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Messaggi del 19/01/2015

Questione Meridionale: il Sud che si insegna a scuola e i dati scientifici, non opinabili

di | dal Fatto Quotidiano 19 gennaio 2015

Accade in Italia che una delle case editrici più blasonate pubblichi un testo scolastico in cui la storia viene raccontata in questi termini, a proposito di Questione meridionale.

In primis, essa viene definita un “differenziale di sviluppo economico, di benessere sociale” e fin qui ci siamo, ma anche “di identità civile e culturale che separa le regioni settentrionali da quelle meridionali e che costituisce il più drammatico freno alla crescita complessiva del paese”. La seconda parte della definizione fa sorgere qualche presagio su quanto si legge nel seguito della trattazione. Cito direttamente dal libro:

la discussione storica«… sul tronco di una differenza di sviluppo economico hanno preso forma una organizzazione sociale ed una identità civile profondamente diverse da quelle delle regioni centro – settentrionali. Esse sono dominate da un individualismo diffidente, nel quale gli interessi della famiglia o del clan si antepongono e, inevitabilmente, si contrappongono a quelli dello stato e della collettività nazionale. Su questo sottofondo pesano gli intrecci clientelari e la pervasività della violenza come pratica diffusa e sostanzialmente accettata per la risoluzione dei conflitti, sul cui tronco sono sorte associazioni criminali di dimensioni gigantesche».

Identità civile “diversa”, individualismo diffidente, preferenza degli interessi di famiglia (o clan) a quelli statali o collettivi, interessi clientelari…Da meridionale mi domando di quale Sud si parli. Non è certo il Sud in cui sono cresciuto, sono stato educato, ho studiato e vivo. E dove milioni di persone vengono in vacanza, d’estate, a trascorrere l’antologia del proprio anno solare. Le cronache insegnano, piuttosto, che clientelismo, corruttela, racket e malaffare sono mali declinati ormai in tutti i dialetti dello stivale. Ossia dovunque il tessuto politico, sociale ed economico si prestino al loro radicamento.

Il passaggio più drammatico è quello sulla violenza pervasiva accettata come pratica diffusa e accettata nella risoluzione dei conflitti. Si parla in termini generali di un Sud che, a questo punto, sarebbe meglio conoscere, visitare, studiare…

Credo sia utile riflettere sull’impatto culturale e umano che questo tipo di narrazione possa avere sullo studente del Nord Italia quanto sul suo compagno di classe di origini meridionali. Quale orrore nel rivelare le proprie origini ai propri compagni di scuola…Mai sia.

Preferisco, a questo punto, citare una fonte accreditata e dissonante. E sognare il tempo in cui la storia del nostro Paese possa essere spiegata in termini non banalmente dicotomici. Perché l’obiettivo dell’insegnamento consiste nella formazione di coscienze critiche. E i libri di testo sono gli strumenti di quella difficile e delicata operazione.

In un interessante articolo apparso sulla “Rivista di politica economica”, i ricercatori Vittorio Daniele (Università di Catanzaro) e Paolo Malanima (Cnr) si impegnano a “commentare le serie annuali del prodotto regionale, e d’individuare alcune variabili che possono avere influenzato i differenziali di sviluppo stimati”. Dati scientifici, non opinabili. Dai quali si evince che il divario Nord-Sud non affonda le radici nella storia preunitaria ma in quella trova la sua marcata e sistematica amplificazione. Dicono gli autori “Il divario economico fra le due grandi aree del paese in termini di prodotto sembra invece essere un fenomeno successivo. Pare di poter dire che esso cominciò a manifestarsi dalla fine degli anni ’70 e negli anni ’80”. E, più avanti nel testo dell’articolo “Nel 1891, in Italia, gli squilibri regionali risultano modesti. Se in alcune regioni dell’Italia Nord-Occidentale, come Liguria e Lombardia, i livelli di reddito pro capite sono significativamente superiori alla media nazionale, anche nel Mezzogiorno vi sono regioni relativamente prospere. In Campania il reddito pro capite è comparabile a quello della Lombardia, mentre in Puglia e nelle Isole maggiori è analogo a quello medio nazionale. Una situazione di relativo ritardo caratterizza alcune regioni del Mezzogiorno, come Abruzzi e Calabria, mentre nel Nord è il Veneto la regione più arretrata. Le condizioni regionali sono, dunque, molto simili e le differenze esistenti nei livelli del reddito pro capite non rendono possibile una divisione secondo la linea Nord-Sud”. “Nel 1951 la distinzione tra Centro-Nord e Mezzogiorno è netta: l’Italia è un’economia dualistica”.

Parliamone, dati alla mano…

p.s.

aggiungo solo alcune fonti:

  1. Gino Luzzatto, l'economia italiana dal 1861 al 1894 Einaudi; 
  2. Pino Aprile,  Terroni edizioni piemme;
  3. Gigi di Fiore, Controstoria della liberazione Rizzoli.

..... in più ci metto che se questo paese fosse nato sulla base di vere premesse "unificatrici (e non solo con la necessità di eliminare pericolosi concorrenti ai piemontesi e agli inglesi)" tutto sarebbe potuto essere diverso: sappiamo benissimo che la storia la scrivono i vincitori e la studiano i vinti!

p.s.

