Creato da ninolutec il 19/03/2011
Libera Università della Terza Età Carbonia (CI) - Notizie associative e varia umanità - Un contenitore culturale di iniziative, laboratori, incontri sulla letteratura, la narrativa, la poesia, il cinema, la storia,.
 

 

BLOG CHIUSO DEFINITIVAMENTE

Post n°175 pubblicato il 11 Maggio 2012 da ninolutec

Ho comunicato al presidente le mie dimissioni da componente del Consiglio Direttivo e la mia indisponibilità a essere presente nella programmazione annuale. Grazie a tutti voi per la immeritata attenzione che mi avete riservato fino ad oggi.

 
 
 

NONNI SU INTERNET

Post n°174 pubblicato il 24 Aprile 2012 da ninolutec

 

NONNI S

 

 

ATTENZIONE!!!!


"Nonni su Internet"  è un corso di alfabetizzazione informatica, della durata di 30 ore, per nonni.
Nonni è un termine generico che serve a indicare, in modo affettuoso, le persone adulte, sia maschi che femmine, che hanno generalmente più di sessant’anni, e quasi sempre hanno figli e nipoti. Perciò, in questo caso la parola “nonni” indica tutte le persone adulte.
Alfabetizzazione digitale vuol dire “nozioni e concetti di base” nel campo dell’informatica, cioè dell’uso del computer (quindi è come se fosse l’alfabeto per usare il computer). Si vuole infatti insegnare ai nonni innanzitutto le competenze di base per:

  • Usare un programma di videoscrittura (ad es.WORD)
  • Usare la posta elettronica
  • Usare Internet
  • Scaricare e elaborare foto digitali (a es con PICTURE MANAGER)
  • Scrivere presentazioni (ad es. con POWER POINT
  • parlare con SKYPE

    E fare tante altre attività interessanti e divertenti. Oggi saper usare un computer e alcuni programmi fondamentali è importante:

 ·       Per partecipare realmente alla vita sociale della comunità (quartiere, città, nazione, mondo)

·       Per comunicare di più e meglio con tutti

·       Per utilizzare servizi importanti on line (cioè attraverso la rete Internet) risparmiando tempo, fatica e denaro

Ecco infatti un (piccolo) elenco di cose che si possono fare se si sa usare almeno un po’ il computer (vi renderete presto conto che in realtà ne sono molte di più):

·       Scrivere documenti (lettere all’amministratore del condominio, domande per ottenere servizi dal Comune ecc.) in modo veloce e
graficamente gradevole, senza dover riscrivere tutto da capo nel caso di modifiche o correzioni (come invece avveniva prima, con le vecchie macchine da scrivere

·       Scrivere documenti (lettere all’amministratore del condominio, domande per ottenere servizi dal Comune ecc.) in modo veloce e
graficamente gradevole, senza dover riscrivere tutto da capo nel caso di modifiche o correzioni (come invece avveniva prima, con le vecchie macchine da scrivere

·       Scrivere documenti (lettere all’amministratore del condominio, domande per ottenere servizi dal Comune ecc.) in modo veloce e
graficamente gradevole, senza dover riscrivere tutto da capo nel caso di modifiche o correzioni (come invece avveniva prima, con le vecchie macchine da scrivere

·       Scrivere biglietti di auguri originali e personalizzati (con disegni, immagini, fumetti colorati) per compleanni, festività varie o anchesolo per fare una sorpresa al nipotino

·       Scaricare le vostre foto digitali e… modificarle (ad esempio per togliere il rosso dagli occhi)

·       scrivere lettere elettroniche che arrivano a destinazione in pochissimo tempo (che si chiamano e-mail) ad amici e parenti
vicini e lontani, anche aldilà dell’oceano, inviando in allegato foto, immagini e altri documenti

·       fare ricerche sulla rete Internet su tutte le cose che vi interessano:
ricette di cucina, viaggi, libri, musica, sport ecc.

·       parlare con il sistema voip, usando il pc come un videotelefono

·       utilizzare Internet per fare cose che prima potevate fare solo uscendo da casa - pagare le bollette      

  • acquistare cose (dal libro alla spesa quotidiana, al biblietto per un volo),
  • prenotare visite mediche
  • trovare informazioni sui servizi del Comune o di altri
    uffici pubblici, ecc. - evitando quindi file faticose e risparmiando
    tempo e denaro per…fare cose più divertent
  • Spedire raccomandate
  • Aprire una casella di posta certificata
  • Accedere a una banca online ed effettuarvi operazioni
  • Calcolare una distanza o effettuare una ricerca con Google maps
  • Utilizzare il traduttore automatico multilingue e ascoltare la pronuncia

 SONO APERTE LE ISCRIZIONI - RIVOLGERSI A NINO DEJOSSO CLICCANDO QUI

Saper usare il

computer è,

quindi,

un mezzo per

migliorare la

qualità della

propria vita.

 

 
 
 

Centro Regionale Sardo a Parigi

Post n°173 pubblicato il 17 Aprile 2012 da ninolutec
 

Abbiamo stretto rapporti di collaborazione, finalizzati allo scambio culturale, con la "CASA della Sardegna-Paris". Si prospettano interessanti sviluppi e, nel frattempo, l'home page del nostro blog è stata oggi  inserita nel blog del Centro Francese.

Da sinistra: Giusy Porru Morand, Presidente di "Casa Sardegna" a Parigi, l'autrice dell'intervista Carla Cristofoli e la scrittrice Maria Giacobbe.

Giusy Porru Morand è originaria di Villanovafranca.
Ha un sito:
www.casasardegna.canalblog.com
Giusy Porru Morand è  Presidente dell'associazione culturale "CASA della Sardegna-Paris" che lavora con l'obbiettivo di far nascere un "Centro Regionale Sardo" a Parigi.

Risiedo a Parigi e in Francia da circa 25 anni,  ho lavorato in diverse associazioni culturali locali, dove è nata l’idea di far conoscere e promuovere la Sardegna in tutti i settori.

 Ho avuto la conferma in molte occasioni, che i progetti portati avanti dai circoli e varie associazioni, non corrispondano e non stimolino abbastanza le reali esigenze dell’attuale popolazione sarda a Parigi. Sono convinta che la rete di contatti tra tutte le Associazioni regionali ed istituzioni locali francesi e italiane, permetterebbero oggi di aprire le porte della Sardegna a chi non la conosce, di creare scambi tra regioni italiane all’estero e di semplificare ed agevolare l’organizzazione di iniziative, quali fieri e esposizioni e partenariati.

Ancora oggi, nonostante la ricchezza e l’ospitalità della nostra terra, malgrado l’espansione e la notorietà dell’espressione artistica della nostra regione, la Sardegna continua ad essere poco conosciuta, se non mal conosciuta in Francia.

In effetti, a parte gli sforzi  fatti a livello regionale per promuoverla la disponibilità di informazioni sulla Sardegna è molto ridotta sopratutto in Francia: opuscoletti, orari aerei, proposte di soggiorni “sole e mare” e poc’altro.

Eppure ho avuto occasione di incontrare molte  persone desiderose di avere informazioni in tutti i settori, come ci sono tanti giovani residenti in Sardegna che dopo una laurea o un diploma, hanno bisogno ancora di un sostegno per stabilirsi in Francia, per lavoro, per la ricerca di uno “stage” o semplicemente per l’alloggio.

La mia proposata di aprire una casa Regionale è centrata sull’obbiettivo di favorire ogni tipo di scambio tra la nostra Regione e la Francia..Un ufficio centrale per rappresentare non solo la bellezza dei luoghi ma anche altri aspetti dell’isola, come la storia, il patrimonio artistico e culturale, nonché il nostro savoir-faire artigianale. Sono convinta che sia arrivato il momento di proporre anche un’altra forma di turismo tramite incontri con gli abitanti e la loro cultura, la loro storia con la vita quotidiana nelle loro tradizioni e in tutte le stagioni.

