Kremuzio

Tra le tante passioni che ho e che coltivo a rotazione a causa del poco tempo libero (mi ci vorrebbe una giornata da 36 ore o imparare a non dormire) c’è quella delle radio antiche. Quelle di legno, a valvole, che ci vuole un po’ prima che si accendano. Sembra che abbiano un cuore pulsante, e che invecchino come se fossero persone. Prima si inserisce il cordone, quello ricoperto di tessuto, morbido, con la spina in bachelite, molto più bella di quelle in plastica dei nostri giorni. Già il fatto che andavano a 125 volt richiede un’attenzione particolare per non rompere il trasformatore. Si cambia tensione e si accende. Di solito si illumina una lampadina e si aspetta, poi comincia a sentirsi un ronzio dopo qualche secondo, segno che le valvole si stanno riscaldando, e poi irrompe il suono, bellissimo, caldo, possente, ben diverso dalla radioline a transistor o dai sintonizzatori collegati all’Hifi. Magari mancheranno un po’ gli acuti, ma non ne sento la mancanza. Il mobile di legno pesante a volte mostra alcuni buchini provocato dai tarli, allora bisogna star attenti ed iniettarci qualche veleno per farli fuori, se si vedono segni del loro lavoro come finissima segatura, altrimenti si riempiono di cera e si sta tranquilli. La scala parlante, illuminata, è bellissima e mostra istoriati i nomi delle emittenti del tempo che fu, e sembra, girando la manopola, che si ascoltino proprio quelle stazioni ormai morte. Il telo che nasconde l’altoparlante fermato da motivi grafici in legno, lo fa riconoscere a prima vista, con anche i nomi delle marche visibili incastonate, in ottone o altri metalli: Allocchio Bacchini, Unda Radio, Radio Balilla, Geloso, quante ce ne sono e quante atmosfere diverse: Le radio per ricchi, monumentali, in legno pregiato, con 6 valvole, e quelle per poveri, con 3 valvole, più piccole. Alcune hanno l’occhio magico, quella valvola messa sul frontale che si illumina e cambia sia la forma che l’intensità della luce a seconda della centratura della sintonia. Uno dei miei compiti nel luogo dove faccio volontariato è quello di restaurarle: le smonto, pulisco i telai ossidati, pulisco le valvole, cerco gli schemi elettrici, rifaccio le saldature, cambio i condensatori. E poi le ascolto, giro le manopole e quasi sempre rimetto i cordini della sintonia, che con un gioco di carrucole fanno muovere l’indicazione della scala parlante. E lì son dolori. Ci vogliono almeno 4 ore per capire come sono collegati, le mollette che li tengono in tiro, i giri assurdi che compiono eccetera. Ma poi è una soddisfazione enorme aver dato nuova vita ad una tale meraviglia che verrà messa in vendita nel mercatino. Quando metto un filo in uno dei 2 o 3 buchi dell’antenna ed esplode il suono, mi emoziono. Mi piacerebbe tenerle, spolverarle e lucidarle, accenderle, osservare le valvole che si illuminano con i loro colori che sembrano quasi come se la vita entri in loro, dandole calore e voce, con il pulsare dell’occhio magico che mi scruta ed indica il fluire delle onde radio, acchiappate dal nulla e trasformate in piacere.