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CONFERENZA DELL'ARCHEOLOGO PROFESSOR PIERO BARTOLONI

Post n°106 pubblicato il 05 Novembre 2011 da ninolutec
 

STORIA DEGLI SCAVI
DI MONTE SIRAI

(PARTE QUINTA)

 

 Le divinità

 Nel mondo fenicio la religiosità ufficiale presenta generalmente in ogni città due grandi divinità, l’una femminile e l’altra maschile. Ad esempio, a Tiro la prima, la dea Astarte, era la dea dell’amore e della morte, mentre il secondo, il dio Melqart, il cui nome significa letteralmente re della città, rappresentava l’elemento maschile. Dopo la conquista cartaginese venne introdotto un mutamento e divennero principali riferimenti per il culto la dea Tinnit, presto accomunata alla dea greca Demetra, e il dio Baal Hammon. Accanto a queste due figure principali vi erano altre divinità, quali ad esempio il dio Eshmun, il cui compito era di proteggere dalle malattie. Studi recenti hanno portato a riconsiderare il nome della dea Tanit, la più importante divinità cartaginese, e tra l’altro alcune iscrizioni cartaginesi in caratteri latini, appartenenti ad epoca neo-punica, hanno dimostrato che il vero nome della dea non era quello di Tanit, come comunemente si ritiene, ma quello di Tinnit. Per quanto riguarda il culto privato, praticato soprattutto nelle campagne e comunque maggiomente legato alle credenze popolari, invece, si dava grande importanza alle cosiddette divinità minori. Tra tutte prevaleva il dio Eshmun, che la cui caratteristica era quella di guaritore. A lui era anche dedicato un tempio nella città di Nora, mentre al dio Sid, altra divinità guaritrice, era dedicato il tempio di Antas, presso Fluminimaggiore. La religiosità popolare si avvaleva di ulteriori divinità: ciascuna di esse era preposta a tutelare da un singolo male, per cui ad esempio il dio Bes, nano deforme cui erano dedicate la Sardegna e le isole Baleari, aveva fama di proteggere dai morsi dei serpenti velenosi o degli scorpioni, per l’appunto inesistenti in queste isole. I bambini invece erano affidati alla protezione di divinità che avevano le sembianze di Sileni, sorta di nani barbuti con piccole corna e orecchie appuntite. Le donne a loro volta sembra fossero tutelate da una divinità che aveva le sembianze della dea egiziana Iside. Infatti, è principalmente dal pantheon dell’antico Egitto che i Fenici avevano tratto le immagini dei loro dei, anche se nella realtà i nomi non corrispondevano.

 

