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tutta la vita che può entrare in un carrello della spesa

Creato da ihatesupermarket il 05/02/2010

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C'era una volta...

Post n°34 pubblicato il 26 Novembre 2012 da ihatesupermarket

Le giornate si accorciano, il tempo è grigio, perciò perchè non ascoltare un racconto, come nelle migliori tradizioni dei nostri nonni?

Questo parla di una strana creatura: il lavoro.

Un tempo si diceva che la sua presenza nobilitasse gli umani e così, molti, dopo qualche ricerca, festeggiavano con amici e parenti perchè erano riusciti a trovarlo.

Il primo impiego offriva spesso degli incarichi semplici ed una paga piuttosto bassa, ma sovente portava con sè la promessa di un futuro in cui crescere e migliorare. Nel frattempo ci si sentiva fieri per essere stati scelti, umili perchè si sapeva che c'erano ancora tante cose da imparare e (perchè no?) attenti perchè l'inesperienza avrebbe potuto far commettere degli errori.

Ci si addormentava stanchi ma felici, perchè ci cullava il sogno di un domani migliore; un domani in cui si era  fautori del proprio destino.

Pazienza se per il momento si dovevano lavare le vetrine, o spazzare a terra, l' impegno e la serietà sarebbero diventati ciò che il sole fa con i frutti: l'entusiasmo sarebbe maturato in dedizione, l'esperienza divenuta competenza.

Ognuno imparava a destreggiarsi nel suo piccolo mondo, ad amare il suo lavoro, e anche a crescere assieme a lui.

Venne poi un giorno un mercante affascinante e tutti ne rimasero ammaliati.

Attirava le persone come fossero falene, le accoglieva con porte scorrevoli che si aprivano sempre, a qualsiasi ora, e le incantava con risparmi vantaggiosi. Dicevano si chiamasse GDO e che fosse la manna perchè offriva sempre la soluzione giusta per tutti: che fosse per tutti la stessa non era cosa che si potesse ovviamente palesare, quindi la si agghindava con luci e cartelli affinchè nessuno lo potesse scoprire.

Purtroppo, come tutte le storie che si rispettino, il mago GDO aveva i suoi subdoli trucchi, ma la gente non lo sapeva, e si metteve in coda per lungo tempo pur di andarlo a consultare. Anche se poi non capiva perchè, dopo aver fatto con lui grandi affari, tornava a casa molto nervosa. Le signore non erano mai abbastanza magre per essere all'altezza dei suoi vestiti, la tecnologia per la quale ci si era indebitati diventava obsoleta molto prima di aver finito di saldare il proprio debito, e nonostante il frigo fosse stato riempito pochi giorni prima, il cibo sembrava durare sempre troppo poco. Si doveva assolutamente tornare dal mercante: subito! Perciò GDO, quando si accorse che ormai nei pensieri della gente era divenuto indispensabile, decise che era giunto il momento di stupire tutti con l'ennesima magia: stabilì che tutti dovevano poter essere liberi di aver bisogno di lui sempre. E che lui, magnanimo, avrebbe accolto quei "tutti" in qualsiasi momento.

Il mercante, dal canto suo, dietro le tende del suo bel circo, intanto si nutriva dei pensieri della gente. Chi comprava credeva sempre di aver acquistato ciò che voleva, ma in realtà prendeva solo e soltanto quello che GDO metteva a disposizione. Perciò non erano più le persone a scegliere, ma si adeguavano a ciò che trovavano. Anche i regali fra amici e parenti sembravano non accontentare più nessuno: erano sempre le solite cose. E i libri? E la musica? Tutti ascoltavano sempre gli stessi brani e leggevano le stesse cose, anche se poi, magari le definivano come le più banali e commerciali che avessero mai visto o sentito.

Ma che ne è stato del protagonista dell'inizio di questo racconto? Del lavoro?

Mister GDO, occupato a tener alti i profitti, aveva anche le sue belle spese per tener in piedi tutto quel baraccone illuminato! Se spegnevi tutte quelle lucine, se grattavi via i brillantini e gli effetti speciali degli articoli griffati, cosa rimaneva in fin dei conti? Libri accatastati e venduti quasi a peso, maglie impolverate e scarpe di plastica scadente.