In questo centro permanente sardo si potrebbero svolgere, in tutto l’arco dell’anno, le manifestazioni culturali e mostre nei seguenti settori:

Arte

- Pittura: esposizione e vendita delle opere i pittori sardi contemporanei

- Scultura: esposizione e vendita delle opere di scultori sardi

- Letteratura: incontri con scrittori sardi contemporanei e presentazione dei nuovi libri e delle eventuali traduzioni in francese; allestimento di una biblioteca aggiornata di libri, dizionari, giornali; allestimento di una videoteca.

- Musica: organizzazione di concerti di artisti sardi; presentazione e vendita di dischi, Cd, etc.

- Informazione & Cultura: proiezioni di film e documentari sull’isola seguiti da conferenze e dibattiti sulla lingua sarda.

Si potrebbe infine rispondere alle tante richieste di lezioni di lingua italiana e sarda dalle ultime generazioni di sardi nati in Francia che desiderano scoprire la lingua e le loro radici.

Turismo

 - Turismo: con l’appoggio delle industrie turistiche sarde e il materiale pubblicitario si troverebbero le risposte alle numerose domande riguardanti un soggiorno nell’isola non solo nel periodo estivo, e proporre dei viaggi a tema per gruppi di giovani o anziani, per i comitati d’impresa o per professionisti di qualsiasi settore (ex: visita di produzioni vinicole, cantine sociali di prodotti tipici).

 - Viaggi d’istruzione: promozione e organizzazione di viaggi studio per classi che visiteranno le località note per l’artigianato, siti di interesse storico…

 Organizzazione di incontri con la storia e le storie dei sardi d’oggi, dai paesi dell’entroterra ai più noti villaggi turistici.

 Artigianato

 - Mostre: allestimento di una mostra permanente e dinamica (aggiornata periodicamente) dell’artigianato sardo. Questa mostra costituirebbe l’arredamento della sede del Centro regionale sardo di Parigi, mettendo in evidenza la ricchezza e la varietà della nostra tradizione, seguendo un itinerario geografico e temporale.

 - Punto vendita: presentazione e vendita di prodotti sardi come vini, dolci e formaggi, o mobilio, arazzi, ceramiche, ricami, sculture...

Sono certa che l’inaugurazione del Centro regionale sardo di Parigi riscontrerebbe un grande successo, e che avrebbe anche a breve termine un riscontro economico non indifferente. Come lo ha già sottolineato il Presidente della Camera di Commercio italiana a Parigi: “E’ necessario creare forme di promozione, di produzione e vendita di prodotti regionali con un’istallazione fissa nelle città più significative perché non sarà il grosso importatore a voler fare da balia al piccolo prodotto di qualità: è questa la pista che noi perseguiamo alla Camera di Commercio a Parigi”.

 

Riassumendo, la creazione del Centro regionale sardo a Parigi, consentirebbe di realizzare gli obbiettivi seguenti:

 1) Dare la possibilità alla Sardegna di partecipare a fiere e esposizioni, di essere presente a tutte le manifestazioni locali come i forum organizzati dai comuni a Parigi e nella regione parigina, dove sono presenti centinaia di associazioni e si incontrano migliaia di persone di varie origini e cultura.

 2) Facilitare gli scambi tra i due Paesi in qualsiasi settore.

 3) Garantire la presenza di un centro di informazioni generali e dati di ricerca per i sardi, per la Sardegna, per i troppi disoccupati, per un sostegno pratico ai tanti giovani che ancora emigrano,.

4) Per promuovere e proteggere questa nostra isola che noi amiamo e che desideriamo mettere in primo piano con tutte le sue ricchezze.

Giusy Porru

 
 
 

MA QUANTO CI SENTIAMO VECCHI?

Post n°172 pubblicato il 15 Aprile 2012 da ninolutec

2012 Anno Europeo dell’Invecchiamento Attivo e della Solidarietà tra Generazioni

 

Il 2012 sarà l'Anno Europeo dell'Invecchiamento Attivo e della Solidarietà tra Generazioni: un'occasione per tutti noi per riflettere su come oggi gli europei vivono e restano in salute più a lungo, nonchè per cogliere le opportunità che ne derivano.
L'invecchiamento attivo può dare alla generazione del "baby-boom" e agli anziani di domani la possibilità di:
-restare occupati e condividere la loro esperienza lavorativa
-continuare a svolgere un ruolo attivo nella società
- vivere nel modo più sano e gratificante possibile.
Serve anche a mantenere la solidarietà tra le generazioni in società che registrano un rapido aumento del numero delle persone anziane.
La sfida per i responsabili politici e tutte le parti interessate è migliorare le possibilità di invecchiare restando attivi e di condurre una vita autonoma, intervenendo in settori tanto diversi quanto il lavoro, l'assistenza sanitaria, i servizi sociali, l'istruzione per gli adulti, il volontariato, gli alloggi, i servizi informativi o i trasporti.
L'Anno europeo mira a sensibilizzare a questi temi e al modo migliore per affrontarli. Ma innanzitutto cerca di incoraggiare tutti i responsabili politici e i soggetti interessati a fissare degli obiettivi e realizzarli. Il 2012 vuole andare aldilà dei dibattiti e produrre risultati concreti.

 

Perché un Anno europeo dell'invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni?

Perché troppo spesso l’invecchiamento viene percepito come una minaccia invece che come una conquista, sia dai singoli individui che dalla società.
Il numero crescente di persone anziane viene visto come un onere a carico dei più giovani e dei lavoratori. Eppure al giorno d’oggi si invecchia restando molto più in salute rispetto al passato. E le persone più in là con gli anni hanno accumulato competenze ed esperienze preziose che possono trasmettere ai giovani.
Restare attivi col passare degli anni è importante per invecchiare bene.

Quali sono gli obiettivi dell’Anno europeo 2012?

 

La nostra intera società è costretta a adattarsi alle esigenze della sua popolazione che invecchia, ma dovrà anche affrontare le nuove sfide per altre fasce d'età in modo che tutte le generazioni saranno in grado di continuare a sostenersi e vivere insieme in pace.
Questo significa che dovremo riesaminare insieme le nostre politiche e pratiche in materia di urbanistica, sviluppo rurale, trasporti pubblici, accesso all'assistenza sanitaria, famiglia, istruzione e formazione, protezione sociale, occupazione, partecipazione civica, tempo libero, ecc
Il cambiamento demografico deve essere visto come un'opportunità, che può portare soluzioni innovative a molte sfide attuali economiche e sociali, ma ciò richiederà una nuova valutazione e la rielaborazione di alcune politiche economiche e sociali all'interno della società.
Dare la possibilità e gli strumenti alle persone anziane per invecchiare in buona salute e per contribuire più attivamente al mercato del lavoro e alle loro comunità ci aiuterà a far fronte alla nostra sfida demografica in un modo che sia equo e sostenibile per tutte le generazioni. Coinvolgere i giovani nelle fasi iniziali è necessario per ottenere l'ispirazione reciproca e di aumentare la consapevolezza dell'interdipendenza tra le generazioni, ad esempio, in termini di sistemi pensionistici.
Obiettivi
L'obiettivo generale dell'Anno europeo consiste nell'agevolare la creazione di una cultura dell'invecchiamento attivo in Europa, basata su una società per tutte le età.
In tale contesto, l'Anno europeo incoraggia e sostiene l'impegno degli Stati membri, delle loro autorità regionali e locali, delle parti sociali, della società civile e del mondo imprenditoriale, comprese le piccole e medie imprese, a promuovere l'invecchiamento attivo e ad adoperarsi maggiormente per mobilitare il potenziale degli ultracinquantenni, che costituiscono una parte della popolazione in continuo e rapido aumento. In tal modo, esso promuove la solidarietà e la cooperazione tra le generazioni, tenendo conto della diversità e della parità di genere.

