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Vita On The Road

Storia di un uomo e della sua moto..."In Viaggio"

 

 

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Marzo 1975

Post n°115 pubblicato il 07 Febbraio 2009 da indiana_63_883
 


Quel pomeriggio del marzo 1975 ero triste, pioveva forte e c'era una fitta nebbia.
Mio padre mi aveva punito perchè la pagella era nera e le insegnanti gli avevano detto che non avevo nessun futuro in quella scuola.
Il sette in condotta proprio non gli era piaciuto.
Avevo dodici anni e frequentavo la seconda media.
Nel mio petto batteva già un cuore che sembrava un pistone in un cilindro.
La mia stanzetta, i miei spazi, e tutto quanto girava intorno a me, parlava del mio amore per i motori, ma soprattutto per le due ruote.
Erano gli anni della regolarità, della tendenza agli sport motoristici che prediligevano le strade senza asfalto e le piste in terra battuta, uno su tutti, per me era il motocross.
Mio padre, pur non essendo un motociclista, in qualche maniera mi ascoltava, ma non soddisfaceva mai le mie richieste come gli altri padri facevano con i miei amici o compagni di scuola, tutti già possessori di ciclomotori o vespa cinquanta.
Ricordo in modo chiarissimo, quasi come fosse ieri, di come tutti i miei coetanei, riuscissero ad ottenere ogni cosa dai genitori pur non essendo dei campioni a scuola o in famiglia.
Pensai che forse ci fosse qualcosa di sbagliato in mio padre, perchè non mi potevo spiegare il motivo di tutti i suoi tentennamenti nell'appagare qualunque mio desiderio o richiesta, pur trattandosi di cose semplici o legittime per un ragazzino di dodici anni.
Mi faceva veramente desiderare una cosa prima di farmela avere, e senza lesinare ritardi su ritardi.
Mia madre invece, era il supervisore negazionista di ogni mia richiesta motoristica, ma avallava altri desideri tipici degli adolescenti, tipo la felpina o il jeans o gli stivali da cow boy.
Qualunque parola contenesse, motore, motorino, ciclomotore, bicicletta a motore, veniva bandita e censurata immediatamente senza possibilità alcuna di ritrattazione da parte mia.
Il bello era sempre vedere i miei genitori nemici e complici allo stesso tempo nel prendere una decisione che riguardasse il mio futuro a due ruote, dopo la classica ed immancabile bicicletta a pedali.
Quel pomeriggio, entrai nello studio di mio padre che era assorto nella lettura di un libro sul mondo del paranormale, e mi guardai bene dal distrarlo o dall' attirare la sua attenzione fino a che lui stesso non alzò gli occhi dal libro per domandarmi con tono tra l'infastidito e l'austero: Che c'è?
Ed io consapevole di essere in errore per il risultato presentato dalla scuola su di me, ma soprattutto per quel maledetto sette in condotta, gli risposi: ho capito di aver esagerato quel giorno in refettorio, quando ho strappato la cuffia alla suora per vedere se aveva i capelli.
Mio padre, seppur nella sua severità, non riuscì a trattenere un'espressione che definirei un misto tra un sorriso appena abbozzato, ma direi più uno scoppio di risata abortita, e l'incapacità di non mostrarmi la sua parte più naturale.
Iniziai le trattative diplomatiche, e in quella stessa sede, promisi che mi sarei rifatto dei cattivi voti, soprattutto quello in italiano scritto, e avrei superato brillantemente gli altri due trimestri che mi separavano dalla sicura promozione a giugno.
Mio padre mi guardò fiero, e comprese che non stavo scherzando, perchè nonostante l'età avevo già una certa personalità, ma soprattutto ero uno che la parola la mantiene.
Si decise di comune accordo per delle ripetizioni d'italiano.
Alcune settimane dopo, un pomeriggio ero a casa a studiare e suonò il citofono al solito orario di rientro di mio padre dal lavoro.
Non era solo, l'accompagnava un uomo, ed io dall'alto delle scale distinsi le due figure maschili.
Entrato in casa, mio padre mi salutò e mi presentò il suo amico e mio futuro professore, ma direi di più, il mio mentore.
Era un uomo alto, dai tratti medio orientali, con uno sguardo magnetico ed una barba folta e scura, nella mia mente di ragazzino lo associai a sandokan.
Sono Francesco, mi disse, ma puoi chiamarmi Franco, tuo padre mi ha chiesto di aiutarti ed io sarò felice di insegnarti quello che ho imparato soprattutto nel corso dei miei lunghi viaggi.
Franco era il classico uomo non convenzionale, uno dall'aria vissuta, con le rughe intorno agli occhi ed uno sguardo incredibile,  profondo,  accentuato dal colore nero dell'iride, era quasi inquietante.
Guardando le foto nella mia stanza, mi disse: sei appassionato di moto eh?
Si, risposi, sono tutta la mia vita.
E lui: anche io lo ero, sono stato campione italiano di motocross, ma poi l'incidente mortale del mio migliore amico mi ha spinto a lasciare, non riesco più a salire su una moto, nemmeno se è ferma sul cavalletto.
Rimasi male, cercai di dire qualcosa, ma si sa, a quella età in presenza di una persona più grande, per giunta un professore e per di più un professore di quel tipo... cosa vuoi dire... restai in silenzio e cominciammo la lezione.
Venne giugno, e il risultato atteso giunse preciso e puntuale come l' orient express.
Ottimi voti, disse mio padre, bravo, hai mantenuto la tua parola, ed io risposi: si l'ho mantenuta, ma devo tanto anche al mio nuovo professore, Franco il tuo amico.
Quel giorno stesso, nel pomeriggio, citofonò Franco per complimentarsi con me, ma non volle salire, al contrario mi pregò di scendere nel cortile.
Ero molto indaffarato, ma nonostante tutto, il rispetto che nutrivo per lui e la stima, mi spinsero a rimandare qualsiasi impegno pur di scendere un momento.
Uscii dal portone e vidi dinanzi ai miei occhi un qualcosa che mi tolse il respiro, non riuscivo nè a parlare, nè a sorridere, nè a piangere, nè ad abbracciare Franco, ero lì impietrito, senza forza nelle gambe e non potevo nemmeno avanzare.
Di fronte a me, c'era una delle più belle e desiderate moto da cross del momento, era una Simonini 50 cc. di colore azzurro metallizzato, altissima, con le ruote da cross e i parafanghi bianchi.
La guardavo come non avevo mai fatto prima verso qualsiasi altro oggetto, trovai la forza di camminare e mi ci avvicinai, era incredibilmente bella.
Franco, che era di poche parole, guardandomi mi disse: Allora, ti piace? Ed io senza parole, consapevole di aver ricevuto il regalo più bello della mia vita sino ad allora, alzai la testa verso la finestra e vidi mio padre e mia madre affacciati che mi guardavano dall'alto sorridendo, e risposi: E' stupenda, è proprio quella che desideravo, ma ero convinto che non l'avrei mai potuta possedere.
In quel momento mi resi conto di essere un ragazzino fortunato, molto fortunato, anche se il premio era stato solo merito di Franco che scoprii in seguito, aveva insistito con mio padre per regalarmi la sua moto, dal momento che non l'avrebbe mai più guidata.
Mi iscrissi alla federazione motociclistica italiana e l'anno seguente vinsi il campionato regionale nella classe cadetti con la licenza junior e la voglia di vivere nel cuore e fare sempre meglio.
Da allora non ho mai smesso di guidare, cambiare e possedere moto.
Oggi mio padre ultra settantenne, quando gli parlo di una nuova moto o di un nuovo modello, mi chiede sempre le caratteristiche tecniche, da buon perito meccanico;  e mia madre, dal canto suo, ogni volta... ripete sempre le stesse parole: quando la smetterai con queste moto, sarà sempre troppo tardi, i tuoi soldi li hai spesi tutti con questi benedetti giocattoli.
Di Franco, non ho saputo più nulla da oltre vent'anni, e cioè da quando mio padre andò in pensione.
Le ultime notizie, più che altro,  voci di amici degli amici, risalgono ad alcuni anni fa, quando si racconta che Franco lasciò il posto di ingegnere meccanico nell'azienda americana dove era un progettista e con la liquidazione sanò parte dei debiti contratti dalla ex moglie e con l'altra metà comprò un moto guzzi california 1000 e partì alla volta di Kathmandu nel Nepal per cercare se stesso e l'essenza della vita su questa terra.
Chissà, se l'occhio di shiva avrà vegliato sulla sua anima e chissà se Franco, nel corso del suo "Viaggio" avrà trovato ciò che cercava.
Spero vivamente che abbia raggiunto la meta.

