Post n°50 pubblicato il 30 Dicembre 2010 da jeffb0
E poi c’è la Città del Ponte. E il legame inscindibile innegabile che hai con Lei. Il legame che si è consolidato in tante veglie assaporate, nel sole scosceso che fa capolino tra la quiete di Na Kampe. Nella neve. Nella tanta neve. L’insieme dei suoi vicoli e delle sue strade. Questa città “che non è altro che un intrico di strade e collinette, un sussurro di Dio”. E degli abitanti che la rendono viva. E che adoriamo esattamente per come è. Non ne cambieremmo niente. La accetteremmo così, con i difetti e tutto. Anzi, soprattutto con quelli. Un rapporto vecchio, complesso. Anzi, quasi un vizio. Ma uno di quelli buoni, cui ti abbandoni docilmente, sapendo che non ti porteranno in nessun posto deprecabile. Nato con il rintocco di un destino adeguato, che non osavi nemmeno pronunciare ad alta voce, per paura che svanisse. La storia delle mie 42 volte a Praga è questa ed è tanto altro. È la storia di una passione per i viaggi non fine a sé stessa. Più per le persone che i viaggi li compongono, come tanti piccoli puzzle animati. Variopinti. Dinamici. Caleidoscopici. E dell’altra passione concomitante, quella per i ritorni. Per le riletture. Per i riascolti. Per le seste, ottave o none visioni. Per le strade di casa che ritrovi fuori casa. È per questo che sono stato, e che tornerò. Ancora e ancora. Finché non sarò stanco, e so che non succederà tanto facilmente.
La magia, peraltro, inizia la notte della vigilia. Il bagaglio che dopo centinaia di partenze assembli quasi ad occhi chiusi, divinando in parte luoghi, frequentazioni, imprevisti, umori cromatici volubili. Poi la lunga attesa. Coordinare ossa muscoli pensieri per spingerli verso la stessa direzione. È questo che ci giustifica. La curiosità. L’esplorazione del limite. La certezza che non ci sia maniera migliore di crescere che strapparsi a forza dal divano di casa e dalle pantofole per sfidare l’ignoto e rincorrere la linea del domani con le braccia spalancate. Poi si parte e tutto, alchemicamente, si rinnova e nel sogno si concretizza; e allora sai che domani ci saranno posti, sensazioni. E sai che avrai i sensi spalancati, che sentirai rumori amplificati, vedrai cose che non hai mai visto e, soprattutto, ne adorerai ogni singolo istante.
La prima volta è stata nel 1998, me la ricordo come se fosse ora quella strada avventurosa che i nostri dèi in vena di umorismo ci hanno fatto percorrere sotto una nevicata storica dal Tarvisio in poi; il fienile che ci ha ospitato per una notte isolato in un paesino che pareva Eschberg. Poi Tabor, quella corsa nel campo innevato solo per celebrare il fatto che fossimo vivi. E poi Praga. La bellezza, la luce. Le parole. La magia che aveva una singolare familiarità con altri posti, altri luoghi. Come un lunghissimo, inspiegabile déjà-vu. Nei post-it che attacco su di un muro immaginario per riordinare tutto quello che per me ha significato Praga, c’è un’altra data fatidica che è il 2003, quando riprende un rapporto adulto, scandito non dalla flemma rilassata della vacanza ma dai viaggi di lavoro. È l’occasione di spingersi sotto la superficie di tutte quelle sensazioni impressionistiche percepite un tempo. Fatto come sono fatto, nessuna occasione migliore per espandersi. Da lì tre anni e mezzo luminosi, rigogliosi. Un periodo irripetibile. Un periodo che ha significato il coronarsi di un sogno egoisticamente preteso e ottenuto con tanta facilità da sembrare quasi legittimo. E le fondamenta della maledizione, se mi è permesso, sono state poste in quel momento. Nelle giornate operose, nelle nottate senza fine. L’affetto di una sorella un po’ ruvida che però, alla fine, ti vuole bene veramente, al di là di tante inutili smancerie.