Mantenere viva l'illusione di essere un posto fatato aveva un costo, perciò GDO iniziò a cibarsi anche della sua forza lavoro. Offriva alle persone uno stipendio ma in cambio di quasi tutto il loro tempo, in modo che non ne avessero troppo per pensare a dove andare a trascorrerlo, o per andare altrove ad acquistare ciò di cui avevano bisogno. GDO dava lo stipendio ai suoi servitori e questi poi lo rispendevano da lui, perchè non avevano altro posto dove andare. E quando uscivano erano così frastornati da tutto quel caos che dei loro sogni, le loro passioni ed i loro progetti non era rimasto  più nulla. Sapevano solo di dover ritornare. A spendervi soldi o a spendervi tempo. Non più a crescere, non più ad imparare. Solo a produrre: lavoro oppure spazzatura.

Gli animi delle persone cominciarono ad inaridirsi, tutti si sentivano derubati di qualcosa, ingannati. Ci si guardava con gli occhi sbiechi, come davanti al tavolo del gioco delle tre carte: la gente sapeva che c'era un trucco, ma si ostinava a cercare di smascherarlo nel modo sbagliato: continuando a giocare.

I clienti se la prendevano con chi lavorava per il mago, la mandopera del mago odiava dover essere, nella vita, nientaltro che una categoria comandata a bacchetta.

Si avvicinava il Natale...e quell'anno, quel terribile anno in cui i soldi finirono, la gente forse capì. Io non ve lo so dire, perchè è una storia antica, ed il finale è  andato perduto. Però qualcosa deve essere accaduto: perchè stamani ho chiesto in prestito un pò di zucchero al vicino. E perchè è domenica e siamo tutti a correre nei prati.

 

 

 

 
 
 

...OGGI IO RINUNCIO A...

Post n°33 pubblicato il 04 Ottobre 2012 da ihatesupermarket

Oggi mattinata libera dal lavoro, ne approfitto, con gioia, per dedicare un pò di tempo al luogo che più di tutti trascuro: casa mia. Mi regalo cornetto e cappuccino e, per qualche tempo, mi immergo nella lettura dei quotidiani. Le pagine dedicate alla cultura sono quelle che affronto sempre con maggior interesse, ma anche oggi ricevo la mia piccola delusione. Degli incontri ai quali vorrei partecipare non riuscirò a vederne nessuno, grazie ai soliti impegni lavorativi; sicuramente nemmeno questa volta ne morirò, certo però che il mio cervello inizia a risentirne, di questo sono sicura. Dopotutto anche l'intelletto ha bisogno di esercizio per continuare ad esser vivo, io sto iniziando a dimenticare persino l'italiano...figuriamoci

Credo si possa trattare di "analfabetismo di ritorno". Passi che non mi sia concesso nemmeno più sognare un posto di lavoro migliore, però almeno continuare a mantenere vivo il mio intelletto si! Che tristezza...una vita limitata a "buongiorno, ha la tessera?" "sono tot euro, grazie arrivederci e tenga lo scontrino"...No non può essere tutto qui. E se è così non dovrebbe esserlo più.

Del resto tenere un popolo nell'ignoranza è il mioglior metodo per farlo ammansire e ridurlo ad una sorta di pollo da batteria: mangia, ingrassa, produce ciò che serve e poi muore. Muore dentro. Come muoiono ,ora, delle piccole chicche che, per anni, sono state la bandiera di un'educazione che, anche chi era povero, esibiva nel nome di una dignità personale che nessuno gli avrebbe tolto. 

Muore il saluto. "Dov'è il latte?"- mi chiedono- e io ostinata replico "Buongiorno A LEI, il latte lo trova ecc ecc..." Ma risulto acida per questo, perchè faccio notare arrogantemente una mancanza. Certo, è poco signorile, ma ne ho le tasche piene.

Così come sono stufa di assistere a genitori che lasciano giocare i loro pargoli con il cibo.

O come sono esasperata dal trovare noccioli della frutta sputati nei cestini, o i guanti di plastica del reparto ortofrutta..o ancora i numeri accartocciati del banco gastronomia. E come se non bastasse sentirmi dire che i cestini sono pieni di carte e che andrebbero puliti! Tesori cari..cestini, carrelli, come strade e altrettanti spazi comuni non vanno puliti dopo che "qualcuno" ha sporcato: vanno MANTENUTI puliti.

Non esiste un "qualcuno che sporca" e un "qualcuno che deve pulire",  esiste solo un normale decoro che tutti dovremmo avere e che lentamente sta finendo.

