Creato da womenfree il 11/09/2011

no chains

rivolto alle donne

 

 

LE MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI .............

Post n°56 pubblicato il 07 Febbraio 2012 da womenfree

Della giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili, sui media di un Paese monosessualmente maschile e misogino come il nostro, si è parlato ben poco. E’ stata oggi, lunedì 6 febbraio, ma è come se il problema non ci riguardasse, sebbene solo in Italia siano più di90.000 le donne a rischio di infibulazione, tra cui quasi 8.000 bambine. Si dà atto al solo quotidiano La Stampa di averne parlato, citando i dati raccolti dalle associazioni “L’Albero della Vita” e “Nosotros”, che parlano di 140 milioni di donne mutilate ogni anno nel mondo!

In compenso, da noi, si sa sempre tutto quello che dice il papa nel cosiddetto Angelus: domenica, ben guardandosi dal citare, anche solo per la retorica di rito, questo vero stupro di massa che donne e bambine subiscono nel mondo, Ratzinger si è espresso invece sulle malattie e sul modo per guarire. Oltre alle cure “appropriate”, secondo l’uomo in bianco, ci vuole la fede per sconfiggere radicalmente il male! Ecco, vada a dirlo alle donne mutilate genitalmente, peraltro per motivi religiosi: non sia mai che, pregando, si possa magicamente ricostruire anche il loro desiderio sessuale.



 

 
 
 

QUANDO FINIRANNO STORIE DEL GENERE ? .....

Post n°55 pubblicato il 15 Gennaio 2012 da womenfree

 

 

          

Treviso, 25enne rifiuta avances sessuali del capo e viene licenziata

Una 25enne è stata vittima di un licenziamento ingiusto. La giovane, per aver rifiutato le avances sessuali del caporeparto e del proprietario dell'azienda dove lavorava, ha perso il lavoro.
La ragazza non si è persa d'animo e ha deciso di denunciare l'episodio presso la magistratura.
Così il giudice Elena Rossi ha disposto il rinvio a giudizio dell'imprenditore e del caporeparto per violenza sessuale. Nonostante tutto, i due continuano a definirsi vittime di una vendetta.
In base al racconto della giovane, i fatti avrebbero avuto inizio già dalla scorsa primavera. L'azienda stava attraversando un periodo di forte crisi economica. Le commesse della Geox iniziavano a mancare e in azienda giravano le voci di licenziamenti.
La 25enne ha dichiarato: «È in quelle settimane che titolare e capo reparto hanno iniziato a chiedermi di uscire o più esplicitamente di avere rapporti sessuali». Rifiuto. Le proposte indecenti si ripetono. «Io le ho respinte al mittente. Il risultato? Il licenziamento in tronco».
 
 
 

IO NON COMPRO OMSA ....

Post n°54 pubblicato il 15 Gennaio 2012 da womenfree

omsa

 
 
 

LA RABBIA DELLE LAVORATRICI OMSA .....

Post n°53 pubblicato il 08 Gennaio 2012 da womenfree

Qui il lavoro non calzaOmsa, la rabbia delle lavoratrici e il sostegno della Rete.

di Antonietta Demurtas

Hanno cercato di metterle le une contro le altre. Spesso hanno riso per le loro proteste plateali, ma alla fine, quando alla vigilia di Capodanno, con un fax l'azienda Omsa ha comunicato alle 239 lavoratrici dello stabilimento di Faenza l'intenzione di licenziare tutte al termine della cassa integrazione (il 14 marzo 2012), è calato il silenzio. «Adesso nessuno ci dice più niente», racconta a Lettera43.it Marina Francesconi, 50 anni, operaia cassintegrata, «stanno zitte le istituzioni locali e nazionali, come i sindacati che avevano firmato l'accordo con l'azienda dicendoci che era la soluzione migliore. "Dategli gambe", ci suggerivano, ma poi a darsela a gambe sono stati loro».
LA DELOCALIZZAZIONE IN SERBIA. E così a Faenza rimangono ancora una volta le tute verdi, le operaie Omsa, sole in uno stabilimento che negli anni è stato smontato pezzo per pezzo e trasferito in Serbia, dove il costo del lavoro è molto più basso.
«Il padrone Nerio Grassi diceva che era la crisi, ma non era vero, voleva solo fare più soldi sulla nostra pelle», accusa Angela Cavalli, 44 anni, da 23 al reparto confezione, due figlie di 15 e 5 anni da mantenere con 750 euro al mese. «Per questo non smetteremo mai di gridare il nostro diritto al lavoro».

 
 
 

IL LAVORO E' UN DIRITTO .......

Post n°52 pubblicato il 08 Gennaio 2012 da womenfree

 

Lavoro femminile, Italia peggio della Grecia
‘Siamo un paese tradizionalista e ingessato’

Secondo i calcoli della Ue, il tasso di occupazione delle donne senza figli in Italia tra i 25 e i 54 anni è pari al 63,9%. La media dell’Unione è del 75,8%. "Una differenza che si fa abissale - dice Carla Collicelli, vice direttore generale del Censis - quando si parla di giovani e donne"

Anno nuovo, vizi antichi: il 2011 si chiude con la conferma che per occupazione, retribuzione e condizione femminile l’Italia è ancora, in Europa, il fanalino di coda. Lo dice l’Eurostat: il tasso di donne occupate è tra i più bassi dell’Unione. E peggio di noi fa solo Malta.

