Creato da pirata_dei_settemari il 11/02/2007

Isla de tortuga

il mio spazio per tutti

 

 

Le MIE chiavi

Post n°22 pubblicato il 19 Marzo 2007 da pirata_dei_settemari
 

 

immagineIeri mi sono accorto di avere perso le chiavi: le ho cercate ovunque, sulla mensola nel corridoio di ingresso, nelle tasche dei miei pantaloni, nei cassetti del mio comodino. Niente.        Non le ho trovate.            Poi, colto da profondo sconforto ho pensato al momento in cui le ho perse: forse le ho smarrite proprio ieri, o forse giorni fa. Ho riflettuto e ho pensato che, oltre a non ritrovarle più, la cosa che mi angosciava terribilmente era non essermi accorto del momento in cui le avevo perse.

                  Sono riuscito a vivere non accorgendomi di non avere più il mio mazzo di chiavi...: ho aperto migliaia di volte le porte con quelle chiavi, preparandomi, ogni volta che le usavo, ad attraversare situazioni differenti, entrando ed affrontando la gioia di un abbraccio, la rabbia di una litigata,la felicità di ricongiungersi, la noia della routine. E, in un momento imprecisato, senza attenzione ho perso il mio bene più prezioso. Senza quelle chiavi non posso fare più nulla di tutto questo. Certo, voglio ritrovarle: poi penso che, smarrite, forse qualcuno  le ha ritrovate e, ora, ha la possibilità di entrare in quelle porte che solo le mie mani, finora, hanno aperto.

 
 
 

Rimetti tutto al suo posto!

Post n°21 pubblicato il 18 Marzo 2007 da pirata_dei_settemari
 

immagineRimetti tutto al suo posto, per favore! Aiutami perché faccio fatica e capire quali debbano essere i punti fermi di questa vita così frenetica e folle: io continuo a confondermi perché le cose non sono come dovrebbero essere. Non era meglio quando la tivù non era un contenitore per la raccolta differenziata della spazzatura, quando invece i programmi avevano un senso ed il cervello veniva stimolato a pensare? Addirittura c’era chi insegnava l’italiano in tivù e per vedere un documentario per ragazzi non serviva pagare. Non era meglio quando non esistevano veline e letterine, con pance piatte e ombelichi al vento, curve finte labbra e visi di plastica e tanti sorrisi stirati. Non stavamo meglio quando non dovevamo preoccuparci della salute mentale di perfetti signori nessuno, chiusi in una casa e spiati perchè schizofrenici? O l’unica signora bella rotonda che appariva in televisione era Ave Ninchi e non un antipatico e maleducato provocatore con rossetto, anelli e parruccone biondo?

Aiutami a capire poi perché il cibo è diventato un mezzo per autopunirsi o, per molti altri,  un problema da risolvere con mille diete. immagineQuello che ricordo del cibo era il pranzo della domenica, quando le nostre mamme avevano l’opportunità di non farsi più dimenticare nei secoli a venire, preparando piatti speciali e unici.

E poi non capisco più se la droga è un pericolo o, visto che di siringhe se ne vedono poche sui marciapiedi e ancor meno infilate come frecce nei tronchi degli alberi, è diventata un piccolo problemino, tondo e colorato come una pastiglietta o dritto e fine una semplice riga, che si potrebbe risolvere con qualche controllo in più al di fuori delle scuole.  Eppure io mi ricordo chi era Muccioli  e mi ricordo anche di tante mamme che testimoniavano in tivù che hascisc e cocaina erano, molto spesso, l’anticamera di qualcosa di più pesante e pericoloso: donne che parlavano dei loro figli con l’ansia di averli quasi persi per sempre, ma che avevano provato a combattere per loro. immagine

Capisci che oggi nulla fa più rumore, perché tutto è ammesso e giustificato: ti rendi conto che stiamo subendo scelte che non possono essere condivise, nemmeno in nome della democrazia dei consensi. Prova infatti a dirmi che quello che vedi tutti i giorni è normale, ammissibile e giusto? Attento però a non fraintendermi…: dico solo che stiamo percorrendo una strada dissestata e buia, dove rischiamo di perderci in poco tempo o di farci male, percè ci restano pochissimi punti di riferimento. Ma ai bordi della strada, per fortuna, non mancano i cartelloni pubblicitari con le super interessanti offerte della nostra compagnia telefonica. 

Io voglio un mondo diverso per me e per le persone che amo, Giovanna Francesca e Giorgia.

 
 
 

JAP KARA HAKIRI

Post n°20 pubblicato il 14 Marzo 2007 da pirata_dei_settemari

(ANSA) - TOKYO, 14 MAR - I meteorologi giapponesi sono stati ingannati da un impazzimento stagionale e hanno fallito la data piu' attesa dell'anno.
E' quella prevista per la fioritura dei ciliegi . La rettifica e' stata fatta con imbarazzo da un portavoce dell'Ente meteorologico nazionale, che in oltre 130 anni di esistenza non aveva mai sbagliato. I fiori sbocceranno il 21 marzo e non il 18 come erroneamente pronosticato il 7 marzo in quello che per molti e' il piu' importante preannuncio dell'anno.

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ANCORA RSS J.COOK!

Post n°19 pubblicato il 13 Marzo 2007 da pirata_dei_settemari

Mentre siamo qui, nei nostri mondi virtuali (e anche un po' finti) la RSS James COOK continua la sua missione: ieri la nave è arrivata sulla zona di trivellazione e, dopo qualche problema, ha iniziato a trivellare... io sono curioso e vado a sbirciare sul sito

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LE MANI DI MOZART

Post n°18 pubblicato il 12 Marzo 2007 da pirata_dei_settemari

immagineAvevo sei anni quando cominciai a prendere lezioni di piano: mio padre ci teneva moltissimo. Lui quando era giovane suonava la fisarmonica: io però non l’ho mai sentito suonare. Si sa come va con i genitori frustrati: non hanno raggiunto un risultato e provano con i figli. La musica non mi piaceva. Sì, insomma, mi piaceva fare qualcosa che gli altri bambini non sapessero fare. Tutto qui.

