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Messaggi di Novembre 2014

 

VIOLENZA DI GENERE; VIOLENZA DI CLASSE

Post n°469 pubblicato il 22 Novembre 2014 da Guerrino35

Violenza di genere, violenza di classe

Partito Comunista | ilpartitocomunista.it

16/11/2014

Le donne del Partito Comunista partecipano alla manifestazione di Bologna in Piazza XX settembre, concentramento ore 18.00, nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne

La giornata contro la violenza sulle donne per noi comuniste non è semplicemente una data da "commemorare" eventualmente  con tanto di gran cassa mediatica, come da alcuni anni a questa parte viene fatto da media e partiti di governo/ opposizione (la differenza non ha più alcun senso!)

La data e la vicenda delle sorelle Mirabal che la giornata internazionale vuole ricordare, ci parla di una lotta di classe, fatte dalle donne più povere e sfruttate, contro una dittatura imposta, organizzata e consolidata dallo stato principe del capitalismo.

E ancora oggi la situazione è la medesima: violenza, omicidio e  il disprezzo più atroce contro le donne arrivano dopo una serie infinita di violenze che la società retta dai principi capitalistici di prevaricazione e sfruttamento dei più deboli, viene portata avanti con sistematicità in ogni rapporto sociale, economico, culturale ed interpersonale.

Il degrado della condizione delle donne, dopo le conquiste degli anni 70 che in Italia sono avanzate grazie alla mobilitazione di massa ed alla presa di coscienza di strati sempre più vasti delle classi lavoratrici, è oggi più intenso che mai, in concomitanza con la condizione di difficoltà sociale e politica che gli stessi strati popolari stanno vivendo.

La forza del capitalismo e l'assenza di una rappresentanza politica e sindacale di classe effettiva, non solo impedisce ed ostacola la difesa degli interessi delle classi popolari e in particolare delle donne ma li ricaccia in condizioni sempre più critiche.

In una simile condizione le donne pagano un doppio prezzo di sfruttamento e violenza. Una violenza che inizia con l'esclusione e l'espulsione dal mondo del lavoro che, in una situazione di crisi strutturale, caccia per prime le donne, privandole di autonomia ed indipendenza economica, costringendole allo sfruttamento rappresentato sia dalla disoccupazione che dall'obbligo di sopperire gratuitamente ai lavori familiari e di cura. I servizi pubblici come sanità, scuola , trasporti, servizi sociali, inoltre, sono messi ormai da anni, pesantemente a rischio dalle politiche liberiste assunte come diktat dalle amministrazioni pubbliche centrali e locali di ogni colore, sempre e solo a danno degli strati popolari e prime fra tutte, le donne.

La privazione dell'indipendenza economica e delle conquiste legate all'autodeterminazione delle donne ha portato alla progressiva regressione della condizione sostanziale e culturale che nella considerazione generale, propagandata dai media e imposta da stereotipi tornati imperanti, impongono alle donne un ruolo subordinato, segnato dal pregiudizio e dalla emarginazione sessuale.

In un simile contesto la violenza contro le donne diventa una ovvia, normale conseguenza, ribadita in famiglia, nei rapporti interpersonali e nelle relazioni sociali che ridisegnano il ruolo delle donne come soggetto da sfruttare nel lavoro, nelle società e nelle relazioni.

Le ipocrite campagne mediatiche contro la violenza alle donne che puntualmente tornano in occasione del 25 novembre, le altisonanti azioni di propaganda dei partiti al governo / opposizione e delle loro vecchie e nuove cinghie di trasmissione,  tendono unicamente a svolgere la funzione di assicurare e mantenere saldo quel che resta del legame di consenso elettorale a queste compagini. Compagini il cui unico obiettivo è quello di amministrare un potere le cui regole sono dettate dai grandi potentati economici e sociali. Nessun miglioramento può derivare alle reali condizioni di vita delle donne da simili politiche che non solo sono eterodirette ma sono sostanzialmente contrarie agli interessi delle donne delle classi popolari. Partiti, sindacati, associazioni che non mettono in discussione l'attuale sistema sociale fondato sulle regole dello sfruttamento e quindi della violenza, non possono dunque aver alcuna credibilità nella lotta e nel movimento delle donne contro la violenza.

