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da aprile del 2006 a marzo 2007 ho avuto la possibilità di lavorare con un'associazione dominicana, Oné Respe, che opera nelle baraccopoli di Santiago e di Haina in Repubblica Dominicana. Durante questo periodo ho scritto su questo blog ciò che vedevo e osservavo, qui trovi i post più rilevanti in ordine cronologico.
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visita ad haiti

Post n°320 pubblicato il 08 Agosto 2006 da kudablog
 

proprio oggi, nel giorno in cui un italiano è stato ucciso ad haiti e la moglie è stata rapita per estorsione, voglio raccontarvi della mia visita estemporanea all'altra metà dell'isola...

un paio di settimane fa, approfittando di un week-end disponibile tra la preparazione di un campo estivo ed il suo inizio sono andato, con la scusa di accompagnare un gruppo di amici italiani che si sono fermati a lavorare con Onè Respe tre settimane, a Dajabon e ad Haiti.

L'esperienza del mercato di Dajabon è una di quelle cose che non si possono descrivere nè raccontare perchè nei resoconti mancano il contatto fisico, gli odori, il caldo, l'umidità e i rumori di quello che è il meggior punto di scambio commerciale tra le repubbliche haitiana e dominicana. Da ogni parte dell'isola venditori e compratori si danno appuntamento due volte alla settimana per scambiare i beni presenti nelle due nazioni. Ed è una grande bolgia di gente, prodotti, odori e colori.

I dominicani vendono soprattutto prodotti alimentari, frutta, verdura, prodotti elaborati e riso. Mentre gli haitiani rivendono gli aiuti umanitari che vengono spediti, soprattutto dagli USA, e non consumati, in parte perchè non adatti (come i sacchi di pasta, che è un cibo non presente nella tradizione haitiana) e in parte perchè non necessari (come le scarpe e i vestiti di marca, inutili in un paese dove manca da mangiare).
Le scene che si vedono non sono certo piacevoli. Personaggi ambigui ed armati sorvegliano la frontiera fermando a piacimento questo o queli venditori e chiedendo spesso un contributo economico per lasciarlo passare. Persone che vengono a Dajabon per comprare beni come ceppi di legno da bruciare o blocchi di ghiaccio (ad Haiti sono stati abbattuti quasi tutti gli alberi e praticamente non c'è la corrente elettrica). Uomini che trasportano carichi pesantissimi o donne che portano in equilibrio sulla testa 200-300 uova.

E poi c'è il ponte, la dogana, l'unico collegamento ufficiale tra i due stati per molti chilometri. Un ponte su un fiume bassissimo, poche spanne d'acqua, ma che divide i due stati. E quella dogana, presidiata dalla parte haitina dai caschi blu dell'ONU (ad Haiti da quando c'è stato il colpo di stato nel 2004), che sembrava per noi invalicabile, ma che grazie alla collaborazione dell'associazione Solidaridad Fronteriza abbiamo potuto varcare per poche ore. Quella dogana a cui si affianca un'altra dogana, illegale, lungo le rive del fiume, dove passano quei prodotti che non potrebbero entrare in Repubblica Dominicana, ma che (vedi foto) trovano facile accesso anche grazie alla collaborazione retribuita dei presunti controllori

Nel grande piazzale oltre il ponte si raggruppano tutti i cammion che porteranno le persone e le merci per tutta haiti, compiendo viaggi anche di 15-20 ore in situazioni incredibili. Montiamo tutti (20m persone) su un pick-up che ci accompagna nel centro di Wanament e visiatiamo il mercato haitiano.

Qui le merci non sono tanto abbondanti e ciò che mi colpisce di più sono i banchi vuoti su cui si trovano spauriti prodotti, per lo più alimentari. Il mercato confina con una discarica dove vengono gettati tutti i rifiuti prodotti dalla zona. Il centro di Wanament non ha strada asfaltata, la polvere è tantissima e i cammion che ci passano accanto rendono difficile la respirazione. Sembra d'aver cambiato continente, le palme dominicane non ci sono più, ci sono però siepi di cactus. Le persone sono scurissime e parlano in creolo (una lingua nata dal francese e da moltissime lingue africane parlate dai primi abitanti di haiti), e sono abbastanza ostili verso i dominicani che ci accompagnano (cercano di rendere giustizia al modo in cui gli haitiani vengono trattati oltre fontiera), alcuni ironizzano sui documenti che servono per varcare il confine.
Dobbiamo fare in fretta, dopo le 4 del pomeriggio infatti la frontiera viene chiusa e si potrà varcarla solo il prossimo lunedì. Non vogliamo correre il rischio, ripassiamo la frontiera, l'esercito dominicano si sta accertando che nessun dominicano rimanga nel proprio territori. Un uomo armato ferma il nostro accompagnatore, probabilmente per chiedere un contributo volontario per il nostro rientro, ma non ci facciamo bloccare.

Siamo di nuovo a Dajabon e quello che ci sembrava qualcosa di incredibile ci appare quasi normale dopo aver toccato per qualche minuto la vera, profonda e cronica povertà di Haiti.

 
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