Cosa s’intende per "invecchiamento attivo"?

L'invecchiamento attivo è definito dalla Organizzazione Mondiale della Sanità come il processo di ottimizzazione di opportunità per la salute, per la partecipazione e per la sicurezza al fine di migliorare la qualità della vita mentre le persone invecchiano. Esso permette alle persone di realizzare il loro potenziale per stare bene in tutta la loro vita e di partecipare alla società secondo i loro bisogni, desideri e capacità, fornendo loro una adeguata protezione, sicurezza e cura quando hanno bisogno di assistenza.

Essa implica l'ottimizzazione di opportunità per la salute fisica, sociale e mentale per consentire agli anziani di svolgere un ruolo attivo nella società, senza discriminazione e di godere di una vita di qualita e indipendente. D'altra parte, la creazione di una societa intergenerazionale ha bisogno della consapevolezza di tutti riguardo a quello che si puo fare per avere una società per tutte le eta, di adattamenti urgenti nelle politiche per la famiglia e di soluzioni innovative per le nuove carriere lavorative.
Invecchiamento attivo significa:
 -dare alle persone piu anziane la possibilita di partecipare pienamente alla vita della società
-promuovere opportunita di lavoro per le persone piu in la con gli anni
-consentire alle persone anziane di dare un valido contributo con il volontariato (specie in ambito familiare)
-permettere alle persone della terza eta di vivere in modo autonomo grazie a strutture che tengano conto delle loro esigenze (alloggi, infrastrutture, sistemi informatici e trasporti).

Quali sono gli obiettivi dell’Anno europeo 2012?

La nostra intera società è costretta a adattarsi alle esigenze della sua popolazione che invecchia, ma dovrà anche affrontare le nuove sfide per altre fasce d'età in modo che tutte le generazioni saranno in grado di continuare a sostenersi e vivere insieme in pace.
Questo significa che dovremo riesaminare insieme le nostre politiche e pratiche in materia di urbanistica, sviluppo rurale, trasporti pubblici, accesso all'assistenza sanitaria, famiglia, istruzione e formazione, protezione sociale, occupazione, partecipazione civica, tempo libero, ecc
Il cambiamento demografico deve essere visto come un'opportunità, che può portare soluzioni innovative a molte sfide attuali economiche e sociali, ma ciò richiederà una nuova valutazione e la rielaborazione di alcune politiche economiche e sociali all'interno della società.
Dare la possibilità e gli strumenti alle persone anziane per invecchiare in buona salute e per contribuire più attivamente al mercato del lavoro e alle loro comunità ci aiuterà a far fronte alla nostra sfida demografica in un modo che sia equo e sostenibile per tutte le generazioni. Coinvolgere i giovani nelle fasi iniziali è necessario per ottenere l'ispirazione reciproca e di aumentare la consapevolezza dell'interdipendenza tra le generazioni, ad esempio, in termini di sistemi pensionistici.
Obiettivi
L'obiettivo generale dell'Anno europeo consiste nell'agevolare la creazione di una cultura dell'invecchiamento attivo in Europa, basata su una società per tutte le età.
In tale contesto, l'Anno europeo incoraggia e sostiene l'impegno degli Stati membri, delle loro autorità regionali e locali, delle parti sociali, della società civile e del mondo imprenditoriale, comprese le piccole e medie imprese, a promuovere l'invecchiamento attivo e ad adoperarsi maggiormente per mobilitare il potenziale degli ultracinquantenni, che costituiscono una parte della popolazione in continuo e rapido aumento. In tal modo, esso promuove la solidarietà e la cooperazione tra le generazioni, tenendo conto della diversità e della parità di genere.

 
 
 

LUTEC - Corso per la creazione, pubblicazione e gestione di un blog

Post n°170 pubblicato il 01 Aprile 2012 da ninolutec
 

   

ANNO SOCIALE 2012-2013

Sono aperte le iscrizioni a
"Social Network",
corso per la creazione,
pubblicazione e gestione
di un blog.
RIVOLGERSI A NINO

 

 
 
 

La pubblicità: luci e ombre nel sistema dei media (Ultima parte)

Post n°169 pubblicato il 30 Marzo 2012 da ninolutec
 

Conclusioni

La pubblicità è una forma di comunicazione utile, se non indispensabile, alle imprese. Ma, per il suo linguaggio particolare e per la sua smisurata dimensione quantitativa, «si rivela nel mondo contemporaneo forza pervasiva e potente che influisce sulla mentalità e il comportamento» come avverte con chiarezza il documento “Etica nella pubblicità”.

Considerata rispetto a tutti gli interessi che coinvolge, è stato possibile cogliere una serie di pericoli, alcuni molto gravi, che essa presenta per i singoli e per la collettività.

.

Tali pericoli, in parte legati dalla sua stessa natura, e quindi inevitabili, in parte connessi ad un uso non corretto delle sue tecniche, chiamano in causa sia la forte carica persuasiva dei singoli messaggi e le modalità con le quali essi vengono diffusi, sia la pubblicità nel suo insieme. Si può dire che, in larga misura, essa si traduce in una incessante spinta ai consumi, spesso superflui, su basi emotive e non razionali; in una non infrequente ingannevolezza; in una continua e sottile sedimentazione di valori estranei ai prodotti; nella proposta di sogni irrealizzabili e, quindi, di frustrazioni; nonché di

modelli di comportamento e di vita discutibili e in una continua deformazione della realtà che condiziona negativamente anche la formazione dell’opinione pubblica.

Ma, probabilmente, sono due gli effetti più gravi che la pubblicità può determinare o concorrere a determinare: il disorientamento dei minori e l’influenza esercitata sull’orientamento dei media, che

spinge alla ricerca ossessiva della quantità, compromettendo seriamentene la qualità

dell’informazione e dello spettacoloe, più in generale le loro potenzialità positive come strumenti di conoscenza, di dialogo, di intrattenimento.

Nasce da queste considerazioni l’esigenza di un insieme di risposte in grado di condurre ad una nuova cultura della pubblicità, fondata essenzialmente sulla sua conoscenza come fenomeno complesso, che chiama in causa certamente il mondo professionale - le imprese, i pubblicitari, le loro organizzazioni rappresentative - e l’autorità pubblica, ma anche il mondo educativo, la Chiesa e ciascuno di noi, come consumatore, educatore, cittadino. Da solo, l’impegno educativo, per quanto fondamentale e prioritario, non può essere ritenuto da solo sufficiente. La pervasività della pubblicità, la sua capacità suggestiva, grazie anche al potere di richiamo – talvolta irresistibile - dei media che ne veicolano i messaggi e spesso li impongono, possono diventare fonti di pressione e di oppressione che l’educazione, lasciata a se stessa, non è in grado di contrastare appieno.

Per questo tutte le risposte che sono state indicate non devono considerarsi alternative, bensì largamente interdipendenti. Nessuna di esse è in grado di ovviare, da sola, ai possibili effetti negativi della pubblicità. Insieme, viceversa, esse potrebbero armonizzarsi nell’intento di promuovere una vera e propria cultura della pubblicità, lontana da ogni demonizzazione e fondata invece su una conoscenza approfondita del fenomeno, in grado di coglierne i benefici, ma anche tutte le degenerazioni e di condurre alla individuazione di opportuni interventi correttivi. Una cultura capace, tra l’altro, di favorire il superamento di assurde chiusure corporative e di rafforzare la convinzione che l’interesse economico può conciliarsi con la promozione di una migliore qualità complessiva della vita.

Ciò appare tanto più necessario tenendo presente l’impatto della pubblicità sui minori, soprattutto per quanto riguarda i media meno selettivi, in particolare la televisione e le affissioni. Basterà osservare, al riguardo, che la mancanza di autocontrollo del mondo pubblicitario e gli scarsi controlli dello Stato in tale ambito non possono che rendere assai più ardui e comunque meno efficaci gli interventi di natura educativa, avendo ben presenti l’inevitabilità dell’esposizione ai messaggi e la forza suggestiva delle immagini.