Dopo quello un succedersi di ore e momenti. Alcuni di essi indimenticabili. Che vanno a costruire, nel bene o nel male, la persona che sei. Quando me lo chiedono, cosa mi piace tanto di Praga, sono sempre un po’ in difficoltà. Con gli interlocutori meno curiosi me la cavo con il salomonico “non è una sola cosa, ma un insieme di cose”. Ma quando ci penso e provo a districare i fili, non è che le cose si chiariscano particolarmente. È evidente, la Praga vecchia è l’insieme che contiene quella nuova, uno dei tanti “mostri” eterogenei che ha rischiato di produrre, nemmeno si trattasse del Golem, questa nostra gloriosa Europa Unita. Con annesso quel frizzante e gustoso spirito anarchico che i praghesi hanno propiziamente conservato. Stranamente, però, i riferimenti che mi vengono alla mente sono sempre gli stessi, di prima e di dopo. Un ristorante bizzarramente vicino al centro, U Spirku, che non ha perso niente, se non (forse) un po’ di polvere, del carisma tesliano che lo abitava e nel quale ho vissuto la mia prima epifania alimentare, provocata dallo smašený sýr. C’è un locale, il Bombay, in realtà un club per turisti, ma nel quale notte dopo notte mi sono divertito a vedere la città dischiudersi come una valva filtrando le illusioni e le speranze dei suoi abitanti provvisori. Ci sono le vie incantate di Hradčany e del Vicolo dell’Oro e soprattutto il Monastero di Strahov, e l’agghiacciante bellezza della sua Sala Filosofica.
Ma se voglio pensare al “posto” per eccellenza, devo tornare al 1998, a quella birreria scrostata di Evropska Ulice in cui ho realizzato in che maniera i praghesi aderissero alla loro pivnice, quasi si trattasse di un’estensione della vita privata. Dovrei reimpadronirmi di tutte le illusioni di questo mondo e dovrei prepararmi a trovare la chiave di qualcosa a cui tenevo molto e che faticavo a concludere, di vivere e di scrivere. E ricordare tutte le volte che ci sono tornato, esattamente in quel posto, sulle ali dell’immaginazione. Confermando come molto spesso sottovalutiamo un potenziale enorme, racchiuso, amorevolmente, nel nostro io più profondo.
Pagherei tutto l’oro del mondo per essere ancora là, in questo momento. Lo giuro.
E per rimanerci, sì.
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Post n°49 pubblicato il 06 Gennaio 2010 da jeffb0
Insofferenza. Soprattutto questo. Soffocamento. Un senso di inutilità. E ingratitudine, un aggettivo che continua ad assillarmi. Non insoddisfazione. Ingratitudine. Come se tutto quello che avevamo sperato, sognato si fosse...vabbé, le stesse cose di sempre....Pensavo che settembre, ottobre e novembre avrebbero agitato il suo manto e riportato serenità nelle mie giornate, ma finora così non è stato. A questo punto non so se il problema sia fondante oppure, più facilmente, genetico. Cos'altro fare dunque se non accettarlo e regolarsi di conseguenza? Forse in un'altra vita combattevamo per salvarci la vita. Quello era combattere. Intendo combattere davvero. Possibile che ci sia rimasta nel corredo genetico un'istintiva tendenza alla sopravvivenza armata, passatemi il termine. Che ci giustificava maggiormente di tutta questa blandizie. Oddio, quanto meno che giustificava maggiormente alcuni di noi. Ciò che è certo è che non cederemo di un passo. Metro dopo metro. Arriveremo dove l'erba è appena un po' più alta. E' una certezza. Lo faremo, a modo nostro ma lo faremo. Adesso è Gennaio, l'alba di un nuovo mondo, tutto è ovattato, è caduta la neve a rischiarare e temperare le angosce. I sogni come sempre sono grandi. Ma il Destino e la Sorte si piegheranno o saremmo verosimilmente costretti all'ennesimo compromesso?
