PROFESSIONE DI FEDE

CREDO

Credo in un solo Dio, Padre onnipotente,
creatore del cielo e della terra,
di tutte le cose visibili e invisibili.
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio,
nato dal Padre prima di tutti i secoli:
Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero,
generato, non creato, della stessa sostanza del Padre;
per mezzo di lui tutte le cose sono state create.
Per noi uomini e per la nostra salvezza
discese dal cielo,
e per opera dello Spirito Santo
si è incarnato nel seno della Vergine Maria
e si è fatto uomo.
Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato,
morì e fu sepolto.
Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture,
è salito al cielo, siede alla destra del Padre.
E di nuovo verrà, nella gloria,
per giudicare i vivi e i morti,
e il suo regno non avrà fine.
Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita,
e procede dal Padre e dal Figlio.
Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato,
e ha parlato per mezzo dei profeti.
Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica.
Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti
e la vita del mondo che verrà. Amen.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Quando l'ambiente
ti è ostile,
le persone ti usano,
i tuoi affetti
sono distanti,
le cose non vanno,
la salute
ti abbandona.
Ricordati che sei
nelle mani di
"Dio"

 

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Creato da: IOSONOLAVITA1 il 28/05/2013
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« HA FATTO BENE OGNI COSA:...SAN PIO DA PIETRELCINA ... »

SE UNO VUOL ESSERE IL PRIMO, SIA L’ULTIMO DI TUTTI E IL SERVO DI TUTTI

Post n°193 pubblicato il 20 Settembre 2015 da IOSONOLAVITA1

DOMENICA 20 SETTEMBRE 2015
Dal Vangelo secondo Marco 9,30-37

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà». Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni. Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo lungo la via?». Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato»

Corrispondenza nell’”Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

Volume 5 Capitolo 355 pagina 405

 

Gesù è tutto solo sulla terrazza della casa di Tommaso di Cafarnao. Il paese ozia nel sabato, già molto ridotto nei suoi abitanti, perché i più zelanti nelle pratiche di fede sono già partiti per Gerusalemme, e così pure quelli che vi si recano con le famiglie ed hanno bambini che non possono fare marce lun­ghe ed obbligano gli adulti a soste e a brevi tragitti. Così man­ca, nella giornata già di suo un po’ nuvolosa, la nota d’oro dell’infanzia giuliva.

Gesù è molto pensieroso. Seduto su una panchetta bassa, in un angolo, presso il parapetto, le spalle alla scala, quasi nasco­sto da questo parapetto, tiene un gomito sul ginocchio e appog­gia la fronte sulla mano con mossa stanca, quasi di sofferenza.

È interrotto nel suo meditare dalla venuta di un fanciullino che vuole salutarlo prima di partire per Gerusalemme.

«Gesù! Gesù!» chiama ad ogni scalino, non vedendo Gesù perché il muretto lo nasconde alla vista di chi è in basso.

E Gesù è così con­centrato che non sente la vocetta leggera e il passo da colombi­no... di modo che, quando il piccolo arriva sulla terrazza, Egli è ancora in quella posizione di sofferenza. E il bambino ne resta intimorito. Si ferma sul limitare della terrazza, si mette un di­tino fra le labbra e pensa... poi decide e lentamente viene avan­ti... ormai è quasi alle spalle di Gesù... si china per vedere ciò che fa... e dice:

«No, bello! Non piangere! Perché? Per quei brut­ti omacci di ieri? Lo diceva il padre mio con Giairo che sono in­degni di Te. Ma Tu non devi piangere. Io ti voglio bene. E te ne vuole la mia sorellina e Giacomo e Tobiolo, e Giovanna e Maria e Michea e tutti, tutti i bambini di Cafarnao. Non piangere più...», e gli si stringe al collo, carezzoso, finendo: «Altrimenti piangerò anche io, e piangerò sempre... per tutto il viaggio...».

«No, David, non piango più. Tu mi hai consolato. Sei solo? Quando partite?».

«Dopo il tramonto. Colla barca fino a Tiberiade. Vieni con noi. Il padre mio ti vuole bene, sai?».

«Lo so, caro. Ma devo andare da altri bambini... Io ti ringra­zio di essere venuto a salutarmi e ti benedico, piccolo Davide. Diamoci il bacio di addio e poi torna dalla mamma. Lo sa che sei qui?...».

«No. Sono scappato via perché non ti ho visto coi tuoi disce­poli e ho pensato che piangevi».