Le stesse imprese, che oggi tendono a considerare fondamentale nella loro presenza sul mercato il concetto di “qualità totale”, non dovrebbero trascurare la “qualità etica” della pubblicità, per i suoi riflessi sui rapporti che le legano ai consumatori e all’ambiente in cui operano. E se intendono consolidare la legittimazione sociale, oltre che giuridica, della pubblicità, sono chiamate anche ad una seria autocritica che può portare non solo ad un loro migliore rapporto con i consumatori, ma anche ad una migliore armonizzazione delle imprese col loro ambiente. Nella relazione all’assemblea annuale dell’UPA del 1992, il Presidente dell’Associazione Giulio Malgara affermava chiaramente in proposito: «Dopo sei anni dal Congresso Nazionale della pubblicità organizzato a Roma dall’UPA con tutte le componenti principali della pubblicità, sento il bisogno di dire, con la stessa solennità e alle stesse componenti del mondo della comunicazione, che oggi si impone a tutti un comportamento eticamente corretto, improntato a quella trasparenza e a quel

rigore per i quali ci siamo battuti per molti anni e che oggi vanno perseguiti più che mai. La

legittimità politica, economica e sociale della pubblicità così potentemente affermate e largamente riconosciute in quel Congresso ormai lontano, hanno come presupposto primo quella eticità di comportamento, che è anche alla base della professionalità del nostro ruolo, della nostra pretesa di ottenere leggi idonee e giuste, della nostra forza per ottenere un’autonomia e un riconoscimento sempre più larghi». A queste parole non si può dire, a distanza di quindici anni, che siano seguiti fatti significativi. Quanto al finanziamento dei media abbiamo visto a quali effetti perversi può condurre. La pubblicità, del resto, non nasce e non viene promossa per finanziare i media: il finanziamento è una

conseguenza dello scambio che avviene tra inserzionisti e gestori dei media.

L’educazione non deve sminuire il valore positivo della pubblicità nell’economia moderna, ma non può ignorare le sue trappole e la grande ragnatela ideologica che i suoi messaggi costruiscono incessantemente giorno per giorno; e deve quindi aiutare i giovani a individuarne le finalità, gli artifici, i pericoli, senza che ciò suoni condanna per una forma di comunicazione che, se rettamente concepita, realizzata e diffusa, può giovare al progresso delle imprese e anche a quello della collettività. Ma è partendo dall’educazione che può nascere una cultura complessiva della pubblicità in grado di

coinvolgere imprese, mondo professionale, mezzi di comunicazione, istituzioni.

E’ una conclusione impegnativa, che tuttavia risponde al quadro che ho cercato di tracciare, non so con quanta efficacia. Si tratta, in definitiva, di conferire alla pubblicità un carattere meno conflittuale con gli interessi generali, di avere quindi, come riferimento ultimo, il bene comune.

 
 
 

La pubblicità: luci e ombre nel sistema dei media (Parte sesta)

Post n°168 pubblicato il 30 Marzo 2012 da ninolutec
 

3.1. “Etica nella pubblicità

Il documento “Etica nella pubblicità”, che ho già ricordato (e che si richiama all’Istruzione

pastorale “Communio et progressio”, emanata il 23 maggio 1971, anch’essa già ricordata) sottolinea più volte l’influenza che la pubblicità esercita sul modo di pensare, sui valori, sui criteri di giudizio e di comportamento, ne rileva quindi l’importanza crescente nel mondo odierno, ed enuncia il dissenso da coloro che affermano che la pubblicità rispecchia semplicemente gli atteggiamenti e i valori della cultura circostante.

E’ poi netto il giudizio sui rapporti della pubblicità coi media che abbiamo considerato nella

seconda parte: «La pubblicità ha inoltre un impatto indiretto ma potente sulla società attraverso l’influenza che esercita sui media. […] Questa dipendenza economica dei media e il potere che essa conferisce ai pubblicitari comporta gravi responsabilità per entrambi». Nel suo insieme, tuttavia, il documento risente della preoccupazione di non demonizzare la pubblicità, arrampicandosi talvolta sugli specchi dell’ottimismo, come quando delinea i “benefici” della pubblicità, specialmente a favore della cultura. Ma è assai più convincente quando delinea i principali danni prodotti dalla pubblicità sul piano economico, politico, culturale, religioso. Di fronte a tali pericoli vengono enunciati «alcuni principi etici e morali che si applicano specificamente alla pubblicità», e precisamente la veridicità, la dignità della persona umana e la responsabilità sociale.

Nelle conclusioni, infine, si possono cogliere due indicazioni essenziali:

a) la necessità di codici volontari di deontologia rigorosamente osservati e della formazione etica dei professionisti, nonché di adeguati interventi pubblici (nn. 18, 19, 20);

b) la necessità di formazione ai media estesa al ruolo della pubblicità nel mondo

contemporaneo. Quanto ai codici volontari, si può dire che la loro esistenza costituisce un atto di responsabilità da parte delle categorie interessate. Nel caso della pubblicità, fin dal 1966 esiste in Italia un codice di autodisciplina, in origine chiamato “Codice di lealtà Pubblicitaria” e successivamente denominato, dal 1975, “Codice dell’Autodisicplina Pubblicitaria” (CAP). Nella sua attuale versione, questo Codice stabilisce, tra l’altro: il divieto della pubblicità ingannevole e non trasparente; della violenza, volgarità, indecenza; dell’offesa delle convinzioni morali, civili e religiose e della dignità della persona; della pubblicità che può danneggiare psichicamente, moralmente o materialmente i bambini e gli adolescenti. Obbliga, inoltre, ad evidenziare i pericoli per la salute e la sicurezza derivanti da taluni prodotti. Si tratta di una serie di regole particolarmente apprezzabili, la cui applicazione è affidata ad un Giurì e ad un Comitato di Controllo. Se non che le sanzioni sono, sostanzialmente, modeste e, spesso, esse vengono stabilite quando ormai la pubblicità è terminata. E poiché la sanzione principale consiste nell’invito a desistere dalla pubblicità giudicata contraria al CAP, se ne deduce

che il suo effetto è trascurabile. Non mancano, poi, decisioni discutibili nel merito. Il fatto è che i codici volontari o deontologici funzionano solo quando la loro accettazione è diffusa

e convinta tra coloro che vi aderiscono, i quali, di conseguenza, ne osservano spontaneamente le regole. In mancanza di un profondo senso morale, solo l’intervento coattivo dello Stato può ottenere risultati seri. In Italia il legislatore è intervenuto solo nel 1992 con una norma di carattere generale sulla pubblicità ingannevole, sotto la spinta di una Direttiva europea. Lo Stato era rimasto a lungo ancorato alla concezione della pubblicità come “dolus bonus”, cioè dell’inganno connaturato alla comunicazione commerciale reso però inefficace dalla consapevolezza dei consumatori che chi

vende tende ad essere sleale. Ma l’inganno, oltre a impedire scelte libere e coerenti da parte dei consumatori, danneggia anche i concorrenti, snaturando la trasparenza del mercato. Quanto alla pubblicità che può “offendere” esistono solo delle norme in ambito radiotelevisivo, prevalentemente destinatela tutelare bambini e adolescenti da messaggi che possono risultare per loro dannosi fisicamente, psicologicamente, moralmente.