Ai posteri, come si suol dire, E a Voi, devoti Eletti, Appuntamento al solito, alla prossima cella della mia solitudine di dannato. R. |
Post n°48 pubblicato il 09 Agosto 2009 da jeffb0
Mamma mia quanto tempo è trascorso, passato, fuggito, me ne accorgo solo ora. Giustificazioni il tour-de-force di luglio e l'inizio delle inattese vacanze...Lunghe, lunghissime, era un decennio che non beneficiavo addirittura di tre (TRE) settimane...ne ho approfittato per venire a trovare i miei Amici Monti, che trascuravo da mesi e mesi, e per riprendere, grazie al loro balsamo, di natura per me tuttora ignota ma immagino magico, la Giusta Prospettiva Sul Mondo...Parole scritte e lette (tante e tante), grandi pedalate, giusto per ricordare al mio corpo che un tempo ero un atleta, ruscelli, torrenti, monti, panorama mozzafiato, quello che da sempre ho imparato a considerare l'eletto, il mio, il migliore possibile...Rientrerò in città iperossigenato e caricato, e i prossimi mesi saranno non una passeggiata ma una corsa, anche se la colonna sonora sarà di quelle avvincenti, vedi "My Hero" dei Foo Fighters, o roba del genere. Tutte queste immagini immortali che mi danzano davanti agli occhi, le tante facce amiche che abitano questa Valle, che mi danzano intorno, ma la domanda è una sola...Restaurare l'abitudine del coro greco nella narrazione, è o non è un inutile arcaismo? I posteri risponderanno, se avranno tempo (voglia, soprattutto, tanto ormai...).
Quanto a me, e a Voi, miei devoti eletti, Appuntamento alla prossima. R. |
Post n°47 pubblicato il 15 Giugno 2009 da jeffb0
Sì, lo so. Lo so. Nonostante i proclami di indipendenza sono arrivato al ventunesimo giorno consecutivo di lavoro (!) e a questo punto comincio a pensare che ce la siamo scelta davvero; ho festeggiato in maniera trascurata e trascurabile il mio compleanno, ma non è nemmeno quello il problema. Ho ripreso ad andare in "loop" su una canzone, in questo caso questa vagamente bretone "Gold" tratta dalla OST di "Once", film che mi ha spezzato il cuore. Credo sia al repeat numero 20, 21, ok, ho perso il conto. Non è nemmeno questo il problema. Era solo per dire che basta poco, davvero poco, un bicchiere di vino, un odore, una nota captata per sbaglio dal mio balcone affacciato sulla città, per portarmi via da qui, senza democrazia, asportarmi da questa scrivania sudata (anche visto il caldo) e faticosa e condurmi in uno strano territorio intermedio dove le speranze dei viventi si intrecciano con quelle dei trascorrenti (sì, io ormai li chiamo così) e dove tutto, come qualcuno scrisse, in tempi andati, "nel ricordo può risorgere glorioso". Meglio di quello che è. Ok. Lo ammetto. Non realistico. Adornato. Ma qui guido io. Qui comando io. E l'ottimismo si alimenta, per noi laicamente abituati ai fatti della Vita, con piccoli artifizi. Alcuni più innocui di altri. Quindi questa sera, questa notte, sono in Bretagna. Francia. Non chiedetemi perchè, nè per come. Sto mangiando pesce e carne cucinata in maniera onesta e magistrale, da una vecchia nonna la cui sapienza pare indietreggiare nei secoli, e sorbendomi un rosato che resusciterebbe un morto. Fuori, la temperatura ideale per chi non sopporta un clima troppo invasivo. E sono felice. Sì. Non l'avevo detto? Sì. Felice. Ho quasi paura a scriverlo. Note che sanno di una parentela con le faccende essenziali dell'esistere, la terra, la foresta, dèi di un tempo primigenio, mi risuonano dentro. E non ho bisogno di altro. Tranne che continuare a crederci. E lo farò. Almeno fino alla fine della notte. Stenterò ad addormentarmi, per prolungare il sortilegio. E vi immaginerò, piccole anime, qui. Qui con me. Felici come me. Siamo figli, tutti figli. E schiavi. Dell'amore che doniamo, che trasmettiamo. Un giorno lo capirete anche voi. Che nonostante tutto saremo sempre gli uni per gli altri. L'unica risorsa. Ma ora silenzio. Shhhhht. Ora silenzio. E.... Devoti eletti Alla prossima R. |
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