«Non piango più. Lo vedi. Va’, va’ dalla mamma che forse ti cerca con spavento. Addio. Sta attento agli asini delle carova­ne. Vedi? Ce ne sono fermi da ogni parte».

«Ma non piangi proprio più?».

«No. Non ho più dolore. Tu me lo hai levato. Grazie, bambi­no».

Il bambino scende saltellando la scaletta e Gesù lo osserva. Poi crolla il capo e torna al suo posto nella penosa meditazione di prima.

Passa del tempo. Il sole, nelle schiarite di nuvole, si mostra nella sua discesa. Un passo più pesante sulla scala. Gesù alza il viso. Vede Giairo che sta dirigendosi da Lui. Lo saluta. Ne è salutato con rispetto.

«Come mai qui, Giairo?».

«Signore! Io forse ho sbagliato. Ma Tu che vedi il cuore degli uomini vedrai che nel mio errore non era malanimo. Io non ti ho invitato alla sinagoga per parlare, oggi. Ma ho tanto sofferto per Te, ieri, e tanto ti ho visto soffrire che... non ho osato. Ho interrogato i tuoi. Mi hanno detto: “Vuole stare solo”... Ma poco fa è venuto Filippo, padre di Davide, dicendomi che il suo bam­bino ti ha visto piangere.

Ha detto che Tu lo hai ringraziato di essere venuto da Te. Sono venuto io pure. Maestro, chi ancora è a Cafarnao sta per adunarsi alla sinagoga. E la sinagoga mia è tua, Signore».

«Grazie, Giairo. Oggi parleranno altri in essa. Io verrò come semplice fedele...».

«Né vi saresti tenuto. Tua sinagoga è il mondo. Non vieni proprio, Maestro?».

«No, Giairo. Sto qui col mio Spirito davanti al Padre che mi capisce e che non trova colpe in Me».

 

Gesù ha un brillio di la­crime nell’occhio mesto.

«Io pure non trovo colpe in Te... Addio, Signore».

«Addio, Giairo».

E Gesù si siede di nuovo, sempre medita­bondo.

Leggera come una colomba sale, nella sua veste bianca, la figlia di Giairo. Guarda... Chiama piano: «Salvatore mio!».

Gesù volge il capo, la vede, le sorride, le dice: «Vieni a Me».

«Sì, mio Signore. Ma io vorrei portarti agli altri. Perché deve essere muta la sinagoga, oggi?».

«Vi è tuo padre e tanti altri per empirla di parole».

«Ma sono parole... La tua è la Parola. Oh! mio Signore! Con la tua parola mi hai restituito alla mamma e al padre mio, ed ero morta. Ma guarda quelli che ora vanno verso la sinagoga! Molti sono più morti di me allora. Vieni a dare loro la Vita».

«Figlia, tu la meritavi; essi... Nessuna parola può dare vita ad uno che per sé elegge la morte»

Sì, mio Signore. Ma vieni lo stesso. C’è anche chi vive sem­pre più, sentendoti... Vieni. Metti la tua mano nella mia e an­diamo. Io sono la testimonianza del tuo potere, e sono pronta a testimoniarlo anche davanti ai tuoi nemici, anche a prezzo che mi venga levata questa seconda vita, che d’altronde non è più mia. Tu me l’hai data, Maestro buono, per pietà di una madre e di un padre. Ma io...».

La fanciulla, una bella fanciulla già don­nina, dai dolci occhioni splendenti nel viso puro e intelligente, si arresta per un’onda di pianto che la strozza, gocciando dalle lunghe ciglia sulle guance.

«Perché piangi, ora?» chiede Gesù ponendole la mano sui capelli.

«Perché... mi è stato detto che Tu dici che morrai...».

«Tutti si muore, fanciulla».

«Ma non così come Tu dici! Io... oh! ora io non avrei voluto essere tornata viva, per non vedere ciò, per non esserci quan­do... questo orrore sarà...».

«Allora non ci saresti neppure stata per darmi la consola­zione che mi dai ora. Non sai che la parola, anche una sola, di un puro e di uno che mi ama, leva ogni pena da Me?».

«Sì? Oh! allora Tu non ne devi più avere perché io ti amo più del padre, della madre e della mia vita!».

«Così è».

«Allora vieni. Non stare solo. Parla per me, per Giairo, per la mamma, per il piccolo Davide, per quelli che ti amano, in­somma. Siamo tanti e saremo più ancora. Ma non stare solo. Viene malinconia» e, materna d’istinto come ogni donna one­sta, termina dicendo: «Con me vicino nessuno ti farà male. Ed io, del resto, ti difenderò».

