Creato da fading_of_the_day il 17/11/2010

Fading of the day

....as night takes over

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Messaggi del 10/06/2015

Snapshots Of Life (pt. I)

Post n°214 pubblicato il 10 Giugno 2015 da fading_of_the_day
 


Nelle orecchie il suono di un quarantacinque giri, la testina che scivolava giù ed il brusio delle piste percorse dal diamante. Un motivetto scanzonato anni '30 che faceva la linguaccia al proibizionismo.

Negli occhi il porto, che di sera sembrava lo strascico di un vestito da sposa su cui si era adagiato uno sciame di lucciole estive. Una lingua di punti luminosi distesa sul riverbero dell'acqua, ora increspata, ora immobile a seconda della volubilità del vento.

Spaziò da parte a parte, viaggiando con i sensi aldilà dei confini naturali imposti dalla bocca scura della baia. Guardò giusto sotto la balaustra a cui era appoggiato ed il nero gli inghiottì la testa. Il senso di vuoto scese fin nello stomaco e lo costrinse a fare mezzo passo indietro, mantenendo sempre le mani ben ferme sul parapetto del belvedere.

Fu allora che girò lo sguardo verso le sue spalle. Il borbottio lontano del traffico ed il ronzio delle luci della città lo riportarono alla realtà, gli offrirono un comodo giaciglio su cui rinfrancarsi da tutto quel nero che aveva sotto di sè. Penso a lei  e mentalmente ringraziò il destino, o il fato o quel dio tanto lontano dalle sue convinzioni. Aveva avuto tutto ciò che ogni uomo avrebbe mai potuto desiderare. Ma a che prezzo?

Alto, troppo alto. Uno di quei prezzi a sei zeri che uscivano dal centro del petto uno dopo l'altro, in fila indiana, senza tenersi per mano. E che non tornavano più.

Aveva provato ad affacciarsi ad un mondo cosi distante da lui  come l'uomo bianco che appoggia l'orecchio ai binari del treno. Lo aveva fatto una e cento volte, alcune con leggerezza, altre con fatica. Ma ora si sentiva stanco ed invecchiato. Attorno a sè osservava ragazzi che si baciavano gli occhi incuranti degli sguardi altrui, promettendosi cose che avrebbero dimenticato la mattina successiva.
Se la vita era davvero effimera, voleva anche lui un po' di leggerezza.

Ma la vita non era davvero così. Era, piuttosto, un ciclo di azioni e di reazioni, di tira e molla, di scosse di assestamento e tempeste. Sapeva che non era l'unico e non era il solo ad aver provato quelle sensazioni, ad aver vissuto quella e le altre mille vite che gli si erano parate di fronte durante il cammino.

Tentò di scacciare i brutti ricordi scuotendo la testa come un gigante che si dimenava per far cadere piccoli ed odiosi  folletti. Soffiò via i richiami dell'ultimo periodo, i continui litigi, le alzate di voce, le dita puntate, le spalle voltate.

Vibrò il cellulare nella sua tasca e sperò non fosse lei. Temeva il contenuto di quel messaggio che ci mise più del dovuto per aprirsi, regalandogli un brivido inaspettato.


-Dai che ce la facciamo...


Un flash bianco davanti agli occhi.
Fotogrammi in sequenza, prima opachi e rallentati, poi nitidi e veloci.
Innescarono un moto inverso delle lacrime, che dagli occhi scendevano giù, verso una massa informe di argilla che pompava sangue scuro come un cuore malato.

Quella frase l'aveva sentita e detta tante volte. All'inizio spavalda e convinta, poi sempre più consunta e flebile. A volte aveva la sua voce calma ed impostata, altre quella di lei, colorata e sottile come una corda d'arpa.  Ora che la leggeva, gli risuonava nelle orecchie come una disperata preghiera. Una poesia recitata a memoria che ad ogni declamazione sembrava perdere consistenza.

Si ricordava l'ultima volta che lei gliel'aveva sussurrata. Fronte su fronte, labbra su labbra, con quegli'occhi azzurri, dolcissimi, piantati nei suoi.

Distolse lo sguardo dallo schermo e si accorse che quell'immagine faceva male. Contrasse il volto e lo stomaco per parare il colpo. Un colpo che tornava, ciclicamente, sotto diverse forme e nei momenti in cui meno se lo aspettava.

Il dolore era sempre lì: c'erano giorni in cui riusciva a spingerlo ai confini della galassia, altri in cui lo sfiorava con la punta delle dita solo per il gusto di tormentarsi un po'. E così lui tornava come una lama d'argento scoccata da una balestra di legno. Tornava e si conficcava sempre lì, nello stesso posto.

Ripose il cellulare nella tasca e rialzò la testa verso la baia illuminata.

Nelle orecchie di nuovo una melodia. Un quarantacinque giri
al sapore d'infanzia, con i suoi fruscii e le sue imperfezioni. Sul piatto, stavolta, girava una cavalcata di archi e fiati.

Solenne, rigorosa.
Malinconica.

 
 
 

LOVING ELISA BROWN 2/2

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