La musica era costrizione: quelle cinque righe, note bianche o nere e mai diverse. Hai mai visto un do rosso? O una semibiscroma azzurra?

E come si fa a non sentirsi dei rincoglioniti, che scacciano mosche fastidiose se solfeggi? IL solfeggio: incredibile pensare come la mente umana possa partorire simili idiozie. Ascolta la musicalità della parola solfeggio: solfeggio, solfeggio sol-feg-gio. Non ha musicalità: è una parola brutta, cacofonica. Cosa c’entra con la musica poi non l’ho mai capito.

Andare a lezioni di pianoforte era un supplizio che mi toccava due volte alla settimana. Martedì e venerdì pomeriggio: non importava a nessuno che ci fosse il sole o che tutti i bambini del cortile fossero giù a fare casino. IO dovevo andare a lezione. Facevo quattro piani a piedi perché l’ascensore non lo potevo prendere.Ero così stupido che pensavo a quando sarei diventato grande, di lì a sei anni e sarei salito al quarto piano in ascensore, come tutte le persone normali che non fanno le scale se c’è la comodità. Altri sei anni di lezione dalla signora Laffranchi: ogni volta era come andare al patibolo per me. Ancora per sei anni. Nemmeno morto, piuttosto non proverò mai la sensazione di libertà a prendere l’ascensore da solo per salire al quarto piano.

Lei era triestina, con un inconfondibile accento del nord est, con una voce un po’ stridula, gli occhiali sempre sulla punta del naso, le mani affusolate, dita lunghe da pianista e piedi lunghi da giocatore di pallacanestro. Cantava nel coro della RAI, una del coro,  sicuramente un’altra frustrata, che non poteva mai fare assoli: ma le sue dita volavano tra le ottave. Quando suonava non la consideravo più come persona: sentivo solo i martelletti che picchiavano con il feltro sulle corde. Erano  velocissimi e l’armonia del suono era spettacolare. Non ricordo la marca del suo strumento, ma ricordo che al semplice tocco del tasto la corda vibrava, segno che il feltro era nuovo e non usurato, a differenza del nostro Holiferarten, gran pezzo da museo. Appena smetteva di suonare e ascoltava me che ripetevo gli esercizi studiati, tornava ad essere quella che conoscevo. Poco simpatica, incline a criticare costantemente la lunghezza delle mie unghie che, a suo dire, impedivano alle mia dita di sfiorare in maniera corretta e pulita i tasti. Chissà come erano le mani di Mozart: e chissà se prendeva lezioni da una mancata maestrina frustrata e pedante.

La musica è altro.

Cazzo è vita, è il sangue del mondo che scorre. E’ come mi sento ora quando suono con il mio gruppo, in sala di registrazione o nel box di Davide. La mia chitarra elettrica è un arto di legno e metallo, una protesi estesa del mio corpo: mi fa vivere e mi fa sentire Dio. Volo sopra le vite di merda che vivete, a cavallo del mio suono, come i cavalieri della tempesta dei Doors. Chi se ne fotte se quando torno a casa mia madre comincia a rompere perché il libro di storia è ancora vergine? Chi se ne fotte se i miei capelli sono troppo lunghi per non passare inosservato agli insegnanti del liceo? Io vivo.

Silvia viene a sentirci ogni tanto: ieri mi ha regalato un cappello a forma di cilindro, non so dove lo abbia trovato. L’ho messo per suonare, come Slash dei Guns. Lei è dolce, si siede per terra, scarpe di camoscio e palestinese: sa di sigarette, sempre. Mi piace baciarla: mi piace stare con lei perché non mi chieda mai nulla, né come sto né cosa ho fatto. Vive il presente perché dice che il futuro non esiste e che il passato è già vecchio. Una poetessa: un giorno ho tradotto in inglese queste parole ed ho composto alcuni accordi. Glieli farò sentire. Li regalerò a lei perché sono suoi.

Mi sento molto importante quando viene a sentirci: segue il ritmo della batteria con le dita  a mimare bacchette, piatti, o rullante quando Angelo pesta, o muove le dita a schiacciare chissà quali corde quando Davide imita Adam Clayton degli U2 in Gloria. Certo canta a squarciagola con Massimo In the name of love. Ma se io parto con l’assolo di Another brick in the wall, chiude gli occhi e comincia il nostro volo: ci prendiamo per mano e in pochissimo siamo sulle cime delle Alpi, sorvoliamo Parigi con i suoi mille colori, il canale della Manica e in pochi secondi siamo a Londra, hide Park, Wenstminster, la torre dell’orologio, l’inglese, la Union Jack, i punk. E’ il nostro volo e nessuno è capace a volare come noi due.

L’assolo lo so a memoria, l’ho imparato provando e riprovando, conosco quella canzone a memoria: certo, la Laffranchi, comunque, mi ha insegnato a leggere la musica ma, suonandolo, capisco perché tutti i chitarristi chiudono gli occhi e lasciano muovere le dita sulle corde. Le note sono lì, devi solo prenderle, nell’ordine preciso in cui sono state pensate. E chiudo gli occhi per afferrarle con le mie mani.

Quando li riapro Silvia è lì, con gli occhi che si aprono con i miei.

...scritto pensando un po' a me, e ai miei anni 80!

 
 
 

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