Indy


Kathmandu l'eterna ricerca dell'uomo


 
 
 
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"La vernice che scottava e toccarla era un piacere.
Il motore incerto e pigro nei primi chilometri.
Ne è passato di tempo e di strada.
Ne abbiamo visto di mondo.
Ne abbiamo avuto di freddo.
E abbiamo riso.
E una volta ti ho spinta per sei chilometri.
E però ci siamo divertiti.
E le rughe non le sento più.
E quel fumo leggero che vien fuori dagli scarichi è senz'altro allegria.
Non può essere olio.
Ma poi ti guardo nel tappo e capisco che hai sete.
Ho sete anch'io e siamo in un bar.
Io dentro che bevo e tu fuori che stai lì.
C'è una ragazza bionda che mi parla.
Io intanto bevo."
Carlo Talamo

 

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POESIA DI CARLO TALAMO.


Non vivo per te.

Vivo con te.

Da tanto tempo,sono abituato ai tuoi difetti e ai tuoi capricci.

Da cent'anni sopporto gli scherzi e la malattie immaginarie che tanto inquietano chi

non ti conosce.

Sto qui.

Sto con te.

Me ne vado a spasso con te.

Traffico con tutti quei pezzi che hai.

E mi diverto.

E vibro.

E vivo.

 

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E assaporo il vento

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Ma quando mi perdo nei miei pensieri

Lungo questo asfalto

Non c’è nessuno che

Mi può fermare!

 

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Niente è più brutto di una parola d'amore pronunciata freddamente da una bocca annoiata.

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