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2009: quaranta anni fa ad Alcatraz

Post n°163 pubblicato il 02 Febbraio 2009 da hunkapi_genova

Correva l'anno 1969, era novembre, per l'esattezza il giorno 20. Venne Alcatraz e nulla fu come prima. L'occupazione della famosa isola/carcere da parte dei Nativi Americani fu dimenticata col tempo ma diede la nascita ad un movimento politico che continua ancora oggi. La resistenza americana ha vissuto tante altre pagine contemporanee che il clamore mediatico ed i fatti hanno reso più importanti. Il leader naturale di quella straordinaria pagian di storia fu Richard Oakes, un mohawk che sentenziò: "This the beginning of our fight for justice and self-determination" ovvero l'inizio della loro battaglia per la giustizia e l'autodeterminazione.

Seguirono le appassionanti "guerre indiane" contemporanee, quelle che hanno visto ingrigire i nostri capelli facendoci sognare perchè dobbiamo ricordare che i nativi americani resistono in casa loro alla potenza numero uno della Madre Terra.  Le armi usate dai wasichu furono e sono le più potenti e sofisticate, non solo militari; ma gli Americani ci sono ancora ed ogni tanto tornano a farci sognare. Una sorta di sveglia anche per chi, come noi, se ne occupa, sostiene e si arricchisce con la loro cultura. Nuove energie ed arrendersi mai, se hanno resistito alla nostra invasione per 517 anni forse un motivo ci sarà.


Lo spirito di Alcatraz dovrà far parte di noi altrimenti giocheremo a fare “gli indiani” col rischio di apparire come quelli di plastica. In questi anni abbiamo fatto tanto, non dobbiamo accontentarci. Abbiamo una serie di obiettivi da toccare e che raggiungeremo, prendiamoci questo impegno.  Siamo debitori e proviamo a scalare un poco del nostro debito.



 



In merito alla informazione abbiamo i nostri mezzi ovvero la nostra buona volontà, quindi ci perdonerete e ci aiuterete. Non ci piace la censura, ci infastidiscono le offese gratuite. La storia insegna.


I nostri appuntamenti mireranno ad organizzare l’abituale Festa della Madre Terra cercando di coinvolgere il maggior numero di persone, personaggi ed istituzioni con la volontà di trasmettere una coscienza autentica nel rispetto di ambiente e natura.


L’ impegno storico sarà il più laborioso perché continueremo a raccontarvi la vera storia americana quella lakota, mohawk, hopi, inuit, cheyenne, chippewa o qualsiasi altra nazione nativa e non quella canadese, statunitense o messicana e così via; ma soprattutto ci aspetta l’oneroso obiettivo dell’ 11 ottobre come Festa Nazionale ed Internazionale dei Popoli Indigeni che comprende l’appuntamento romano a seguito del meeting genovese organizzato dall'omonimo comitato, che ha sancito la nostra promessa comune ai nativi di tutto il mondo.


Il 2009 ci ha portato due ricorrenze culturali e musicali importanti: il decennale della morte di Fabrizio De Andrè  ed il cinquantennale di quella del mitico Ritchie Valens. Ricordarli farà bene a tutti perché rappresentano gli aspetti diversi della cultura nativa e della sua forte capacità di contagio, per non relegarla alle immagini spesso stereotipate dei “bellissimi indiani a cavallo” della cinematografia ufficiale. Ben vengano anche gli straordinari cavalieri ottocenteschi, se non irridono, ma i nativi oggi sono anche scrittori, musicisti, poeti che non hanno dimenticato ed aiutano a dare una visione odierna. Le due commemorazioni ce lo rammentano.


Faber dimostrò ampiamente la passione per “gli indiani” costruendo uno straordinario long playing con l’inconsueta Sand Creek, ma soprattutto fu un genovese illustre del gran rifiuto celebrativo colombiano. Cosa ci sia da celebrare pare proprio difficile da intendere nell’inizio del più grande olocausto della storia. Un grande esempio di un altrettanto grande poeta musicista innamorato dell’armonia e dei nativi americani.