Ma l’autodisciplina e le leggi dello Stato si sono rivelate, sinora, estremamente deboli. Da una fonte insospettabile come il quotidiano della Confindustria si è appreso recentemente che «tra le aziende è ancora molto diffuso il ricorso alla pubblicità ingannevole, nonostante nell’arsenale dell’Antitrust siano entrati nuovi poteri sanzionatori». Nessuna regola, naturalmente, riguarda l’effetto cumulativo della pubblicità, per il quale può valere

la seconda indicazione del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali: l’educazione ai media, con particolare riferimento alla pubblicità, in ragione della sua dimensione quantitativa, della sua influenza sui media, della sua spinta a consolidare la mentalità consumistica, dei suoi contenuti a vario titolo negativi. In questa direzione spinge, in particolare, un importante contributo proveniente dall’ambito professionale: l’ormai classico saggio di Richard W. Pollay “The Distorted Mirror: Reflections on the Unintended Consequences of Advertising”.

 

3.2. “Lo specchio distorto”

Nel suo celebre saggio, Richard W.Pollay ha raccolto una serie di valutazioni sugli “effetti

indesiderati” della pubblicità espresse da studiosi di varie discipline, quasi tutti nordamericani. Una sorta di antologia che, per quanto datata (1986) si presenta ancora estremamente attuale. La sintesi che ne deriva pone in luce che la pubblicità:

- promuove il materialismo come mezzo per raggiungere la felicità

- sollecita la ricerca di status e trasmette stereotipi sociali

- provoca egoismo

- diffonde idee fisse sulla sessualità

- causa conformismo, irrazionalità, ansia

- corrompe i valori religiosi

Esiste, come si vede, un’area estremamente vasta di effetti negativi che la pubblicità può produrre, sia con i singoli messaggi, sia nel suo insieme. Basterebbe ricordare tra i tanti, la degradante visione della figura femminile che viene data in molta pubblicità televisiva e affissionistica e nelle pagine dei periodici. Pollay rivolge un invito ai suoi ”colleghi” studiosi del marketing non solo per un’assunzione adeguata di responsabilità, ma anche per un approfondimento della ricerca, necessaria per conoscere più a fondo gli effetti esercitati “involontariamente” dalla pubblicità. Manca tuttavia, nel saggio di Pollay, l’approfondimento di due temi: 1) il rapporto tra pubblicità e media, che abbiamo considerato nella seconda parte; 2) il rapporto tra pubblicità e minori, che comunque lo studioso canadese richiama ripetutamente, ricordando l’elenco delle conseguenze indesiderate della pubblicità contenute nell’importante rassegna riguardante gli effetti della pubblicità sui bambini promossa dalla National Science Foundation del 1978. Quest’ultimo tema rappresenta la questione più ineludibile della questione pubblicitaria in termini educativi, culturali, sociali. Infatti, anche coloro che chiamano in causa la possibilità e la capacità di valutazione dei singoli messaggi e della influenza complessiva della pubblicità da parte di chi la riceve non possono negare che questa possibilità si acquisisce – se si acquisisce – con una progressiva maturazione che chiama in causa l’esperienza e il bagaglio cognitivo e critico. Del resto, è sempre in discussione l’esistenza di differenti capacità di ricezione anche da parte dei

consumatori adulti, cui si riferisce la questione se le norme che devono disciplinare la pubblicità, deontologiche o pubbliche, vadano riferite a un improbabile “consumatore medio” (o cittadino medio”) oppure alle persone più sprovvedute e, quindi, più bisognose e meritevoli di tutela. Che non sono solamente i minori. Tornando a questi ultimi (cioè ai bambini, ai ragazzi, ai giovani), appare evidente che si tratta di un pubblico del tutto speciale, caratterizzato da un ridotto controllo conoscitivo, da vulnerabilità

emotiva, da maggiore instabilità valoriale, da incapacità di gerarchizzare i bisogni, da più o meno forti tendenze imitative: tutti fattori in via di evoluzione e che si presentano diversamente articolati nelle varie fasce d’età. Su alcune fasce d’età l’appeal esercitato dalla pubblicità televisiva è particolarmente forte, a causa della sua brevità spazio-temporale, della semplicità delle situazioni e della semplicità verbo-iconica,

della presentazione di modelli attraenti, del carattere fortemente ludico, delle forme attraenti. Per i più piccoli la ripetitività risponde, addirittura, alla ricerca di un piacere rassicurativo. Il marketing imprenditoriale considera i minori come acquirenti-consumatori attuali, come soggetti influenti sulle scelte degli adulti, come acquirenti-consumatori futuri. Sulle insidie del marketing e della pubblicità a danno dei minori mi limito a segnalare due libri fondamentali, entrambi provenienti dagli Stati Uniti d’America:

- Nati per comprare. Salviamo i nostri figli, ostaggi della pubblicità, di Juliet B. Schor

[Apogeo, Milano 2004]. L’autrice, economista di formazione, è docente di sociologia al

Boston College;

- Il marketing all’assalto dell’infanzia. Come media, pubblicità e consumi stanno

trasformando per sempre il mondo dei bambini, di Susan Linn [Orme Editori, Milano 2004].

L’autrice è docente di psichiatria infantile all’Harvard Medical School.

I titoli dei due volumi e la qualifica delle loro autrici presentano una sintesi molto grave e

attendibile dei pericoli che incombono sui piccoli, diventati autentici ostaggi del mercato.

Prima di concludere vorrei accennare ad un ultimo aspetto della pubblicità, alla sua cosiddetta “creatività”, che spesso porta i pubblicitari a cavalcare temi, a maneggiare parole e immagini che presentano particolari aspetti di delicatezza sotto vari profili: educativo, sociale, culturale, politico, religioso. Per brevità mi limiterò a porre una domanda: si può consentire alla pubblicità di fare riferimento a tematiche “sensibili” – come la sessualità, i rapporti genitori e figli, la religione e i religiosi e via dicendo – per promuovere beni di consumo e, spesso, proponendo “soluzioni” discutibili di problemi controversi, del tutto estranee ai prodotti? Si tratta, in altri termini, della strumentalizzazione di valori particolari, etici o sociali, per finalità di

profitto commerciale, dell’uso dell’enorme potenza degli investimenti pubblicitari per sollecitare acquisti e consumi cavalcando ideali di altra natura, magari discutibili: così che le imprese diventano portatrici di messaggi, anche del tutto estranei ai prodotti e al loro uso, che influenzano idee, opinioni, modi di pensare, operando, in definitiva, non sul piano economico-commerciale, come sarebbe legittimo, ma su quello dei valori, dell’educazione, della cultura. Si invoca il diritto di parola non solo per segnalare e per esaltare prodotti, ma per cavalcare idee, temi, problemi, più o meno condivisibili, estranei all’attività d’impresa, e ci si arroga, in tal modo, un compito che non compete alla comunicazione commerciale e che spesso è addirittura conflittuale con gli interessi individuali e collettivi.

Non si deve dimenticare, in proposito, l’aspetto intrusivo e impositivo della pubblicità: basti qui accennare alla difficoltà dei genitori di fronte alla pubblicità televisiva (ma anche a quella radiofonica e a quella affissionistica) che “intervengono” su materie delicate - come la sessualità – imponendo non solo tematiche delicate in tempi inadatti ad un intervento educativo, ma anche risposte non conformi ai principi educativi seguiti dai genitori. Ciò comporta disagi e contrasti che mal si conciliano con la natura meramente commerciale della pubblicità e, è bene ripeterlo, con la sua tendenza a “imporsi non desiderata” secondo l’affermazione già citata di un autorevole pubblicitario.

