Kremuzio

Sono contento che le fettuccine di mia nonna siano diventate patrimonio dell’umanità. Quelle di mia madre non lo diventeranno: ci mette troppo burro nel ragù. Al massimo come dieta baltica avrebbe qualche chance. Ma tutti quegli ingredienti speciali e semplici che la mia ava metteva in quelle fettuccine, me li ricordo ancora. Tra le regaglie, come venivano chiamati tutti quei pezzettini di interiora di pollo, polmone, cuore e fegatello, pomodoro passato poco prima con quella macchinetta a mano scomodissima da mettere sulle ginocchia sopra uno straccio, o sul tavolo sopra di una concolina. Gira gira le coccette del sanmarzano si incastravano sotto lo spiaccicatore ed i semetti pure… Ottimo olio d’oliva e basilico in foglioline, et voilà.

Nel coccio il sugo bolliva per ore, lentamente. Ci metteva pure qualche cosa che non so. Ed una volta nel piatto, sopra quelle striscioline di pasta all’uovo tagliata in casa, erano divine.

Dieta mediterranea, quanti delitti si compiono in tuo nome…

Poi sulla pizza ci mettono marmellate senape e mostarda e te la spacciano come leccornia italiota e come tale fa pena. Le mozzarelle poverelle diventano blu, ma mica dicono niente del resto della cucina. Basta miscelare olio pomodoro grano e basilico. Che se uno è celiaco sono dolori, in tutti i sensi.

Ma chi è che decide, nel comitato intergovernativo della convenzione sul patrimonio immateriale dell’Unesco, quali siano i patrimoni dell’umanità da portare agli onori della gloria planetaria? Avrei un po’ di consigli da dare. Tanto per cominciare quello di cambiare definizione, che il patrimonio immateriale mi sa tanto di fittizio, poi una volta capito il significato, enuncio alcuni suggerimenti. Ad esempio, per non far torto a mia madre che sennò la volta prossima che vado a mangiare da lei dice che sta a dieta, consiglierei un ottimo abbacchio al forno con le patate. Non so cosa ci metta dentro oltre al povero animaletto espiatorio ed alle patate, tra rosmarino e che ne so, e non lo voglio sapere, tanto non lo rifarò mai, ma è buono davvero. Ok che non lo digerisco subito, anzi neanche dopo un po’, però mi aiuta a sognare numeri da giocare al lotto se lo mangio a cena, ed ogni tanto ho anche vinto.

Mio cognato lo posso prenotare per un premio con la sua pasta con le cozze e peperoncino. Mio zio per i peperoni verdi in padella e mia sorella per il pane. Io ho voluto seguire le sue gesta, ma la mia mentalità da sperimentatore mi spinge sempre oltre, provando farine da non crederci, ed a volte anche la polvere di marmo raschiata dalla basilica vicino casa. A volte mi capita un buon sapore, altre volte invece è così amaro per colpa di farine americane del sud, di semi non troppo mediterranei e di altre specie antiche, roba da antichi romani, ma quelli erano sempre incazzati e non voglio fare la loro fine.

Se dovessi consigliare qualcosa a quelli dell’Unesco, potrei autocitarmi per un tipo di schiacciata rovescia a pingpong, o per le frasi a casaccio che metto sul blog senza pensarci. Però sono un buon esercizio per iniziare la giornata lavorativa con la mente sgombra, un po’ come se fosse un esercizio mentale pneumatico antidepressivo. Per il momento ho avuto la concorrenza dell’opera dei pupi siciliana e del canto a tenore sardo. Del primo conosco le spadate di Orlando e dei mori diabolici, ma penso sempre a Pulcinella e le bastonate nel teatrino sul Gianicolo. Del secondo immagino i bimbaaaaaaa bimbaaaaaaaa rauchi con una mano sull’orecchio e la coppola sghemba.

Preferisco il pecorino.