Richard Steven Valenzuela, in arte Ritchie Valens, moriva il 2 febbraio di cinquanta anni fa in un incidente aereo che ci rubò il firmamento emergente del rock, con lui persero la vita Buddy Holly e J. P. Richardson (The Big Bopper) oltre al pilota. Restano le loro straordinarie canzoni, i ritmi travolgenti e le strofe armoniose che hanno fatto innamorare generazioni di giovani in tutto il mondo. Ritchie aveva solo 17 anni, una giovane vita spesa per la musica persa per una monetina che gli fece vincere il terzo posto sull’ aeroplano per Fargo dove avrebbe tenuto un concerto. Chi non ricorda: La Bamba, Donna,  Come On, Let’s Go od ancora We Belong Togheter? Le proponeva una delle stelle più brillanti del mondo rock.


Il mondo pianse quei ragazzi definendo il 3 febbraio del 1959: The day the music died (Il giorno in cui è morta la musica). Ritchie proveniva da una famiglia povera con tanti problemi, fu la prima Chicano rock and roll star. Un nativo americano. Punto e basta. Chicano è un termine relativamente recente di origine naturalmente discriminatorio come negro o redskin, tuttavia è diventato come vietcong una parola di identità rivendicativa. Tutto ebbe origine dalla incapacità dei Nahualt del Morelos a definirsi Mexicanos. Riuscivano a dire Mesheecanos, da questa Cichano, che sono nella sostanza la mano d’opera importata per l’agricoltura statunitense in buona parte nativi e meticci. I Cichano come altre minoranze diedero origine a forti rivendicazioni e rappresentano una realtà politica molto organizzata.


I nativi americani non sono tutti uguali, non parlano la stessa lingua se non quella dei conquistatori, vogliono vivere le proprie contraddizioni, sono bravi e cattivi, smetteranno di parlare all’infinito come nei peggiori fumetti quando smetteremo di considerarli chiusi nell’alone di cristallo del mito, sembra un’altra piccola riserva. Aiutiamoli ad esistere all’interno della società più spietata dove, purtroppo, anche un neo presidente decisamente poco ortodosso “…ha ripercorso il cammino dei padri fondatori”, che forse erano anche schiavisti. Per gli americani originari i padri fondatori portavano le piume ed in rete circola un bellissimo poster con Capo Giuseppe, Toro Seduto, Geronimo e Nuvola Rossa definiti spudoratamente dai nuovi selvaggi:  "The original founding fathers" con sullo sfondo i 4 wasichu famosi di Mont Rushmore. Rimanendo in ambito 2009 si ricordi proprio il centenario della morte del grande americano apache Geronimo.


E tanto per fare un po’ di cronaca, nel giro di nemmeno 20 giorni (gennaio 2009) quale clamore hanno suscitato le vicissitudini di un uomo: il rifiuto della grazia dell’ex Bush, il trasferimento in un carcere di massima sicurezza di Waymart (Pennsylvania), l’aggressione da parte di altri detenuti nello stesso carcere, il conseguente isolamento per il rifiuto di fare i nomi degli aggressori nonostante le ferite ed il diabete in forma grave, il ritorno al carcere di Lewisburg.? La saga di Leonard Peltier, condannato a due ergastoli, che per essere stato aggredito rischia la libertà provvisoria come detenuto modello.



Il nostro 2009 coincidente con il quarantennale di Alcatraz si basa su alcuni traguardi: mantenere vivi l’affetto ed il sostegno ai popoli indigeni americani senza dimenticare gli altri; fare informazione sempre più corretta anche se non è facile, non bastano le scuse pilatesche di tanti potenti e governi; organizzare i nostri appuntamenti ed iniziative in funzione della sensibilità del mondo solidale verso la Madre Terra ed infine istituzionalizzare la memoria.

 
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