Secondo l’ufficio statistico Ue, il tasso di occupazione delle donne senza figli in Italia tra i 25 e i 54 anni, è pari al 63,9%. La media dell’Unione è del 75,8%: in Germania il tasso, per la stessa fascia di età, è dell’81,8%. Malta è ferma al 56,6%. “Siamo un paese così tradizionalista e ingessato”, sospira Carla Collicelli, vice direttore generale del Censis. “Troppo lontano dagli obiettivi europei”. E la lontananza diviene abissale quando “si parla di giovani e donne”, e se il dato anagrafico viene geolocalizzato al Sud e nelle isole. Lo ricorda l’Istat proprio in questi giorni: al Sud addirittura il 39% delle ragazze è in cerca di occupazione.

Ancora: nell’Unione a 27, il tasso di occupazione totale di donne e uomini è del 64,2%, con le donne a quota 58,2%. Alla fine del primo semestre 2011, il tasso italiano di occupazione per uomini e donne è del 57,2%, e scende al 46,7% per le sole donne. Anche la Grecia è sopra di noi, con il suo 48,1%. E la disoccupazione? In Italia il totale del primo semestre dello scorso anno è dell’8,2%: 7% per gli uomini, 9% per le donne. Al netto del lavoro nero. Non solo: una donna in Italia continua a prendere 1/5 in meno rispetto a un uomo, anche in casi di ruoli analoghi. “Dipende dai contratti”, dice Carla Collicelli. “Per quelli che prevedono emolumenti aggiuntivi la paga di base non può cambiare, ma assegni, progressione di carriera, promozioni e scatti interni sì”.

La parola chiave è precariato. “I contratti atipici, nei quali si concentrano donne e giovani, rappresentano per il datore di lavoro una valvola di flessibilità in caso di necessità di ridimensionamento dell’attività produttiva”, dice la sociologa. Per certi versi “permettono l’accesso al lavoro”, per altri ne permettono l’uscita “con altrettanta facilità”. “E non abbiamo trovato soluzioni adeguate”. È il “clou della discriminazione”: la perdita di posti si registra “nella stragrande maggioranza per i giovani e per le donne giovani, sotto i 40 anni”. Per la fascia sopra i 40, invece, “hanno tamponato gli ammortizzatori sociali”. Eppure il Consiglio europeo di Lisbona del 2000 aveva già posto come obiettivo quello di aumentare il tasso di occupazione globale dell’Unione al 70% e il tasso di occupazione femminile a più del 60% entro il 2010. Una percentuale che vorrebbe dire un aumento del 7% del Pil. Il rischio di povertà dei figli passerebbe dal 22,5% al 2,7% e si avvierebbe un ciclo virtuoso di imprenditoria e occupazione, con l’implementazione di quei servizi di cura per bambini e anziani, cardine della cura ricostituente per l’occupazione femminile italiana.

Secondo l’Istat, infatti, l’assenza di servizi di supporto nelle attività di cura costituisce un ostacolo per l’ingresso nel mercato del lavoro di 489mila donne non occupate, cioè dell’11,6%, e per il lavoro a tempo pieno per molte delle 204mila donne occupate part time, ovvero del 14,3%. In Italia viene destinato solo l’1,4% del Pil a contributi, servizi e detrazioni fiscali per le famiglie: dato ben più basso rispetto a quell’1,8% destinato in ambito Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, nei paesi a bassa fertilità.

Con i contratti atipici, poi, chi va in maternità difficilmente ritorna al posto di lavoro lasciato prima del lieto evento. “Ci siamo lasciati alle spalle i tristi episodi del passato, quando accadeva che alle donne assunte venisse richiesto l’impegno di non fare figli per un certo numero di anni”, racconta Carla Collicelli. Ma oggi “la donna con contratto atipico si trova in una condizione altrettanto spiacevole: sa che se si allontanerà per maternità difficilmente potrà riprendere il proprio posto in seguito”. In paesi come ed esempio il Belgio, la presenza di molte scuole materne permette all’occupazione femminile di rimanere invariata in caso di uno o due figli. “Da noi invece il welfare è spostato totalmente sulle pensioni e su una sanità nella media che comincia a scricchiolare con liste di attesa drammatiche per la diagnostica”, spiega la sociologa. Il tutto “mentre le famiglie affrontano problemi di casa, asilo nido, supporti economici, servizi”.

In Italia l’11% dei bambini va al nido, privato o pubblico. In Emilia la percentuale sale al 25,2%, in Sicilia non supera il 5,1%. “Un asilo pubblico costa 8700 euro a bambino all’anno”, racconta la Collicelli. “Un privato 7500”. In alcuni casi i comuni danno alle famiglie un contributo per la retta: ma non è la regola. Secondo l’Istat, la percentuale di occupate è del 58,5% per le donne con un figlio di meno di 15 anni, e del 54% quando i figli sono due. Se poi i figli sono tre o più, la percentuale precipita al 33,3%. E “se si ha in casa un anziano con handicap sono guai”. Anche nelle regioni più avanzate, dove “si fa fatica a dare un’assistenza adeguata, che sgravi la famiglia”. O meglio: figlie, mogli, sorelle.

“All’inizio della mia carriera, il concetto di quota rosa mi ripugnava”, conclude Carla Collicelli. “Arrivata a questo punto sono favorevole: i tempi sono maturi per proporre di applicare criteri di proporzionalità di genere rispetto alla composizione della categoria”. D’altro canto era il 1932 quando in Italia è arrivata la prima donna in un consiglio di amministrazione di un’azienda quotata. 80 anni dopo le donne sono 150: il 6% del totale. Lì dove si decide, ancora oggi, “sono tutti uomini, e in età avanzata”, dice la vice direttrice del Censis.

di Angela Gennaro

 
 
 
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