Gli addetti alle pulizie compiono un lavoro importate...perchè li tratti come un paria? Perchè in Italia tutti i lavori sono buoni solo quando c'è da protestare che "almeno è un lavoro" e che "lo farei io al posto suo" e poi però tutti sono pronti a giudicare il valore di una persona in base al lavoro che ha. E magari, tu che lo giudichi, lo fai pure da disoccupato ma con la borsa e il portafoglio griffati. Perchè è così che si sta andando avanti, tutti con le pezze al culo (e scusate la volgarità) purchè la facciata sembri quella di un vip.

L'altro giorno mi trovavo alla cassa e una signora, apparentemente anche gentile, ha fatto una battuta su Picasso. Sorrido e poi lei mi dice "...sa Picasso era un pittore che.." Con il sorriso che mi si è contratto immediatamente in una paresi le ho risposto che lavoro in un supermercato ma grazie a dio conosco chi è Picasso e che in tempi non lontani, alla domenca anzichè lavorare, mi ero recata a Palazzo Grassi a Venezia per vedere una mostra a lui dedicata! E pensi: pure di mia libera iniziativa! La signora, un pò imbarazzata, si è allontanata salutandomi di sfuggita. Chissà come mai?

Niente, mi sono inacidita. Ma tutto sommato mi consolo: meglio acida che anestetizzata agli interessi, alla natura, al mondo che ci circonda!

 

 
 
 

direttamente da "GOVERNO.IT"

Post n°32 pubblicato il 27 Settembre 2012 da ihatesupermarket

Allora: un momento di serietà, per cortesia. E non sto assolutamente scherzando.

Prima di condividere i miei pensieri, oggi è obbligatoria una piccola premessa.

Io AMO il mio Paese e tutto ciò che mi appresto a scrivere, andando a disturbare anche la Costituzione Italiana, lo faccio per esprimere una mia idea e far capire un disagio: la sensazione che qualcosa stia portandoci alla deriva, allontanandoci dagli stessi VALORI sui quali l'Italia è fondata. Non è una sfida e nemmeno, in alcun modo, vuole essere un gesto provocatorio, irrisorio o, peggio ancora, violento.

Riprendo dal sito Governo Italiano:

Articolo 4: La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Provo ora a rileggere omettendo le seguenti parti: "secondo le proprie possibilità e la propria scelta (...) o spirituale della società.

Cosa rimane? "Ogni cittadino ha il dovere di svolgere un'attivita che concorra al progresso materiale della società"

Mi chiedo: è la stessa cosa? No. Sono solo poche parole. Ma la differenza è un abisso, che separa ciò che è scelta e ciò che invece è imposizione; che riconosce l'importanza di una parte spirituale nelle nostre vite, e non solo la predominanza di quella materiale. E che entrambe viaggiano di pari passo, concorrendo a migliorare la vita non solo di ciascuno di noi, ma del nostro stesso Paese.

Sono solo poche parole, che donano però una cosa importante: fanno intravedere un orizzonte: una via, che non appartiene solo alla generazione presente, ma che si stende davanti a noi e a nostri figli, e a tutti coloro che continueranno a percorrerla.

Mi piace, l'articolo quattro. Mi dice che posso scegliere, e mi dice che il mio lavoro è importante. Sapendo queste due cose io non andrei a dormire scontenta. E invece ci vado. Perchè qualcuno di questi tempi ha deciso di essere più importante della Costituzione, e mi dice che non posso scegliere e mi dice che il mio lavoro non conta un asso.

Questo qualcuno non so chi è, ma dicono che sia "la gente".  Gente è un mostro strano: fa cose stupide, parla per luoghi comuni, urla ma non sa esprimersi, sente ma non capisce quello che gli viene detto. Crede di aver sempre il diritto di giudicare il prossimo e vuole sempre aver ragione. Bene, Gente, adesso sarebbe bene che tu la smettessi di metterti in fila per l'ultimo telefono in voga e iniziassi a leggerti un buon libro. Sarebbe il caso, Gente, che tu guarissi da quel egocentrismo che ti fa illudere che "solo tu" hai dei diritti, che le idee che contano sono solo le tue, e che le tue esigenze sono prioritarie rispetto a quelle degli altri.