Le differenze di classe imposte dalla società capitalista generano violenza di classe e ancora più violenza sulle donne delle classi operaie, lavoratrici e popolari. Per le donne ricche non ci sono differenze né discriminazioni per ragioni economiche o di genere, di sesso o sociali: solo chi vive la realtà sociale dello sfruttamento conosce sulla propria pelle la violenza che la società capitalista usa abitualmente come propria arma.

Per le donne del Partito Comunista, dunque, occorre unire tutte le forze espresse nelle lotte delle donne per battere la violenza di genere che non è che un aspetto della violenza di classe messa in atto dalla classe dominante;  costruire una rappresentanza degli interessi di classe e quindi delle donne di questa stessa classe sociale con l'obiettivo di costruire una società nuova, retta dal principio socialista dell'uguaglianza sociale.

Con questi obiettivi le donne del Partito Comunista partecipano alla manifestazione di Bologna contro la violenza alle donne del 25 novembre e invitano tutte le lavoratrici, coloro che hanno perso il lavoro e che vivono le condizioni di sfruttamento ed emarginazione sociale imposte dalla crisi a partecipare al corteo che partirà alle ore 18.00 da P.zza XX Settembre.


 
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Le vicende del Burchina viste da Miriam Sankara

Post n°468 pubblicato il 13 Novembre 2014 da Guerrino35

www.resistenze.org - popoli resistenti - burkina faso - 09-11-14 - n. 519

Mariam Sankara: Blaise Compaore deve rispondere delle sue azioni e dei suoi crimini di sangue


Mariam Sankara |
thomassankara.net
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare


04/11/2014

In questo giorno storico, provo una immensa gioia. La mia gioia è quella della famiglia Sankara, è la vostra, quella dei numerosi amici che seguono con interesse le vicende del Burkina.

Si tratta di vera e propria esultanza per il successo dei coraggiosi burkinabé: le donne, i giovani, la società civile, i partiti di opposizione e gran parte dell'esercito repubblicano, rispettoso del popolo. La felicità di vedere spodestato colui che credeva che il Burkina gli appartenesse in eterno.

Cari compatrioti, compagni e cari amici. Blaise Compaoré non avrebbe mai immaginato una mobilitazione come quella che si è realizzata questo 30 ottobre 2014. Avete vinto una vittoria senza precedenti attraverso l'insurrezione popolare. Facendo riferimento alla rivoluzione del 4 agosto, i giovani hanno riabilitato il Presidente del Burkina Faso, Thomas Sankara. Sono fiera di voi, del vostro spirito combattivo, mi congratulo con voi. Voglio ringraziare tutti coloro che hanno contribuito in un modo o nell'altro, a evitare il caos politico in cui Compaoré e i suoi amici volevano far precipitare il Burkina.

Compaoré e i suoi seguaci hanno inflitto l'ennesimo lutto sul popolo. Condivido il dolore delle famiglie delle vittime e porgo le mie più sincere condoglianze. Auguro una pronta guarigione ai molti feriti.

Inoltre, esorto le famiglie a interpellare la giustizia nazionale e internazionale perché Blaise Compaoré sia chiamato a rispondere dei suoi crimini.

L'immagine di mediatore della regione di cui si è ammantato, non deve esonerarci dal procedere contro di lui. E dire che nel 2012 ha anche accarezzato la scabrosa idea di esser premiato del Nobel per la pace, dimenticando tutti i crimini orditi dal 1987. Questo signore, che ha mediato i conflitti, ne era in realtà l'artefice. Paesi come Angola, Liberia, Sierra Leone, Guinea, Mali e Costa d'Avorio, dove ha trovato rifugio, hanno subito le sue manovre di destabilizzazione.

No, non deve trascorre giornate tranquille a Yamoussoukro. Deve rispondere delle sue azioni e dei suoi crimini sanguinari. Dobbiamo impegnarci fino alla vittoria finale che vedrà l'organizzazione di libere elezioni, eque e trasparenti.

Nel frattempo mi unisco all'idea che la gestione della transizione debba essere assicurata dai civili, nel rispetto del carattere democratico della nostra lotta. Questa vittoria non era attesa solo dal popolo del Burkina Faso, viste le molte testimonianze e i molti messaggi che ricevo da tutto il mondo.

