da: http://www.wuz.it/recensione-libro/2827/venuto-mondo-margaret-mazzantini-sarajevo-guerra-bosnia.html
Venuto al mondo di Margaret Mazzantini
“Di notte la città sembra una bocca guasta di costruzioni rose dall’interno come denti divorati da una carie. Il buio diventa l’apocalisse. Non c’è traccia di vita. Le sirene degli allarmi sono voci dimenticate da un’allerta che non pare servire più a nessuno. Ogni notte Sarajevo muore. La notte è il coperchio che si chiude. I superstiti sono formiche che hanno seguito il destino della città per ostinata affezione e sono rimaste murate nella bara.
Di notte resta solo il vento, che cala dalle montagne e si aggira come uno spirito inquieto in questa bocca sdentata.”
Terminare la lettura di questo libro e non sentirsi feriti è davvero impossibile: il romanzo riesce a lacerare, a sconvolgere, a denudare ogni falsa coscienza, a buttarci in mezzo al dolore e al male assoluto senza offrire ripari. Ma il messaggio che ogni lettore, pur segnato da cicatrici e sensi di colpa, alla fine porta con sé è l’idea che anche dall’orrore possa nascere qualcosa, che uno spiraglio di speranza rimanga sempre aperto.
La storia si apre con una telefonata. Arriva da Sarajevo, è un vecchio amico che chiede a Gemma, la protagonista, dopo tanti anni di tornare in quella città che ha significato tanto per lei. La donna risponde turbata di sì. Porta con sé il figlio Pietro, riottoso sedicenne romano, vuole che veda quella città martirizzata in cui lei aveva conosciuto e amato un giovane fotografo genovese, il padre che il ragazzo non ha mai conosciuto perché morto là, vittima indiretta di quella maledetta guerra che ha insanguinato e violentato la Bosnia.
Il Parlamento di Sarajevo
L’arrivo è come la riapertura di una ferita e il romanzo procede tra presente e flash back, anzi tra l’angoscia del presente e la capacità di rivivere in pieno l’orrore del passato.
Studentessa, approdata a Sarajevo per una tesi su Ivo Andric, Gemma ha come guida un poeta che in realtà fa un po’ di tutto, interprete, commerciante di piccole cose, autista… E proprio in procinto di tornare a Roma per sposarsi Gemma conosce un ragazzo, un fotografo genovese, un po' strampalato, un po' bambino, indifeso e solare. L’incontro turba entrambi e così di ritorno in Italia inizia tra loro, dopo varie vicissitudini, una storia d’amore intensissima, un legame dolce e appassionato a cui però manca qualcosa: un figlio.
Gravidanze interrotte, frustrazione dolorosa, e incapacità di accettare la sterilità: Gemma vuole a tutti i costi diventare madre. Cerca così una soluzione alternativa, non legale, che riporta la coppia a Sarajevo. Là sarà la guerra a cambiare i destini, i loro come quelli di un numero infinito di esseri umani.
Ma il romanzo non procede in modo lineare a raccontare il passato, anzi la narrazione di ciò che è accaduto, si intreccia con Gemma e Pietro oggi nella città bosniaca, con le tracce della guerra ancora visibili sui muri e sui visi delle persone, gli immensi cimiteri con date di nascita diverse e quelle di morte tutte uguali. Gemma è sempre presente e attenta alle reazioni del figlio e nello stesso tempo è ancora là, in quei giorni terribili, in quell’orrore, in quella paura, nella sua straziante vicenda che, dentro al grande dolore della città, ne è parte e se ne disperde.
Non raccontiamo di più della trama complessa che fino all’ultima pagina, come avviene nella vita, sembra cambiare direzione e prendersi gioco dei destini degli uomini.
Sicuramente la Mazzantini sa raccontare la guerra con forza e disperazione con le parole adeguate e i necessari silenzi. La guerra, la fame, l’incapacità di capire davvero che cosa sia successo, tutto ciò davvero si anima in queste pagine cariche di sofferenza. Nessuno se l’aspettava, nessuno sa che cosa abbia potuto trasformare una città serena e colta, multietnica e pluralista, fiera della sua modernità e del suo patrimonio di tradizioni, in un luogo infernale. Ma la guerra, insensata, cieca, bestiale, trasforma gli uomini in belve e molte pagine, in particolare nell’ultima parte del romanzo, sono una durissima testimonianza di questa bestialità assurda.
La biblioteca di Sarajevo in fiamme
Altro tema, che apre e chiude l’opera, è il desiderio di maternità, l’affermazione che essere madre è amare un bambino col cuore e con tutto il proprio essere, anche se non è frutto del proprio corpo, un amore che sa superare ogni barriera e che è speranza di futuro.
Ma merito dell’autrice è anche descrivere quella città, splendida seppur lacerata, orgogliosa come i suoi abitanti, che mostra nelle bellissime architetture le diverse culture che la compongono e che fino a pochi decenni fa, convivevano pacificamente.
Grande merito inoltre nella denuncia della solidarietà da salotto, della freddezza e della superficialità di chi, a pochi chilometri di distanza, divisi solo da una striscia di mare, ha concesso che quel massacro potesse perpetrarsi. Ecco i numeri: più di 12.000 i morti durante l’assedio, più di 50.000 i feriti, l'85% dei quali civili. Ma i numeri significano qualcosa se li sappiamo riempire di emozioni, il libro di Margaret Mazzantini ce ne dà di intensissime. |