente le masse popolari (contadini, operai…). La permanenza, a sud, di residui feudali e la politica reazionaria delle classi dirigenti hanno permesso una politica che non ha mai affrontato le grandi questioni sociali, la questione meridionale, quella della partecipazione del proletariato, scaricando sulla migrazione, su un ritardato colonialismo da piccolo imperialismo, su un intreccio fra repressione e clientelismo i problemi irrisolti.

Da qui la cronica debolezza istituzionale, da qui l’incompiutezza, a confronto con altri paesi, della nostra democrazia, da qui l’avvento del fascismo come risposta al fallimento dell’Italia liberale.

 

Americanismo e fordismo. L’imperialismo statunitense, affermatosi già negli ultimi decenni dell’ ‘800, agisce, con tutto il suo peso, sull’intero ventesimo secolo (tralasciamo considerazioni sull’oggi), a causa della sua grande potenza economica e militare, ma anche per una evidente egemonia politico- culturale. Nella riflessione di Gramsci emerge nettamente il legame organico fra l’egemonia americanista e le punte più avanzate del capitalismo. L’americanismo, quindi, non è limitato agli USA, ma è da intendersi come forma universale dell’egemonia capitalistica.

Oltre all’aspetto strutturale, l’analisi tocca il nuovo tipo umano che esso produce. L’uomo ridotto a scimmia dalla taylorizzazione, controllato in ogni aspetto della vita (dalla produzione, alla famiglia, al tempo libero) è esemplificato dall’espresione “uomo scimmia” e, nel cinema, dal personaggio chapliniano di Tempi moderni.

Il fordismo è caratterizzato dalla radicalizzazione e generalizzazione del taylorismo, dalla sussunzione diretta, sotto il capitale, di ogni forma di riproduzione della forza lavoro.

Ancora una volta, come già negli scritti sull’ “Ordine nuovo” circa la crescita della classe operaia e del regime di fabbrica, Gramsci coglie l’aspetto potenzialmente positivo di questo processo: l’americanismo e il fordismo derivano dalla necessità di pervenire ad una economia programmata. Questa segna il passaggio da un capitalismo individualistico ad uno monopolistico. Qui sta il terreno concreto, perché il proletariato possa rovesciare il capitalismo.

E’ ovvio che oggi l’eccezionale attualità dell’analisi gramsciana e della sua “scoperta” (chi altri coglie la enorme novità nell’economia, nella politica e nel modo di pensare di quella trasformazione nel momento in cui si svolge?) debba essere verificata a distanza di decenni.

La quasi scomparsa dell’operaio- massa nei paesi occidentali è compensata dalla crescita industriale in nuove aree? E’ corretto parlare di post fordismo davanti a paesi come Cina, India, all’area asiatica? Perché non si è verificata la previsione gramsciana secondo la quale contro l’americanismo sarebbe cresciuto lo spirito critico e invece crescono i fenomeni di spoliticizzazione e di conformismo di massa?

E’ chiaro che anche Antonio Gramsci sia da rileggere criticamente. Anche a settant’anni dalla morte.

In sintesi.

  • L’opera di Gramsci è da intendersi come unitaria e non è corretto contrapporre il periodo ordinovista a quello “partitista” a quello dei Quaderni.

  • I Quaderni non presentano una tematica del tutto nuova e diversa rispetto alle elaborazioni precedenti l’arresto (1926), ma una matura sistemazione teorica di problemi sorti nel corso della attività politica.

  • Il pensiero gramsciano si sviluppa interamente attorno alla scelta irreversibile compiuta nel 1917: adesione alla rivoluzione d’Ottobre e alla concezione della democrazia soviettista, non migliore, ma del tutto diversa rispetto alle altre forme di governo e concezioni della democrazia.

 
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