Ora dobbiamo essere degni di questa vittoria, dobbiamo dimostrare che Blaise Compaoré non era indispensabile. Nulla sia più come prima, che le forze del cambiamento restino unite e vigili, preparino una alternativa politica, economica, sociale e culturale per il benessere del Burkina Faso.

Viva la democrazia e viva il Burkina Faso,
Patria o morte, vinceremo!

Mariam Sankara

Montpellier, 1° novembre
 
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Ebola

Post n°467 pubblicato il 13 Novembre 2014 da Guerrino35

Ebola in Africa: un prodotto della storia, non un fenomeno naturale

Agosto H. Nimtz * | pambazuka.net
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

29/10/2014

Non c'è nulla di inevitabile nell'epidemia di Ebola che sta ora devastando intere parti dell'Africa. Come altri disastri, anch'esso è il prodotto della storia e delle decisioni prese dai governi, in passato come nel presente.

La storia moderna africana insegna, spesso tragicamente, come sia necessario distinguere tra quelli che si potrebbe chiamare fenomeni naturali e quelli che sono essenzialmente fenomeni socio-economico-politici. I periodi di siccità che hanno devastato molte parti del continente nei primi anni 1970 sono stati un esempio del primo caso. (Lascio da parte la questione dell'influenza delle azioni umane sul riscaldamento globale.) Come mostra la California attualmente colpita dalla siccità, le carestie e le decine di migliaia di vite perse che sono arrivate dopo la sua scia non erano, però, inevitabili. Questo risultato orribile era in gran parte il prodotto delle politiche messe in atto dai governi coloniali e doverosamente e tristemente riprodotti da regimi post-coloniali.

La stessa lezione viene insegnata, ancora una volta, tragicamente, dall'ultima piaga del continente. Gli agenti patogeni umani esistono in Africa da quando la nostra specie ha cominciato lì a evolversi, e nello stesso tempo si sono evoluti anche loro, a volte con risultati come quello del virus Ebola. Ma non c'è nulla di inevitabile nell'epidemia di Ebola che è tuttora in evoluzione. Come le carestie, essa èanche il prodotto della storia, delle decisioni che i governi hanno preso nel  passato e nel presente. La questione rilevante è: gli interessi di chi  sono stati preferiti in queste scelte? Il modo in cui una società risponde al più naturale dei processi, l'evoluzione dei patogeni umani, mostra le risposte che si possono dare a questa domanda.

I regimi coloniali, al potere dall'ultimo quarto del XIX secolo, sino ad una decina di anni dopo la seconda guerra mondiale, sono stati disegnati soprattutto  per estrarre le risorse naturali dell'Africa nel modo più redditizio. I servizi sociali di cui avrebbero potuto beneficiare i soggetti coloniali, come la sanità e l'istruzione, se mai concessi, sono stati ridotti al minimo, per risparmiare sui costi. Questo spiega il carattere profondamente antidemocratico di quei regimi. L'ultima cosa che gli estrattori di risorse volevano era quella che i sudditi avessero  un po' di voce in capitolo circa il modo in cui erano governati e, quindi, come dovessero essere utilizzate le loro risorse naturali. Queste erano le condizioni del regime che le élite post-coloniali non solo ereditarono e prontamente abbracciarono,  ma che intensificarono al fine di privilegiare gli interessi della loro classe ristretta.  Nel caso della Liberia, una semi-colonia degli Stati Uniti, nominalmente indipendente dal 1847, la sua élite (i discendenti degli schiavi rimpatriati dall'America) garantì che la  Firestone Gomma potesse trarre enormi profitti dai suoi investimenti nel paese. È così che si produce la situazione scandalosamente ironica di oggi, dove in uno dei paesi produttori di gomma più importanti del mondo non sono  disponibili per i suoi abitanti sufficienti guanti di gomma per proteggerli dall'epidemia.

Negli ultimi decenni, in nome della lotta contro la spesa pubblica, gli sprechi e la corruzione, le agenzie internazionali di prestito, come il Fondo monetario internazionale, hanno richiesto, come condizione per ottenere nuovi finanziamenti, che  i governi africani riducessero le loro spese. Le élite africane hanno volontariamente accettato di farlo con i tagli imposti al settore sanitario e all'istruzione-contribuendo a creare la tempesta perfetta per il virus Ebola.