 Il rito del tofet

Un altro luogo sacro presente a Monte Sirai è costituito dal tofet. Con questo nome, che deriva da quello di una località vicina a Gerusalemme, viene indicato genericamente il luogo sacro ove i Fenici e i Cartaginesi erano soliti seppellire con particolari rituali funebri le ceneri dei bambini contenuti all’interno di vasi e accompagnate da stele votive. Fino a qualche anno fa si riteneva che nel tofet fossero seppelliti i figli primogeniti maschi appartenenti alle famiglie nobili, che erano stati sacrificati e bruciati in onore del dio Baal Hammon e della dea Tinnit. Questa teoria è stata sviluppata subito dopo il ritrovamento del tofet di Cartagine, avvenuto nei primi anni del nostro secolo, in connessione con quanto tramandato dalla Bibbia, che proibiva agli Ebrei di far passare i propri figli per il fuoco e di seppellirli in tofet. Si riteneva anche che il sacrificio cruento dei fanciulli fenici e punici fosse da considerare come l’offerta delle primizie alla divinità e dunque da assimilare al racconto biblico che narra il mancato sacrificio di Isacco da parte di Abramo, impedito in questo dal Signore. Dopo un’attenta analisi della narrazione biblica, unita ad un accurato esame delle testimonianze archeologiche, ci si è resi conto che i testi biblici relativi al tofet e quello che trattava del sacrificio di Abramo non avevano connessione tra di loro e si riferivano a situazioni completamente diverse. Inoltre, si è potuto constatare che i reperti archeologici non confermavano né il sacrificio cruento né mostravano la presenza di soli individui maschi. Si è notato inoltre che i brani della Bibbia che trattano del tofet e del passaggio per il fuoco, non sono accostabili al racconto di Abramo e del tentato sacrificio di Isacco, ma appartengono ad ambientazioni, a situazioni culturali e a periodi storici differenti. L’esame e lo studio dei materiali rinvenuti nei tofet non hanno mai dato conferma riguardo alla presenza di fanciulli primogeniti e per di più si è potuta registrare in molti casi la presenza di bambine, documentata attraverso le iscrizioni votive delle stele, dedicate non solo da persone di rango ma anche da artigiani o addirittura da stranieri. Le analisi osteologiche delle ossa dei bambini contenute nelle urne seppellite nei tofet hanno dimostrato che in genere si tratta di bambini nati morti o deceduti pochi mesi dopo la nascita e che anzi in alcuni casi si trattava addirittura di feti. È inutile aggiungere che queste eventualità escludono che i bambini abbiano subito una morte cruenta. Si è pensato dunque che il racconto biblico del passaggio per il fuoco potesse piuttosto fare riferimento ad una cerimonia di iniziazione dei giovanetti, sostanzialmente simile al salto del fuoco durante la festa di San Giovanni. Invece, l’esortazione a non seppellire i bambini in tofet sembra tendesse ad evitare che gli Ebrei effettuassero pratiche religiose di origine straniera. Infatti, nell’antico regno di Israele i Fenici erano pre- senti in grande numero sia a Gerusalemme che nelle principali città della costa, impiegati soprattutto come artisti e artigiani. Inoltre, non si deve dimenticare che il grande tempio di Gerusalemme voluto da re Salomone fu costruito appunto da maestranze fenicie. Il tempio aveva le medesime caratteristiche dei templi fenici: tre celle l’una successiva all’altra, una facciata con due colonne e una grande cisterna per l’acqua. Infine, è noto che alcune mogli dello stesso re erano di stirpe fenicia e come tali probabilmente tendevano ad introdurre nel palazzo pratiche religiose legate alla loro origine. Probabilmente, da ciò scaturiscono le esortazioni e gli anatemi della classe sacerdotale a non far passare per il fuoco i propri figli e a non seppellirli nel tofet. Ciò non esclude comunque che i Fenici e i Cartaginesi, come del resto anche i Greci e i Romani e in genere tutti gli antichi popoli, effettuassero talvolta dei sacrifici umani. Questa pratica cruenta, descritta dagli antichi autori greci e romani, è da ritenere comunque eccezionale ed era effettuata probabilmente in occasioni particolarmente importanti o in situazioni di estremo pericolo per la patria. Dunque, è da ritenere che il tofet fosse un luogo sacro ove erano sepolte con particolari riti le ceneri dei bambini nati morti o deceduti in tenera età e comunque prima della cerimonia di iniziazione corrispondente al nostro battesimo o alla circoncisione di Ebrei e Arabi. Quindi il tofet null’altro era che una sorta di Limbo che accoglieva i piccoli defunti non ancora inseriti nella comunità, né ciò deve stupire poiché ancora oggi esistono per i bambini aree cimiteriali appartate. Il rito prevedeva la combustione del piccolo defunto su un rogo. Assieme al corpo del bambino veniva offerto in sacrificio e quindi bruciato un piccolo animale, un agnello o un volatile. In un secondo momento non meglio precisabile veniva effettuata la posa di una pietra scolpita a forma di stele raffigurante un tempio con la divinità e recante particolari simboli. E certo che la stele non corrispondeva ad una singola urna, ma non è dato di sapere quando veniva dedicata. Quando sulle stele compare un’iscrizione, questa descrive il compimento di un voto alle divinità per grazia ricevuta. La formula più comune, ripetuta migliaia di volte sulle stele votive più tarde rinvenute nel tofet di Cartagine, recita nel modo seguente: “Alla Signora Tinnit, faccia (immagine) di Baal, e al Signore Baal Hammon, (questa è la stele) che ha dedicato Tizio, figlio di Caio, figlio di Sempronio, perché (gli dei) hanno ascoltato la sua voce e lo hanno benedetto”. Quando l’area sacra del tofet, delimitata da muri o da barriere naturali, era ormai colma di urne e di stele veniva interamente ricoperta da uno spesso strato di terra, mentre le stele venivano rimosse e accantonate in un luogo marginale ma sempre all’interno dell’area sacra. In questa nuova coltre terrosa venivano sepolte le nuove e più recenti urne e venivano infisse le nuove stele. Ad ogni successivo completamento dell’area veniva ripetuta l’operazione descritta in precedenza.