Caro Gente,pensa, potresti anche scoprirti più libero: libero dalle file, libero dalle cose di cui immagini di non poter vivere senza...E magari scoprirti meno infastidito dalle opinioni altrui.

 

 
 
 

IN FONDO...C'E' CHI STA PEGGIO

Post n°31 pubblicato il 24 Settembre 2012 da ihatesupermarket

In fondo c'è chi sta peggio. E' una frase che sento rimbalzare continuamente, o forse, sentendola troppo spesso sono diventata "iper sensibile al prodotto".

E' vero, c'è indubbiamente chi sta peggio. Solo che non immaginavo stessimo partecipando ad una gara. Esistono graduatorie come per i concorsi? Chi ha figli a carico ha maggior diritto alla lamentela ma solo oltre le 50 ore lavorative? O la percezione di un disagio è direttamente proporzionale all'anzianità di servizio?

Non capisco. E non è retorica, non capisco veramente. Seguendo la logica di alcuni ragionamenti, la categoria dei lavoratori del commercio praticamente "non ha di che lamentarsi"; sul web la frase più ripetuta sembra essere "in molti vorrebbero lavorare la posto loro la domenica pur di arrivare alla fine del mese", dimenticando, però, che se sei disoccupato, forse non è poi così prioritario fare acquisti durante i week end, vista la triste assenza di prolungati orari lavorativi. Senza contare poi che, davanti alle manifestazioni di disagio di una nutrita categoria, non mi verrebbe mai in mente di levare gli scudi per convincerli che "dopotutto c'è chi sta peggio". Non lo so, avete mai visto un gruppo di commessi pararsi davanti ad un corteo di metalmeccanici per dirgli "non capisco di cosa vi lamentiate"? Surreale no? Ed è anche abbastanza ovvio, non capire. La manifestazione ed il dissenso nascono proprio per far conoscere e condividere le proprie ragioni con chi, per diverse occupazioni e stili di vita, non sa cosa effettivamente significhi svolgere determinati tipi di lavoro e quali problemi comportino. Ogni tipologia di lavoro implica certe difficoltà, che possono essere gravi, come nel caso di mansioni pericolose, responsabilità elevate ecc. Ma dai lontani tempi della rivoluzione industriale si è sempre cercato di apportare dei miglioramenti alle condizioni di lavoro, sia per quanto riguarda la sicurezza che per la qualità della vita. Perchè mai ora dovremmo giocare al ribasso?

E' innegabile che i rischi che corre un minatore  non sono neppure lontanamente paragonabili a quelli dei commessi; è altrettanto innegabile che  trascorrere 10-12 ore lavorative ed effettive,  in diverse occasioni senza giornata di riposo, alla lunga possa concorrere a generare concrete possibilità di rischio (vedi incidenti stradali, danni da stress correlato ecc). Mai sentito parlare di inventari che iniziano alle 7 del mattino e finiscono alle 23, con una sola ora di pausa (pizza gentilmente offerta dalla direzione)?  Oppure di allestimenti di punti vendita in cui si sa a che ora si inizia ma non è lecito sapere a che ora si finisce? Casi limite? Certo, ma non così inusuali e sporadici come si vorrebbe far credere.

C'è sempre (disgraziatamente) chi sta peggio. Ma forse è giunta l'ora di iniziare a puntare al meglio. Cosa a cui, sicuramente, nessuno di noi è più abituato.

Esiste una cura per tutto ciò: si chiama cultura. E non mi riferisco allo sterile "pezzo di carta". Si può continuare ad imparare per tutta la vita, anche senza dover per forza frequentare master e dottorati. Basterebbe ricordare come si fa ad ascoltare. Basterebbe imparare il rispetto delle idee altrui. E a non trincearsi dietro alle proprie convinzioni. Continua...

 
 
 

QUANTO COSTA...O QUANTO VALE?

Post n°30 pubblicato il 05 Settembre 2012 da ihatesupermarket

A volte ho una certa difficoltà a non arrabbiarmi..spesso, nel mio girovagare fra le pagine dedicate allo stesso tema di questo blog, le stesse che poi ne ospitano i link, mi imbatto in strane identità che, sovente celate da nomi fasulli, lanciano parole o, piuttosto, provocazioni, in risposta alle (giuste) lamentele dei piccoli lavoratori di supermarketlandia.

