Creato da MarianneWerefkin il 26/10/2007

Il mignolo

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Giulia

Post n°225 pubblicato il 11 Dicembre 2014 da MarianneWerefkin

Se qualcuno la vedesse sentirebbe una pena infinita. Senza vergogna, sarebbe la sensazione più umana che si potrebbe sperimentare di fronte a lei. Poi un vuoto assoluto sulle labbra ed una gola strozzata da tanti pensieri e parole che in alcuni frangenti non potrebbero emergere. E' meglio così, sarebbe la sintesi di tutto, mentre la figlia la guarda con occhi carichi di affetto e di speranza, compassionevoli e storditi da un lutto inesorabilmente imminente. Giulia ha smesso di mangiare e sta facendo morire il suo corpo. Nell'ambiente, fra di noi, vige una strana leggenda: Quando un paziente smette di  nutrire il suo corpo e idratarlo è perduto, esprime il volere di andarsene e ci riesce. Questo la figlia non lo sa, non è cinismo, ma l'alone sotto gli occhi, il respiro faticoso, le labbra appena schiuse per lasciar passare solo qualche sibilo in risposta a domande, stupide, troppo stupide cazzo, non lascia presagire altro. Questo è il lusso di essere fuori ed io invece ero lì davanti a loro. Il labbro della figlia era sforzato in un accenno di sorriso, tradito dal tremore delle labbra. Io in silenzio come una cretina che mi dannavo per trovare qualcosa da dire.
Dovrei sapere cosa dire, eppure a volte l'unica cosa che riesco a fare è stare in silenzio. Tutto questo mi fa letteralmente impazzire.
Rimaniamo sole io e Giulia, finalmente riesco a farle una carezza sulla fronte e ad aprire bocca. -Sei stanca Giulia? Puoi dormire se vuoi- -Stai qui con me?- -Sì- . Sto pronunciando delle parole assurde. Non ci credo che siano uscite davvero. Eppure sì, le ho proprio detto che poteva andarsene se lo voleva, che era tutto a posto e sarei rimasta lì a farle compagnia. Mi viene una vertigine che quasi ho bisogno di sedermi, mi sento frastornata dall'estremo, dal limite superato. Ho fatto uscire l'indicibile, l'incredibile, l'inaudibile.

 

 

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Commenti al Post:
Verainvisibile
Verainvisibile il 12/12/14 alle 14:35 via WEB
La compagnia è l'unica risposta umana. Non il giudizio, non le domande stupide, neanche gli abbracci sentimentali dati per liberarsi dalla colpa o dal troppo dolore. La compagnia. Una come te, che sta lì in silenzio ad accompagnare quel che tu stessa chiami indicibile, inaudibile, incredibile. Umano con umano, senza fronzoli. Credo tu sappia meglio di me di cosa sto parlando.
 
 
MarianneWerefkin
MarianneWerefkin il 14/12/14 alle 10:34 via WEB
Benvenuta. Nel tuo commento ci sono un sacco di spunti interessanti sui quali riflettere (spero te ne sia accorta). Il mio lavoro si basa sul monitoraggio, la valutazione, il giudizio poi di conseguenza l'esplicitazione di obiettivi e l'elaborazione di interventi per il raggiungimento degli stessi. In ultimo la verifica, che può ribaltare completamente la visione dell'insieme se gli obiettivi non sono stati raggiunti. È un discorso estremamente razionale, oggettivo, purtroppo freddo. Noi che parliamo di obiettività ogni giorno, della giusta distanza da mantenere, per cautelare le persone con cui lavoriamo, il loro benessere ma anche il nostro, ecco, quando superiamo la linea abbiamo la sensazione di buttarci nell'abisso assieme a chi ci sta di fronte. Con il dubbio, amplificato mille volte rispetto allo standard, di aver fatto la scelta giusta. Buona giornata.
 