Affinché non si presuma che solo i paesi poveri o in via di sviluppo siano afflitti da tali esiti tragici, si prenda in considerazione quello che è successo nel paese più ricco del mondo nel 2005. Sulla scia di un fenomeno naturale, l'uragano Katrina - di nuovo tenendo da parte il riscaldamento globale - più di 1.600 persone (un numero ancora in fase di verifica, per quelli di noi che hanno familiarità con quello che è successo) hanno perso la vita a New Orleans e dintorni. Eppure, due mesi prima, un uragano di maggiore intensità, Dennis, ha colpito Cuba due volte e solo 15 dei suoi cittadini sono morti. Né l'esito era inevitabile. La differenza, invece, ha evidenziato le profonde trasformazioni strutturali in corso nella società cubana dopo il 1959, con l'avvento della sua rivoluzione. Per la prima volta nella storia di Cuba, i suoi proletari avevano un governo che dava priorità ai loro interessi e non a quelli di una piccola élite. La loro speranza di vita, così come misurata, ad esempio, dai tassi di mortalità infantile, le aspettative di vita, i livelli di istruzione, sono notevolmente migliorati, nonostante il fatto che Cuba sia ancora povera e sottosviluppata. I postumi crudemente diversi dei due uragani nelle due società, l'hanno detta lunga su quello che i proletari di Cuba avevano raggiunto e su ciò che le loro apparentemente benestanti controparti di 400 miglia a nord non avevano avuto.

Né è un caso che Cuba abbia fatto un passo in avanti, a differenza di qualsiasi altro paese, per inviare  il personale sanitario al fine di combattere la piaga dell'Ebola. Quattrocentosessantuno cubani si trovano in viaggio o già nelle zone colpite. Sono stati selezionati su 15.000 dei loro 11 milioni di cittadini che  hanno espresso la volontà di andare. Tutto ciò in significativo confronto con i soli 2.500 cittadini americani in rapporto ad una popolazione di 316 milioni di persone che, in accordo con l'agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale, si sono dichiarati volontari, per il medesimo obiettivo. Per i cubani non vi è nulla di insolito in quello che stanno facendo, posto che 4.000 dei loro operatori sanitari già sono in servizio in 38 paesi africani e circa 45.000 in altri 28 paesi. In tal modo, le scelte politiche di una società generano conseguenze non solo per le opportunità di vita dei propri cittadini, ma anche per quelli di altri paesi. E qui sta la lezione più importante. Fino a quando i proletari, non solo in Africa, ma altrove, non hanno governi che servano i loro interessi, rischiano di essere ancora una volta vittime inutili di fenomeni naturali.

* Agosto H.Nimtz è professore di scienze politiche e studi afroamericani ed africani presso l'Università del Minnesota.

 
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BURKINA FASO

Post n°466 pubblicato il 06 Novembre 2014 da Guerrino35

Un sogno all'ALBA per il paese degli "uomini integri"

Marinella Correggia | albainformazione.wordpress.com

02/11/2014

Il 31 ottobre 2014 il popolo del Burkina Faso [Paese degli uomini integri] è sceso in piazza in massa ottenendo le dimissioni e la partenza del presidente Blaise Compaoré, al potere da ventisette anni, dopo il colpo di Stato che il 15 ottobre 1987 uccise la rivoluzione del "Paese degli integri" e la sua guida, l'allora 37enne presidente Thomas Sankara. La "rivoluzione della dignità" in soli quattro anni (1983-1987) aveva trasformato il poverissimo paese saheliano in un laboratorio di futuro, di giustizia, solidarietà, antimperialismo, pace, ecosocialismo potremmo dire. Tutto molto scomodo per le élites mondiali e per quelle africane.

Non sappiamo ancora se la sollevazione di questi giorni si trasformerà – a causa delle interferenze esterne, in particolare da parte della Francia, ex potenza coloniale – in una delle tante "primavere manipolate", oppure se il paese saheliano recupererà la rivoluzione di Sankara. All'ex presidente burkinabè,  i sankaristi che con altre forze hanno partecipato alle manifestazioni di piazza in Burkina Faso hanno dedicato questa parziale vittoria.
Alassane, burkinabè sankarista che vive in Italia, ci ha detto: «Spero per il mio paese e per il mio popolo in una vera rivoluzione, come quelle dell'America Latina… Sankara era amico di Fidel e del Nicaragua; il presidente Chavez arrivò al potere quando lui era morto da oltre dieci anni, ma lo citò varie volte».
A una grande speranza, quella del Burkina nell'ALBA (Alleanza bolivariana), con tanti altri paesi africani, dedichiamo un piccolo sogno, ambientato nel 2017, a trent'anni dalla morte di Thomas Sankara. Che si avveri!