QUESTO E' UN POST DI PARTE! CREDO CHE CHIUNQUE SI POTRA' RICONOSCERE IN ESSO.. DA QUALUNQUE PARTE DI QUESTO PAESE PROVENGA....

 
 
 

World Economic Forum, a Davos le previsioni arrivano con un anno di ritardo

Post n°3376 pubblicato il 19 Gennaio 2015 da ninograg1
 

di | dal Fatto Quotidiano del 18 gennaio 2015

La prossima settimana parte Davos, il World Economic Forum, ed ancora una volta bisogna dire che le previsioni fatte lo scorso anno sono state piuttosto scarse. Nessuno, ad esempio, aveva predetto il crollo dei prezzi del petrolio né l’abbandono della difesa del tasso di cambio franco svizzero euro, due fenomeni, tra i tanti ai quali abbiamo assistito nel 2014, che hanno scosso i mercati e ricordato alle masse che nessuno, neppure i potenti del mondo che ogni anno si incontrano a Davos, controllano l’economia. Tantomeno i buoni intenti professati dai partecipanti nel 2014 – come negli anni precedenti – hanno prodotti i risultati sperati: dai cambiamenti climatici fino alla lotta contro la povertà, le promesse sono state tante ed i risultati scarsissimi.

Viene spontaneo chiedersi perché questo appuntamento invernale continua a riempire le prime pagine dei giornali ed a fare notizia dal momento che prevede sempre ciò che è già successo, ma soprattutto ci si domanda cosa ci vanno a fare ancora i politici a Davos dal momento che nessuna delle loro promesse si è mai avverata? Quest’anno persino Matteo Renzi è nell’illustre lista dei premier, a quanto pare l’intento è di rassicurare con quel suo stile da giovanotto ‘so-tutto-io’ i giovani miliardari americani dell’elettronica e dell’informatica che al timone del Titanic Economia Italia non c’è più un burocrate come Mario Monti ma uno in gamba come loro. Renzi, come tutti gli altri premier a Davos, ci va per attirare capitali ed investitori in casa propria, un’impresa più che ardua ed a volte, come nel caso del Titanic Economia Italia, francamente impossibile.

Ma torniamo ai fatti. Quest’anno su richiesta del World Economic Forum un gruppo di illustri economisti, politologi, uomini d’affari e personaggi di spicco ha prodotto alcune previsioni sul 2015 secondo le quali il problema principale che il pianeta dovrà affrontare nei prossimi 12 mesi saranno i conflitti internazionali. Insomma esattamente quello che abbiamo visto nel 2014, peccato che queste previsioni arrivino con un anno di ritardo, ma almeno sappiamo che anche i grandi della terra dopo aver letto queste previsioni sapranno ciò che sta accadendo!
Naturalmente anche i cambiamenti climatici continueranno ad avere un ruolo fondamentale nelle tensioni sociali a cui dovremmo far fronte. Infine, la terza piaga del 2015, sempre secondo queste previsioni, sarà la disoccupazione, o meglio, la mancanza di nuove opportunità di occupazione, un fenomeno con il quale noi comuni mortali conviviamo da diversi anni.

La prossima settimana i grandi della terra discuteranno principalmente di questi temi, ma anche di altri come il riaccendersi dei focolai del terrorismo del fondamentalismo islamico in Europa e nel resto del mondo, della possibile uscita della Grecia dall’euro, dell’avanzata dei partiti e movimenti dell’estrema sinistra e destra in Europa e della xenofobia e islamofobia che serpeggia nel vecchio continente. Insomma c’è abbastanza per deprimersi. Meno male che a Davos ci sono tante feste e cocktail dove scambiare quattro chiacchiere con i divi di Hollywood, sempre ben accetti, per poter dimenticare tra un martini e l’altro le tragedie del mondo!

Il grande assente quest’anno sarà Mario Draghi, forse oggi l’uomo più enigmatico d’Europa. Draghi questa settimana ha ben altre gatte da pelare, giovedì prossimo la Banca centrale europea potrebbe presentare il tanto atteso programma di Quantitative Easing, tanto atteso perché è dalla fine del 2011 che il governatore della banca centrale europea rassicura i mercati che farà di tutto per salvare l’euro, ebbene finalmente è arrivato il suo mezzogiorno di fuoco.

Altri grandi assenti i greci, impegnati nella campagna elettorale che si concluderà con le elezioni del 25 gennaio, un evento che un po’ tutti attendono con il fiato sospeso.

Anche se nel programma ufficiale il futuro dell’euro non c’è, nelle riunioni a porte chiuse degli eurocrati e dei vari premier europei questo sarà il tema più dibattuto, in particolare si discuterà del deprezzamento della moneta unica europea rispetto al dollaro ed alle altre monete forti come il franco svizzero o la sterlina. La guerra dei cambi è infatti appena iniziata, ma a Davos nessuno lo ammetterà fino all’anno prossimo.

p.s.

Come da anni si sostiene questi "incontri" non servono ad altro che a fare da specchio per le allodole"..... noi

 
 
 

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