 

Il tofet di Monte Sirai

Il tofet di Monte Sirai sorge attorno al 360 a.C., periodo in cui Cartagine decise di fortificare l’insediamento. È evidente dunque che il rito del tofet è stato introdotto in questo periodo da nuovi abitanti che si sono aggiunti ai primi coloni cartaginesi, insediati dopo il 525 a.C. a loro volta al posto dei primo abitanti di stirpe fenicia Che il rito che si svolgeva nel tofet avesse anche un carattere funerario è dimostrato dal fatto che i primi coloni cartaginesi di Monte Sirai seppellivano i loro bambini all’interno di anfore e in un settore della necropoli diverso e ben distinto da quello delle tombe ipogee degli adulti. Il tofet di Monte Sirai sorge su una terrazza di trachite affacciata a nord della valle della necropoli. Si tratta di un vasto piazzale su due livelli, dei quali quello inferiore conteneva le urne, appoggiate sulla roccia e poi sepolte artificialmente con terra di riporto. Il riempimento artificiale era necessario anche per poter sistemare la stele. Subito dopo la scoperta del tofet si era ipotizzato che tra il tempio e il settore dedicato alla deposizione delle urne vi fosse una grande scalinata monumentale composta da sette gradini e quindi il tempio era stato restaurato seguendo questa soluzione architettonica. Recenti studi effettuati da Sandro Filippo Bondì hanno permesso invece di constatare che il collegamento tra il livello occupato dalle urne e quello della platea del tempio era consentito da una scalinata monumentale formata da unicamente tre gradini. La scalinata dava quindi accesso ad una rampa, la quale, a sua volta, si apriva la strada attraverso un varco del muro di terrazzamento, che sosteneva e regolarizzava  la platea del tempio, e conduceva al livello superiore. Le urne rinvenute nell’area, tutte pentole da cucina mai utilizzate e chiuse da un coperchio o da un piatto, sono circa 400 ed erano deposte su due strati. All’interno delle urne vi erano le ossa calcinate dei bambini e di piccoli animali sacrificati al momento della deposizione. Oltre a questi resti sono stati rinvenuti alcuni amuleti, alcuni piccoli gioielli e numerosi piccoli vasi di dimensioni minime che come forma imitavano i recipienti in grandezza naturale. Dato che non sono stati rinvenuti in tutte le urne, questi piccoli recipienti non possono essere considerati una sorta di corredo di accompagnamento simile a quello dei defunti adulti, bensì dei veri e propri giocattoli appartenuti in vita ai piccoli. Il più antico dei due strati era il più ampio ed era quello nel quale erano state utilizzate anche le stele, mentre il secondo, in funzione dopo il 238 a.C. era contenuto in una superficie più ridotta rispetto alla precedente ed era addossato alla scala che dava accesso al tempio. Le stele del tofet di Monte Sirai in genere rappresentano la facciata di un tempio egittizzante, con gli elementi canonici costituiti dal fregio di serpenti, dalla gola egizia, dai pilastri e con l’immagine della divinità al centro del sacello. I modelli a cui si sono ispirati con molta libertà gli artigiani di Monte Sirai provengono senza dubbio dal tofet dell’antica Sulcis. Il livello superiore della terrazza del tofet ospitava un tempio, articolato anch’esso nei tre differenti settori. Il primo, probabilmente privo di copertura, dava accesso a un vano coperto, come testimoniato dalla presenza di un pilastro centrale. Questo ambiente era il naos praticato dai devoti. Da questo vano mediano attraverso una stretta porta si entrava nel penetrale - il Qodesh Qodeshim - ove solo i sacerdoti avevano la possibilità di accesso. In questo locale, addossati all’angolo di destra sono stati rinvenuti due focolari parzialmente sovrapposti, uno rettangolare ed uno pari ad un quarto di cerchio, riferibili alle due diverse fasi d’uso del tempio, corrispondenti ai due periodi di frequentazione del tofet. A destra dell’ingresso e quindi davanti ai focolari si apriva un piccolo vano ove venivano gettate le ceneri dei sacrifici avanzate dopo che i resti ossei di maggiori dimensioni erano stati raccolti e deposti nell’urna. All’interno del vano sono stati rinvenuti tra l’altro anche i frammenti di alcune statuine votive, probabilmente spezzate durante il rito.

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