Gesù si alza e l’accontenta. La mano nella mano, traversano le vie ed entrano nella sinagoga da una porta laterale.

Giairo, che sta leggendo ad alta voce un rotolo, sospende la lettura e dice, inchinandosi profondamente:

«Maestro, te ne prego, per i retti di cuore parla. Preparaci alla Pasqua con la tua santa parola».

«Stai leggendo dei Re, non è vero?».

«Sì, Maestro. Cercavo di fare riflettere che chi si separa dal Dio vero cade in idolatria di vitelli d’oro».

«Bene hai detto. Nessuno ha da dire nulla?».

Si alza un brusio fra la folla. Chi vuole che parli Gesù e chi urla:

«Abbiamo fretta. Si dicano le preghiere e si cessi l’adu­nanza. Andiamo a Gerusalemme, d’altronde, e là udremo i rabbi», e chi urla così sono i molti disertori di ieri, che il sabato ha trattenuto a Cafarnao.

Gesù li guarda con somma mestizia e dice:

«Avete fretta. È vero. Anche Dio ha fretta di giudicarvi. Andate pure».

Poi, vol­gendosi a quelli che li rimproverano, dice:

«Non li sgridate. Ogni pianta dà il suo frutto».

«Signore! Ripeti il gesto di Nehemia! Parla contro di loro, Tu, Sacerdote supremo!» grida sdegnato Giairo, e gli fanno co­ro gli apostoli, i discepoli fedeli e quelli di Cafarnao. Gesù apre le braccia a croce e, pallidissimo, un vero viso straziato eppure dolcissimo, grida:

«Ricordati di Me, o mio Dio! E in bene! E ricordati pure in bene di loro! Io li perdono!».

La sinagoga si svuota, rimanendo i fedeli a Gesù... E vi è uno straniero in un angolo. Un uomo robusto che nes­suno osserva, al quale nessuno parla. Del resto egli pure non parla con nessuno. Guarda solo fissamente Gesù, tanto che il Maestro volge il suo sguardo in quella direzione, lo vede e chie­de a Giairo chi sia.

«Non so. Uno di passaggio certo».

Gesù lo interpella: «Chi sei?».

«Nicolai, proselite di Antiochia, diretto a Gerusalemme per la Pasqua».

«Chi cerchi?».

«Te, Signore Gesù di Nazaret. Ho desiderio di parlarti».

«Vieni».

E avutolo vicino esce con lui nell’orto dietro la sina­goga per ascoltarlo. «Ho parlato ad Antiochia con un tuo discepolo di nome Feli­ce. Ho ardentemente desiderato di conoscerti. Mi ha detto che luogo di sosta tua è Cafarnao, e hai la Madre a Nazaret. E an­che che vai al Getsemani o a Betania. L’Eterno fa che io ti trovi al primo luogo. C’ero ieri... E ti ero presso stamane mentre Tu piangevi pregando, presso la fonte...

Ti amo, Signore. Perché sei santo e mite. Credo in Te. Le tue azioni, le tue parole mi avevano già fatto tuo. Ma la tua misericordia di poco fa, per i colpevoli, mi ha deciso. Signore, accoglimi al posto di chi ti ab­bandona! Vengo a Te con tutto quanto ho: la vita e i beni, tutto».

Si è inginocchiato dicendo le ultime parole. Gesù lo guarda fissamente... poi dice:

«Vieni. Da oggi sarai del Maestro. Andiamo dai tuoi compagni».

Tornano nella sinagoga, dove è un grande parlare dei disce­poli e degli apostoli con Giairo.

«Ecco un nuovo discepolo. Il Padre mi consola. Amatelo co­me un fratello. Andiamo con lui a dividere il pane e il sale. Poi nella notte voi partirete con lui per Gerusalemme e noi con le barche andremo a Ippo... E non dite la mia strada a nessuno, onde Io non sia trattenuto».

Ma intanto il sabato è finito, e quelli che vogliono fuggire Gesù sono sulla spiaggia, per contrattare i traghetti per Tiberiade. E litigano con Zebedeo che non vuole cedere la sua barca, già pronta, vicina a quella di Pietro, per la partenza nel­la notte di Gesù con i dodici.

«Io vado ad aiutarlo!» dice Pietro che è irritato. Gesù, ad evitare urti troppo forti, lo trattiene dicendo:

«An­diamo tutti, non tu solo».