 

 

 
 
 

La pubblicità: luci e ombre nel sistema dei media (Parte quarta)

Post n°167 pubblicato il 30 Marzo 2012 da ninolutec
 

2.5. Il condizionamento dei linguaggi

La pubblicità è stata a lungo chiamata réclame: dal latino clamare, gridare. Oggi tutto è gridato. Dai titoli dei giornali a quelli dei film, dai resoconti giornalistici ai talk show e fino ai dibattiti politici. La pubblicità ha fatto scuola. Non solo, si insinua ovunque, fino a contaminare, come ha scritto Jean Baudrillard, tutti i modi di espressione e ogni spazio comunicativo: tutto è pubblicitario (Baudrillard). Slogan che si trasformano in modi di dire, ma anche in titoli giornalistici gridati; tendenza all’esagerazione, in qualsiasi collocazione; cura formale, spettacolarizzazione e trasgressione come fattori di richiamo; la brevità come unificazione di generi. Anche uno studioso di marketing, Richard W. Pollay (in un celebre saggio di cui parlerò più avanti) ha posto in evidenza le influenze della pubblicità sul linguaggio, in una continua manipolazione di simboli, al punto da incidere sull’attendibilità stessa della lingua e, contemporaneamente svalutandola e insinuando addirittura il dubbio che tutto sia falso a causa delle sue mezze verità e dei suoi sottili raggiri. Dal punto di vista culturale, ha osservato Pollay, «il linguaggio è di vitale importanza. Fare affidamento sulla validità di ciò che si comprende attraverso la parola è fondamentale nel comportamento dell’individuo nel mondo – la capacità di accumulare conoscenze, fondare comunità e stabilire una relazione don Dio: tutto ciò è possibile soltanto se si ha fede nelle parole. Le parole possono essere poesia per tutti; la ricchezza del linguaggio può, con l’ispirazione, esprimere le nostre passioni, le idee politiche, le lodi, le preghiere». La pubblicità, continua Pollay, «può influenzare il linguaggio in due modi: ci fornisce un vocabolario, cioè una serie di parole e i concetti che esse esprimono, con cui strutturiamo percezioni e giudizi, definendo ampiamente la concezione della “realtà”. Tutti i linguaggi lo fanno. Quello che fa la pubblicità è conferire maggiore enfasi ad alcuni termini e concetti, ma influenzare anche la credibilità del linguaggio, svalutandolo al tempo stesso». E cita il linguista Haiakawa secondo il quale il linguaggio pubblicitario penalizza, sfruttandolo continuamente, il linguaggio poetico, che finisce per apparire come un linguaggio per venditori; e opera una deformazione che induce a dubitare di tutto: fino a compromettere la funzione principale della comunicazione. L’effetto più rilevante riguarda la televisione: «Sono ormai i generi televisivi a ricalcare la struttura narrativa degli spot pubblicitari […] . Velocità, immediatezza, superficialità: perfino le fiction sono oggi ritagliate su modi e tempi competitivi con i comunicati commerciali». Il potere assunto dalla pubblicità nel sistema dei media presenta anche un’ulteriore distorsione: i media non ne parlano mai – tranne rarissime eccezioni - se non per esaltarla. Dai “galà” televisivi alle proiezioni di spot per i “pubblifili”. La forza della pubblicità, in definitiva, ha finito per distorcere il ruolo dei media, fino a ridurli a meri procacciatori di spazi commerciali. Se questo è oggi, forse, l’aspetto più vistosamente critico della pubblicità, non si devono dimenticare gli altri aspetti del fenomeno pubblicitario connessi ai contenuti diffusi: sia in relazione ai singoli messaggi, sia in rapporto alla loro influenza complessiva che si può ben definire ideologica.

3. Aspetti etici. I singoli messaggi, l’autodisciplina dei pubblicitari, gli interventi dello Stato. La pubblicità nel suo insieme: uno “specchio distorto”. I compiti della ricerca e dell’educazione

Già il rapporto tra pubblicità e mass media presenta forti implicazioni etiche. Ma la pubblicità assume una dimensione etica assai più ampia, legata fondamentalmente al suo carattere persuasivo che ne detta forme, contenuti, modalità diffusive e alla sua capacità di agire sia con i singoli messaggi, sia con il loro insieme. Un illustre studioso della pubblicità che ho già citato, lo statunitense Leo Bogart, ha affermato che la pubblicità «è qualcosa di più di una forza economica: ha anche una profonda influenza sulla cultura, sui valori e sulla qualità della vita»,17 un fenomeno complesso dunque, come abbiamo visto, che nasce per esigenze di natura economica, ma che finisce per assumere una più vasta dimensione sociale e culturale. Sul piano economico la pubblicità, esaltata dalle imprese per il valore informativo, viene accusata di distorcere la correttezza degli scambi economici, anzitutto quando ricorre a messaggi ingannevoli. Può risultare scorretta anche quando promuove l’acquisto e il consumo di beni dannosi o pericolosi (gli alcolici, i medicinali, ecc.), oppure quando offende i sentimenti delle persone, minaccia psicologicamente, fisicamente, moralmente i minori. Ma di questo parlerò più avanti. Considerata nel suo insieme, poi, la pubblicità si presenta come una «forza pervasiva e potente che influisce sulla mentalità e il comportamento». Questa espressione è tratta dall’Introduzione del documento “Etica nella pubblicità emanato dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali il 22 febbraio 1997, del quale vedremo tra poco i contenuti fondamentali. Ma il testo più significativo in tema di etica pubblicitaria proviene proprio dall’interno del mondo del marketing, del quale la pubblicità è una delle “leve” fondamentali. Proprio un illustre studioso di marketing, Richard W. Pollay, ha infatti pubblicato, nel 1986, un saggio diventato celebre nell’ambito degli studi accademici sugli aspetti socioculturali della pubblicità. Questo saggio si intitola “The Distorted Mirror: Reflections on the Unintended Consequences of Advertising”. Il saggio si apre con una frase tratta dal più importante periodico mondiale di pubblicità, “Advertising Age”: “Si deve riconoscere che il pubblicitario, per certi versi, è un manipolatore di cervelli quanto un neurochirurgo, anche se i suoi attrezzi e i suoi strumenti sono diversi”. Pollay aggiunge: «Se la metafora del neurochirurgo può essere un’iperbole, la gonfia retorica così tipica della pubblicità, essa contiene tuttavia un elemento di verità. La pubblicità esercita indubbiamente un’influenza formativa sulla nostra cultura, anche se noi non conosciamo ancora i suoi precisi effetti. Considerato il suo carattere pervasivo e persuasivo, è difficile affermare il contrario…». Emerge chiaramente che la valutazione degli effetti che la pubblicità può provocare dipendono sia dai suoi contenuti e dalle sue forme, sia dalle sue modalità diffusive. Complessivamente, essa opera una sedimentazione continua di stimoli a consumare, di speranze ingannevoli, di promesse illusorie, di modelli di comportamento trasgressivi, modellando la configurazione del reale in una dimensione falsata e tendenziosa.

 
 
 

La pubblicità: luci e ombre nel sistema dei media (Parte terza)

Post n°166 pubblicato il 30 Marzo 2012 da ninolutec
 

2.3. Dal finanziamento al condizionamento

L’affermarsi dei media come industrie vere e proprie ha progressivamente ingigantito il ruolo del finanziamento pubblicitario. Molti media sono nati esclusivamente come procacciatori di profitto grazie alle entrate pubblicitarie, accentuando un fenomeno ormai irreversibile, che riguarda, in pratica, l’intero mondo mediatico: la pubblicità è diventata non solo fonte di finanziamento (parziale o totale), ma anche fonte di condizionamento.