Mi dico di non badarci, scopro che vengono chiamati "troll" e che il loro esistere è legato alla provocazione, al destare confusione al solo fine di agitare le acque per motivi futili in nome di un, a me incomprensibile,  tipo di divertimento..chi mi ricordano? I NOSTRI CLIENTI! Caspita: come non averci pensato prima???  Comprano, si lamentano, e, anche quando gli si offre una soluzione immediata e soddisfacente su di un piatto d'argento cosa fanno? sbuffano e sono perennemente scontenti.

Giusto ieri ne ho avuto l'ennesima prova; una signora si presenta con una confezione di cibo avariato, aperta e consumata a metà: sicuramente la busta, normalmente venduta sottovuoto, non poteva contenerne solo metà..perciò era evidente che la signora, dopo aver utilizzato parte del cibo, aveva lasciata aperta la confezione e il resto si era così deteriorato. Visto il valore esiguo e le sue proteste, la accontento e le sostituisco il prodotto senza fare una piega. Commento: "ah...tanto avete sempre ragione voi!"  Il nesso, scusate? Disperso, immagino, così come i neuroni della signora in questione, perchè non so darmi altre spiegazioni.

Quindi ai troll forse non vale la pena continuare a spiegare, così come ai clienti, perchè alla fine è un'inutile perdita di tempo. Capita però che, in effetti, alcune persone non comprendano le ragioni di tutto questo fermento, che si è andato progressivamente intensificando soprattutto con la liberizzazione delle aperture indiscriminate dei negozi. Dopotutto non siamo i soli che lavorano in giornate festive, i più, comunque, ci vedono lavorare in un ambiente riparato, sicuro, pulito...Forse vale la pena che vi soffermiate su questo: ci vedete L A V O R A R E. E quindi avreste ragione a sostenere che, in questo periodo di crisi (che palle sta frase non la reggo più) già avere un lavoro è un lusso. Ma LAVORARE, implica di certo un'azione che ha un orario di inizio, una durata ed una conclusione. Se questa azione inizia ad espandersi in maniera indefinita, deregolamentata e invadente, resta ancora un lusso? Tutta qui, in breve, la nostra recriminazione. 

Non siamo bambini di due anni ai quali hanno sottratto il giocattolo della domenica, siamo persone a cui viene sottratto il tempo. 

E il tempo quanto costa? Niente, è vero, però vale molto. E te ne accorgi proprio perchè inizi a non poterne disporre  liberamente.

 Se alle persone, che spesso non abitano nelle immediate vicinanze dei centri in cui lavorano, inizi ad imporre orari illogici, queste saranno inevitabilimente costrette a sostenere maggiori spese per la benzina o a doversi rassegnare a dover trascorrere le loro pause all'interno dello stesso esercizio commerciale; rimborsi per il pranzo? rari. E che effetti può avere su di una persona un periodo indeterminato passato consumando panini e simili, alle fredde luci dei neon delle vetrine? Dov'è la qualità della vita? Senza contare che per svolgere attività di ordinaria amministrazione, ti ritrovi con briciole di quarti d'ora che  bruci in fila in qualche ente perchè magari (E SOTTOLINEO MAGARI PERCHE' NON VOGLIO GENERALIZZARE) la persona che dovrebbe essere dietro allo sportello ha timbrato e poi è andata a fare le sue commissioni personali.

C'è poi chi ha famiglia: forse noi mamme abbiamo la tendenza a romanzare troppo i sentimenti che proviamo per i nostri pargoli. Obbiettivamente: i bambini capiscono se i genitori sanno spiegare loro il perchè delle cose, perciò non è detto che avere i genitori molto assenti per motivi di lavoro li traumatizzerà per tutta la vita. Però è altrettanto vero che il senso della famiglia si costruisce giorno per giorno e in Italia essere una famiglia ( e di qualsiasi tipo) non è più considerato un valore da proteggere. Sempre che non serva a farne leva nelle pubblicità. Come dire: la famiglia è importante se ti fa vendere e guadagnare, il resto non conta. Se a casa ho qualcuno che mi aspetta è improponibile che tu, dirigente, direttore o simile, mi chieda di fermarmi oltre il mio orario senza alcun preavviso e senza un limite. O ancora che io debba aspettare il sabato sera per sapere i turni che avrò la prossima settimana. Che per quindici giorni non possa spenderne a casa uno. Può accadere una volta, forse, ma comunque sarà una volta di troppo.

 

 
 
 
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