Kremuzio

Mi sono sempre reputato una persona fredda, glaciale, di fronte a vicissitudini che avrebbero dovuto lasciarmi commuovere, o almeno inumidirmi gli occhi con un discreto velo di appannamento. Ma sarà che sono invecchiato e che non riesco più a convogliare la determinazione nell’andare oltre, il pratico realismo del “non posso farci niente se non combattere”, che ogni tanto mi ritrovo a pensare a momenti passati che mi videro imperturbabile, ma che oggi mi turbano.

Momenti intimi di semplice e sostenibile leggerezza, dove non devi cogitare ma agire inconsapevolmente senza cervello, senza pensare che quell’azione debba essere studiata, prima di essere, con semplici movimenti, messa in pratica. Sarà per questo che stanotte non sono riuscito a dormire, come se qualche fantasma degli anni passati venisse a trovarmi per farmi ricordare come a volte sono stato.

I ricordi non sono tanti, almeno per quel che mi torna in mente e mi sembrano tristi, oggi, ed ero un ragazzo.

Come quella volta con mia nonna, quella cieca da sempre che stava in ospizio, nel suo ultimo letto, e le diedi la mano per una lunga ora fino a quando non si addormentò. Senza dire una parola ce ne stemmo così. La notte dopo ci lasciava, e mi rimane impressa la sua mano fresca, delicata con poche forze.

O quella volta che salutai per l’ultima volta mio padre, il giorno prima che venisse operato ed entrasse in coma. Lo baciai ed abbracciai, e sento ancora la sua barba ispida di pochi giorni sulle mie guance, e percependo la sua preoccupazione scherzai un po’ dandogli l’appuntamento a quando si sarebbe risvegliato. Cosa che non accadde.

Ma anche quell’altro momento di tenerezza assoluta che mi è caro per quanto completamente a sorpresa e piacevole. Trenta e più anni fa, d’estate, andai a trovare la mia ragazza che stava svolgendo un servizio di assistenza in una colonia marina a Riccione. Stetti qualche giorno in una pensioncina economica e durante i pomeriggi stavo in mezzo a stuoli di bambine, abbandonate al loro destino dagli inservienti sottopagati, che le costringevano, quando non era bel tempo, a stare al chiuso. Davano loro fogli di carta e pennarelli e poi le seguivano quel poco necessario per farle stare buone. Io mi mettevo in mezzo a loro e facevo disegni che poi coloravano. Disegnare era sempre stata una mia passione, ed in quei tempi mi guadagnavo qualcosa pubblicando vignette e barzellette su di una rivista. I pupazzetti avevano un certo successo e ci divertivamo. Capitai per caso il giorno in cui i genitori venivano a prendere i figli che salutavano con poca grazia coloro che li avevano controllati e seguiti. Ad un certo punto, una bambina fece una corsa verso di me che stavo in disparte, mi gettò le braccia al collo, mi strinse forte e mi diede un bacio sulla guancia. Ogni volta che ci ripenso mi vengono i lucciconi. Come quando mi metto a ricordare i giochi con il mio fratellino gatto che prendevo in braccio e mi faceva le fusa.

Sto invecchiando. Anche quando vedo storie tristi nei film, ora non ne rido più intimamente, ma non me le vado a cercare. Solo penso che potrebbero essere storie vere, con gente che soffre. Meglio vedere assurde pellicole di horror e fantascienza, dove sai dal principio che è tutto finto, e che basta che fai un piccolo passo indietro per vedere o immaginare gli effetti speciali e la nullità della realtà che vi è raffigurata. Ma ho ancora la scorza del duro da mostrare e sbandierare ogni giorno. Solo che sarebbe meglio che mi metta gli occhiali scuri per evitare che mi scoprano con gli occhi lucidi di tanto in tanto. Uffa!