Già più di 20 anni fa il Rapporto McBride sui problemi della comunicazione del mondo, redatto per iniziativa dell’UNESCO, definiva chiaramente il rapporto instauratosi tra pubblicità e media: le modalità di finanziamento influenzano i media fino a condizionarne gli stessi contenuti editoriali (quelli che io ho chiamato “primari”), soprattutto l’informazione e l’intrattenimento. Effettivamente la storia dei media, e in particolare della televisione, è la storia di un peso crescente della pubblicità nelle scelte editoriali. Nulla può frenare gli “ordini” del marketing. Un grande giornalista come Indro Montanelli ammetteva, parecchi anni fa, che il vero direttore di in giornale è il direttore del marketing. Anche la Chiesa, nell’Istruzione pastorale “Communio et Progressio”, ha rilevato il pericolo che gli ingenti capitali impiegati nella pubblicità rappresentano per i fondamentali scopi degli strumenti della comunicazione sociale, la cui libertà «può essere messa in serio pericolo dalle forti spinte degli interessi economici. Poiché è chiaro che tali strumenti non possono esistere senza una solida base finanziaria, ne risulta che hanno possibilità di sopravvivere soltanto quelli che riescono a trarre un maggior utile dalla pubblicità. Si apre così [anche: n.d.a.] la strada a concentrazioni monopolistiche, che sono un ostacolo all’esercizio del diritto di dare e ricevere informazioni e alla libera circolazione di idee nella società»”. A tale riguardo il documento sostiene la necessità di salvare ad ogni costo un equilibrato pluralismo, “se occorre anche con appropriati interventi legislativi, per impedire che le risorse provenienti dalla pubblicità vadano soltanto alle grosse concentrazioni degli strumenti di comunicazione”. Per diffondere tanta pubblicità, la Tv trasmette 24 ore su 24: ma per riempire l’intera giornata significa, inesorabilmente, mandare in onda di tutto. Anche questo ha contribuito all’avvento della trash television, che sembra costituire l’essenza della programmazione oggi prevalente, frutto della “tirannia dell’audience” che porta a privilegiare la cattura dei contatti rispetto ad ogni altro obiettivo. Da cui il ricorso a elementi di richiamo sempre più provocatori, trasgressivi, che vanno dalla spettacolarizzazione (e dalla falsificazione) dell’informazione alle speculazioni sul sesso, dalle risse in diretta nei talk show televisivi alle massicce dosi di violenza nei film, fino alla volgarità totale in gran parte della comunicazione di massa. Diventa determinante, in tale orientamento, il valore della diffusione, il numero degli individui raggiunti. Per tutti i mezzi di comunicazione che ospitano inserzioni pubblicitarie vengono realizzate ricerche di carattere quantitativo e qualitativo per accertare quanti individui essi raggiungono e le loro principali caratteristiche socioeconomiche. Sono promossi d’intesa tra gli inserzionisti pubblicitari e i mezzi stessi. Così per la stampa esiste un sistema di rilevazione della diffusione (ADS) e uno per l’accertamento della lettura (Audipress), per la radio una ricerca sull’ascolto (Audiradio) e così via, fino all’Audiweb, che misura i contatti con i siti Internet. Si tratta di sistemi che non offrono risposte precise, talvolta appaiono discutibili. Si ricorda, nel passato, un caso di corruzione che ha costretto a sostituire l’istituto di ricerca. Ma nel campo televisivo la caccia al numero è davvero impressionante, fino a condizionare la vita o la morte dei programmi.

2.4. La caccia all’audience

I dirigenti televisivi americani affermano, spesso, di non essere produttori di programmi, ma procuratori di “teste” a favore degli inserzionisti pubblicitari. Più “teste”, maggiori tariffe degli spazi, quindi maggiori guadagni per le reti Tv. Il conteggio delle “teste” televisive avviene, in Italia (come altrove) con un sistema tra i più avanzati nel rilevamento delle audience medianiche. Da noi si chiama “Auditel” ed è nato nel 1986. Si tratta di un sistema molto discusso, soprattutto per la sua trasformazione in arbitro quasi assoluto della programmazione: un uso perverso. Mentre dovrebbe servire per contare (facendolo correttamente) il numero dei telespettatori sintonizzati sui diversi canali, e quindi per svolgere una funzione utile agli inserzionisti e alle emittenti per calcolare le tariffe e valutare le opportunità di inserimento degli spot, ha finito per trasformare il dato qualitativo in misura unica del “valore” delle trasmissioni, una sorta di aberrante “indice di qualità”. Di fatto, la caccia all’ascolto ha condotto la programmazione a livelli miserevoli, perché gli ingredienti usati per condirla sono, essenzialmente, la volgarità e la violenza, l’esibizione smodata della sessualità e la rissa come modello di discussione nei talk show e nella stessa comunicazione politica.  Si deve ad uno dei più noti studiosi italiani dei media e della televisione, Gianfranco Bettetini, questo sintetico e impietoso giudizio: “La Tv delle origini era in mano a persone con un certo spessore culturale e, aggiungerei, etico; persone che si preoccupavano dell’effetto dei programmi  sul pubblico, consapevoli che la Tv doveva non solo divertire, ma anche formare. L’ingresso sulla scena di Mediaset e la conseguente corsa alla pubblicità hanno aperto i palinsesti al degrado.
L’errore della politica e dei dirigenti Rai è stato di adeguarsi subito, ovviamente per rincorrere la pubblicità” (Intervista pubblicata da “Famiglia Cristiana”, n. 20/2007). Il Presidente dell’AIART (l’Associazione degli Spettatori di ispirazione cattolica) Luca Borgomeo non ha esitato a parlare di degrado sociale, culturale e morale prodotto dalla programmazione televisiva che (sono parole dello stesso Presidente della Rai, Petruccioli) presenta «micidiali cadute sotto il livello minimo di decenza». Ciò è dovuto, afferma lo stesso Borgomeo, all’uniformazione generalizzata dei programmi della tv pubblica e privata «per effetto di un continuo processo di omologazione al basso, indotta dalla frenetica rincorsa all’audience e, quindi, alla pubblicità». E’ dunque fatale che sull’intero sistema televisivo gravi un diffuso giudizio negativo, che chiama in causa tanto le trasmissioni del settore commerciale (in particolare di Mediaset), quanto quelle del servizio pubblico (la Rai) e che indica nella “corsa alla pubblicità” il fattore degenerativo fondamentale. Anche Umberto Eco, nella stessa intervista di “Famiglia Cristiana” più sopra citata ha sostenuto che la corsa all’audience, e quindi la corsa alla pubblicità, “ha rovinato tutto”. Sul fronte dell’emittenza si afferma, peraltro, che, in definitiva, tutto dipende dalle scelte dei telespettatori. Se non che i telespettatori possono scegliere solo tra ciò che i canali programmano, condizionati dai criteri di cui si è detto: la caccia al numero, che si ottiene con una programmazione “deficiente”, squallida e volgare. Ciò che accade, in termini colossali, in Tv, avviene anche negli altri media. Il condizionamento della pubblicità sulle scelte editoriali si è fatto devastante, fino a trasformarsi, a volte, in vero e proprio ricatto. Una denuncia documentata relativa al mondo della stampa è contenuta nel libro di Giuseppe Altamore. I padroni dell’informazione. Come la pubblicità occulta uccide l’informazione (Bruno Mondatori, 2006). L’autore, vicecaporedattore di “Famiglia Cristiana”, sostiene (e dimostra) che i confini tra pubblicità e informazione si fanno sempre più confusi, la comunicazione commerciale invade e inquina l’attività giornalistica, lo strapotere economico della pubblicità è ormai la vera minaccia per la libertà di stampa: società concessionarie (che vendono gli spazi per conto dei media) e uffici marketing dettano con sempre maggiore frequenza l’agenda dei contenuti da pubblicare: investimenti pubblicitari in cambio di favori giornalistici. Altamore dimostra, inoltre, che quando un giornalista osa interrogarsi su un certo settore produttivo il suo giornale rischia di perdere le inserzioni pubblicitarie: è quello che si chiama, comunemente, ricatto. Un aspetto patologico del rapporto tra pubblicità e media è costituito anche dalla pubblicità come forma di sovvenzione. E’ l’acquisto di spazi pubblicitari determinato non già da una pianificazione tecnicamente rigorosa, ma dall’intento di sostenere economicamente media “graditi”. Il rovescio della medaglia lo si trova nel boicottaggio dei media sgraditi.