Capodanno 2017. La pagina internet curata in ventidue lingue da un gruppo di studenti del Burkina Faso traccia un bilancio dell'anno appena concluso.

Il nostro paese è stato insignito da Bolivia ed Ecuador del premio "Sumak Kawsay". In lingua quechua andina significa "Ben vivere collettivo". Noi burkinabè ci siamo arrivati in pochi decenni partendo da una condizione di morti di fame, in una nazione che era "il concentrato di tutte le disgrazie del mondo" come disse il nostro presidente Thomas Sankara all'Onu nel 1984.

L'associazione delle coltivatrici del Burkina Faso ha appena assunto la presidenza del movimento agricolo internazionale Via Campesina e, affiancata dal governo, s'impegna a perfezionare l'indipendenza alimentare del paese e lo sviluppo delle condizioni di vita nelle campagne.

La sicurezza e sovranità alimentare ("Mangiamo quello che produciamo, produciamo quello che mangiamo") è da qualche anno raggiunta malgrado le condizioni climatiche non favorevoli, tanto che i nostri agricoltori e nutrizionisti sono regolarmente utilizzati come consulenti anche da un Occidente sempre più in crisi, dove per fortuna i migranti – quelli che non sono ancora tornati nei paesi d'origine – hanno iniziato a prendere in mano la situazione.

Finalmente la barriera contro il deserto in Burkina è ultimata  e alberi resistenti ai climi aridi – neem, moringa, manghi, tamarindi, albicocchi africani, pistacchi, karité, acacie, giuggioli – popolano campagne e città, intorno a case e scuole dotate di pannelli fotovoltaici, essiccatoi, pompe, cucine, macchinari agricoli, tutto a energia solare.

Stiamo esportando nei paesi amici diversi principi attivi di origine agricola utili a curare malattie di massa prima trascurate; otteniamo in cambio materie prime necessarie e tecnologia. Ormai facciamo parte di un pool internazionale riconosciuto in materia di sanità per tutti, insieme – fra gli altri –  a Cuba e Venezuela.  

Partendo da una riunione di capi di Stato africani ad Addis Abeba nel 1987, su impulso del nostro presidente Sankara era stato creato un fronte unito contro il debito estero e per l'unione di tutta l'Africa. Ormai il progetto ha dato frutti e il debito ingiusto non lo paga più nessun paese del Sud del mondo… gli speculatori hanno giocato a lungo ma alla fine hanno perso.

Il Burkina Faso e altri venticinque paesi fanno parte dell'ALBA internazionale, Alleanza bolivariana dei popoli dell'America latina, Asia e Africa, un progetto di cooperazione anziché competizione fra paesi fratelli, nazioni sorelle. In origine si chiamava Alba. Nacque nel 2004 in America latina a opera dei governi rivoluzionari di Cuba e Venezuela, e si estese presto ad altri paesi progressisti dell'America del Sud.

Dopo la rivoluzione dell'ottobre 2014, che ha costretto il presidente Compaoré alle dimissioni, il nostro paese è quasi subito diventato il primo membro africano dell'Alleanza, trascinandone poi altri e i risultati in termini di sviluppo corale in pochi anni sono stati così evidenti che i popoli di diversi paesi africani e asiatici hanno votato alle elezioni in favore di candidati che avevano i principi e l'adesione all'ALBA nel loro programma.

Un processo a catena. L'ALBA, i cui membri sono in pace da tempo e non fanno guerre,  è stata nominata dall'Onu come mediatrice nel caso di conflitti interstatuali e interni. Già in varie occasioni, a partire dal 1991 anche prima dell'Alba i paesi non allineati erano riusciti a smascherare di fronte all'opinione pubblica i pretesti che avrebbero condotto a guerre in Medioriente da parte dell'organizzazione militaresca offensiva chiamata «Nato per uccidere», un pool di paesi occidentali belligeranti spesso in combutta con le medioevali petro-monarchie del Golfo.

Dimenticavamo: la Nato è in via di scioglimento. Nessuno ne sentirà la mancanza.

 
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