E vanno... E gustano l’amarezza di vedere che i fuggenti se ne vanno senza un saluto, tagliando netto ogni discussione pur di allontanarsi da Gesù... e sentono anche qualche insulto spre­gevole e consigli acri ai fedeli discepoli... Gesù si volge per tornare a casa dopo che la turba ostile se ne è andata, e dice al nuovo discepolo:

«Li senti? Questo è ciò che ti attende venendo a Me».

«Lo so. Per questo resto. Ti avevo visto in un giorno glorioso fra folla che ti acclamava salutandoti “re”. Ho scosso le spalle dicendo: “Un altro povero illuso! Un’altra piaga per Israele!”, e non ti ho seguito perché parevi un re, e neppure a Te pensavo più. Ora ti seguo perché nelle tue parole e nella tua bontà vedo il promesso Messia».

«In verità tu sei più giusto di molti altri. Però ancora una volta lo dico.

Chi spera in Me un re terreno si ritiri.

Chi sente che si vergognerà di Me nel cospetto del mondo accusatore si ri­tiri.

Chi si scandalizzerà di vedermi trattato da malfattore si ri­tiri.

Ve lo dico mentre ancora potete farlo senza essere compro­messi agli occhi del mondo. Imitate coloro che fuggono su quelle barche, se non vi sentite di condividere la mia sorte nell’obbro­brio per poterla condividere poi nella gloria. Perché questo sta per avvenire: il Figlio dell’Uomo sta per essere accusato e messo poi nelle mani degli uomini, i quali Lo uccideranno come un malfattore e crederanno di averlo vinto. Ma inutilmente avranno fatto il loro delitto. Perché Io risorgerò dopo tre giorni e trion­ferò. Beati quelli che sapranno essere con me fino alla fine!».

Sono giunti alla casa e Gesù affida ai discepoli il nuovo venuto, salendo da solo dove era prima. Anzi entra nella stanza superiore e si siede, pensando. Salgono dopo un poco l’Iscariota con Pietro.

«Maestro, Giuda mi ha fatto riflettere a delle cose giuste».

«Dille».

«Tu prendi questo Nicolai, un proselite, e del quale ignoria­mo il passato. Già tante noie abbiamo avuto... e abbiamo. E ora? Che sappiamo di lui? Possiamo fidarci? Giuda giustamen­te dice che potrebbe essere una spia mandata dai nemici».

«Ma sì! Un traditore! Perché non vuole dire da dove viene e chi lo manda? Io l’ho interrogato, ma dice solo: “Sono Nicolai di Antiochia, proselite”. Io ho fieri sospetti».

«Ti ricordo che egli viene perché mi vede tradito».

«Può essere menzogna! Può essere un tradimento!».

«Chi dovunque vede menzogna o vede tradimento è anima capace di tali cose, perché si misura sul proprio modello» dice serio Gesù.

«Signore, Tu mi offendi!» grida Giuda sdegnato.

«Lasciami, dunque, e vai con chi mi abbandona».

Giuda esce sbatacchiando la porta con mal modo.

 
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PADRE,
DAMMI IL DONO PIÙ BELLO

Padre, dammi il dono più bello, più grande, più prezioso che possiedi: Gesù.
Quando sono ammalato,
dammi Gesù, perché egli è la Salute.
Quando mi sento triste,
dammi Gesù, perché egli è la Gioia.
Quando mi sento debole,
dammi Gesù, perché egli è la Forza.
Quando mi sento solo,
dammi Gesù, perché egli è l’Amico.
Quando mi sento legato,
dammi Gesù, perché egli è la Libertà.
Quando mi sento scoraggiato,
dammi Gesù, perché egli è la Vittoria.
Quando mi sento nelle tenebre,
dammi Gesù, perché egli è la Luce.
Quando mi sento peccatore,
dammi Gesù, perché egli è il Salvatore.
Quando ho bisogno d’amore,
dammi Gesù, perché egli è l’Amore. 
Quando ho bisogno di pane,
dammi Gesù, perché egli è il Pane di vita.
Quando ho bisogno di denaro,
dammi Gesù, perché egli è la Ricchezza infinita. 
Padre, a qualsiasi mia richiesta, per qualsiasi mio bisogno, rispondi con una sola parola, la tua parola eterna : Gesù!

Don Serafino Falvo

 

 


 

Io sono mite
e umile di cuore.

Dal Vangelo secondo Matteo (11,28-30)

In quel tempo, Gesù disse: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mit
e e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero». Parola del Signore

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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