   
Verainvisibile
Verainvisibile il 14/12/14 alle 16:05 via WEB
Grazie Marianne. Il mio modo di sentire ( e con questo intendo sentire io per prima la necessità di una compagnia che sia umana fino alla fine ) mi fa dire che l'unica cosa giusta è superare quella linea che descrivi. Che significa buttarsi nell'abisso misterioso che è l'altro. Mi è chiara la questione professionale, assolutamente. Ma penso che, prima che professionisti, noi siamo persone. Forse, e dico forse, la compagnia che condivide l'abisso è anche la sola capace di far decidere ad un altro se vuole tentare di vivere ancora o no. E, se no, di stare con la mano stretta ad un altro ad aspettare il compimento. Certo di una presenza,
 
MarianneWerefkin
MarianneWerefkin il 14/12/14 alle 21:46 via WEB
Non lo so quanto sia sano buttarsi sempre in quell'abisso al lavoro. La fortuna è avere alle spalle una buona formazione (si spera) che ci permette di capire la strada da seguire da un punto di vista professionale, la sfortuna è che ogni situazione è un microcosmo a sé e quindi sta a noi elaborare e modellare ciò che sappiamo a seconda degli eventi. Se andiamo sul privato, non ho dubbi, se richiesta, non esiterei ad offrire la mia compagnia. Io la vorrei la compagnia di qualcuno? Non lo so proprio ed al momento accantono la domanda.
 
Koheleth
Koheleth il 15/12/14 alle 23:51 via WEB
MarianneWerefkin, queste sì che sono parole difficili a dirsi. Quel che mi (ti) chiedo è però: possibile che, al di là dell'aspetto medico-scientifico, non ci sia un minimo di razionalità comune alle diverse situazioni della sofferenza (tra chi si lascia andare e chi vuole rimanere aggrappato alla vita, tra chi è ligio alle cure e chi le rifiuta)? Da partente o amico ho sempre rispettato le scelte del malato standogli vicino comunque, ma il dubbio atroce è che forse non tutte le scelte fossero giuste e che la semplice vicinanza e l'empatia possano aver finito per legittimare scelte razionalmente sbagliate. Ciao e buon martedì. K.
 
 
MarianneWerefkin
MarianneWerefkin il 16/12/14 alle 13:48 via WEB
Capisco l'esigenza di trovare un dettaglio, una caratteristica universale che possa rendere stabile e più definito un approccio che si perde fra mille variabili. Dove le variabili sono, sintetizzando, le situazioni che ci si presentano davanti. Cosa posso dirti, questo è un dubbio anche mio, ma non credo esista risposta se non andando a definire sottocategorie che riportano elementi simili. Allora, in questo caso sì, esistono approcci più definiti. Ma parlo sempre al plurale. Hai notato? Mica è un caso. Al lavoro tento sempre di mantenere la famosa "giusta distanza", è un esercizio che s'impara con gli anni, lo trovi in tanti libri, ma lo apprendi solo con un po' di esperienza e dopo diversi travagli interiori. Nella vita privata, proprio ultimamente sto approcciando allo stesso modo con una cara amica, che forse mi avrà vista un po' freddina nell'ultimo periodo ma... Ma...ha raggiunto il suo obiettivo, disintossicarsi da uno psicofarmaco assunto da anni. Che gioia. Cosa intendi per "scelte razionalmente sbagliate"? La volontà di andarsene? Stiamo parlando di persone in grado di intendere e di volere o no? Perché anche questo cambia di molto la mia opinione.
 
to_revive
to_revive il 18/12/14 alle 17:58 via WEB
Così dev'essere; andarsene via dignitosamente.
 
 
MarianneWerefkin
MarianneWerefkin il 18/12/14 alle 18:20 via WEB
Assolutamente d'accordo con te.
 
   
to_revive
to_revive il 21/12/14 alle 19:53 via WEB
eh ma noi siamo veterane addestratissime nel far finta che tutto vada sempre bene...(un giorno mi metterò ad urlare come una pazza!)
 
     
MarianneWerefkin
MarianneWerefkin il 21/12/14 alle 21:05 via WEB
Tipo un "silenzio urlato"?
 
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