 
 
 

La pubblicità: luci e ombre nel sistema dei media (Parte seconda)

Post n°165 pubblicato il 30 Marzo 2012 da ninolutec
 

2. I rapporti tra pubblicità e media. Da Emile de Girardin all’Auditel: come la pubblicità detta le regole nella (della) comunicazione.

I mass media sono, oggi, gli strumenti privilegiati della pubblicità. Nati per svolgere altre funzioni, dall’informazione all’intrattenimento, si sono affermati come veicoli ideali per la comunicazione commerciale, che è diventata una componente rilevante dei contenuti diffusi dai media stessi, in quanto ne costituisce la fonte essenziale – spesso l’unica – di finanziamento. Il dato complessivo degli investimenti pubblicitari - che in larga misura si traducono in entrate per i media - è impressionante: le imprese italiane spenderanno nel 2007 10.000 milioni di euro per la loro pubblicità e quasi 20.000 milioni di euro per tutte le loro forme di comunicazione (comprendenti, oltre alla pubblicità, le sponsorizzazioni, le “relazioni pubbliche”, ecc.). Gran parte di questo ingente importo finisce alla televisione, alla radio, alla stampa quotidiana e periodica: ne è la linfa vitale. Salvo qualche eccezione, un giornale vive oggi per il 50% grazie alle vendite e per il 50% alla pubblicità, mentre un’emittente radiotelevisiva commerciale vive e guadagna interamente grazie alla pubblicità. Anche la Rai, che pure è un servizio pubblico, ha un bilancio che per il 50% è

sostenuto dalle entrate pubblicitarie. La free press, in notevole espansione anche in Italia da alcuni anni, segue le orme della radiotelevisione commerciale: è finanziata interamente dagli introiti pubblicitari. Con le relative conseguenze. Che ora dobbiamo considerare, partendo da un evento che si può considerare storico, sia per la pubblicità sia per i giornali (e poi per tutti i mass media), perché ha segnato la nascita della loro indissolubile intesa.

 2.1. La “trovata” di Emile de Girardin

Siamo nel 1836, a Parigi. Emile de Girardin, giornalista, editore, uomo d’affari, prende un’iniziativa che contribuirà in modo fondamentale all’esistenza stessa della stampa e, poi, di altri media. Egli manifesta la sua intraprendenza sul piano della tecnica, incoraggiando il potenziamento della macchina da stampa (“presse”), e soprattutto su quello economico, creando il primo giornale d’affari “La Presse”, destinandone interamente l’ultima delle quattro pagine ai “piccoli annunci” commerciali, perfezionando in tal modo l’iniziativa di Théophraste Renaudot che nel 1631 aveva cominciato a diffondere degli avvisi commerciali nel suo “Bureau d’adresses”. In questo modo de Girardin acquista il merito di aver colto un’idea che era nell’aria da molto tempo, avendo pienamente compreso che il potere della stampa si sarebbe moltiplicato abbassando considerevolmente il prezzo di vendita del giornale al fine di aumentarne le vendite. In sintesi: gli introiti pubblicitari consentono di diminuire il prezzo del giornale. La diminuzione del prezzo provoca un aumento dei lettori. Questo aumento valorizza il canale dei messaggi e, quindi, la sua utilizzazione da parte degli inserzionisti. Un autentico “circolo virtuoso”. I “piccoli annunci” si trasformano, poco a poco, in inserzioni più attraenti, ricche di enfasi verbale e grafica, grazie alle continue innovazioni tecnologiche, in particolare ai procedimenti foto-meccanici che permettono il ricorso alle illustrazioni. L’inserimento della pubblicità definisce per sempre le sorti della stampa. Sarà poi facile per la radio e la televisione, e poi per altri mezzi, imitare lo stesso procedimento: oggi il finanziamento dei media deriva in larga misura, per alcuni di essi, interamente, dalla pubblicità.

2.2. I problemi di oggi

Dobbiamo ora vedere come si siano sviluppate le conseguenze di tale rapporto, distinguendo tra i contenuti “primari” e quello “secondario” diffusi dai mezzi di comunicazione. Contenuto “primario” dei giornali e dei periodici è per definizione, direi, l’informazione, in tutte le sue articolazioni: politica, economica, sportiva, ecc. Per la radio e la televisione anche l’intrattenimento e lo spettacolo. “Secondario” è - o dovrebbe essere - il contenuto pubblicitario, dal momento che un giornale o un periodico non nasce per diffondere messaggi commerciali. Se non che, quest’ultima affermazione viene spesso posta in dubbio, in relazione non tanto ai principali organi di informazione, quanto a molte pubblicazioni periodiche che nascono o diventano principalmente collettori di pubblicità. Si pensi, in modo particolare, a certi supplementi dei quotidiani e dei periodici che non sono altro che veri e propri cataloghi pubblicitari. La pubblicità diventa, allora, il contenuto primario, mentre il resto fa da richiamo, operando come una sua protesi, necessaria a conquistare quell’audience che costituisce il naturale obiettivo dei messaggi commerciali. Secondo Bettetini e Fumagalli, si potrebbe parlare di una natura profondamente “pubblicitaria” di tutto il sistema mediatico, non solo, perché i media rendono “pubblico” l’accadere del mondo, ma anche perché la grande maggioranza dei fenomeni e dei contenuti dei media che si dichiarano informativi o di semplice intrattenimento sono riconducibili ad un’ottica in senso lato pubblicitaria: «vendere prodotti o comunque persuadere, far conoscere per far fare: comprare un oggetto o decidere socialmente e politicamente in una certa direzione».11 In questa affermazione la pubblicità viene intesa nel suo significato più ampio fino a comprendere la propaganda politica. L’intrusione della pubblicità nei media si è tradotta nella trasformazione crescente dei media stessi in imprese industriali e dell’informazione in vera e propria merce come qualsiasi altra: si sono perse così, gradualmente, l’originale autonomia del giornalismo e dello spettacolo e le loro stesse funzioni. L’obiettivo fondamentale si è progressivamente concentrato sulla vendita degli spazi agli inserzionisti, strettamente correlato alla quantità di individui raggiunti. L’orientamento commerciale ha portato anche alla continua crescita degli spazi pubblicitari rispetto agli altri contenuti diffusi dai media. Gli stessi inserzionisti sono atterriti dalla quantità di messaggi pubblicitari presenti soprattutto nella programmazione televisiva, cioè dal fenomeno dell’affollamento, dell’eccessiva quantità A sua volta, l’affollamento ha influito negativamente sull’efficacia dei singoli contatti, insidiati dai contatti contigui e dalla quantità complessiva dei messaggi commerciali. Come da anni sostiene il celebre pubblicitario francese Jacques Séguéla, “Troppa pubblicità uccide la pubblicità”. Non la uccide facendola realmente morire, ma corrompendone le forme e, soprattutto, inficiandone i risultati, riducendone l’efficacia. Per rimediare alle conseguenze deleterie dell’eccesso quantitativo, la pubblicità tende ad uscire dagli spazi “canonici”, troppo frequentati e divenuti meno efficaci, per invadere gli stessi contenuti primari dei media: dall’informazione allo spettacolo, dai talk show allo sport. Lo fa in mille modi diversi. Tipiche forme di pubblicità slealmente inserita nel tessuto dei media sono la “pubblicità redazionale” e il “product placement”, generalmente classificati come “pubblicità occulta”, utilizzati come rimedio alla perdita di efficacia dovuta all’iperdiffusione di messaggi pubblicitari “tradizionali”. A nulla sono valsi i rimedi agli eccessi quantitativi della pubblicità, anche le intese tra inserzionisti e mezzi. Negli ultimi tempi, poi, le lobby degli uni e degli altri hanno cavalcato una deregulation sostanzialmente definitiva che sta trovando una consacrazione ufficiale nelle decisioni dell’Unione Europea sulla televisione.

 
 
 
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