Aquilonechevolaalto

La bontà è l'unico investimento che non fallisce mai.(David Thoreau).

 

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AREA PERSONALE

 

LE 7 FRASI DI GESù SULLA CROCE

"Padre, perdona loro" (I)

 

"Oggi tu sarai con me in paradiso"(II)

"Ecco tuo figlio... ecco tua madre!"(III)

"Perché mi hai abbandonato?"(IV)

"Ho sete" (V)

"È compiuto!" (VI)

"Padre, nelle tue mani rimetto

lo spirito mio" (VII)

Visitare Gerusalemme

Il muro del pianto

con      U.N.I.T.A.L.S.I.

 

Andrea Bocelli

 

 

 

PACE

Non importa che tu sia

uomo o donna
fanciullo o vecchio,

operaio o contadino,
soldato o studente

o commerciante;
non importa quale sia il

tuo credo politico

o quello religioso
se ti chiedono qual’è l

a cosa più importante

per l’umanità
rispondi prima,

dopo, sempre: la pace!

 

Tien Min, poeta cinese

La vita è bella -Benigni

 

 

Il lavoro va pregato, trasformiamo il nostro

lavoro in preghiera; incoraggiamo gli altri 

spendere un po’ dl loro tempo, anche

soltanto pochi minuti al giorno, nella

preghiera da soli con Gesù. Dieci

minuti da soli con Gesù ogni giorno,

non toglieranno nulla al lavoro, anzi

benediranno e incrementeranno

il lavoro. Il nostro lavoro è solo una

goccia d’acqua in un oceano, ma

se trascuriamo di versarla, l’oceano

sarà meno profondo di una goccia.

Per questo è necessario un

temperamento allegro, uno

spirito di abbandono totale

e di fiducia amorosa.

(Santa Teresa di Calcutta)

 

Prendi un sorriso regalalo a chi

non l'ha mai avuto.

Prendi un raggio di sole fallo volare

là dove regna la notte.

Scopri una sorgente fa' bagnare

chi vive nel fango.

Prendi una lacrima posala sul volto

di chi non ha mai pianto.

Prendi il coraggio mettilo nell'animo

di chi non sa lottare.

Scopri la vita raccontala a

chi non sa capirla.

Prendi la speranza e vivi

nella sua luce.

Prendi la bontà e donala a chi

non sa donare.

Scopri i l'amore e fallo

conoscere al mondo.

(Mahatma Gandhi)

 

Un Minuto de Reflexion

(Niños de África)

Messaggio di Madre Teresa

 

Proverbi arabi


Colui che non sa,

e non sa di non sapere,

è uno sciocco: evitalo.

Colui che non sa,

e sa di non sapere,

è un ignorante: istruiscilo.

Colui che sa,

e non sa di sapere,

è addormentato: sveglialo.

Colui che sa,

e sa di sapere,

è un saggio: seguilo.

 

 
Citazioni nei Blog Amici: 2
 

 

Se io potrò impedire

Se io potrò impedire
a un cuore di spezzarsi
non avrò vissuto invano
Se allevierò il dolore
di una vita
o guarirò una pena
o aiuterò un pettirosso
caduto
a rientrare nel nido
non avrò vissuto invano.

Emily Dickinson

 
NELSON MANDELA

-Solo gli uomini liberi

possono negoziare.

I prigionieri non

possono avere contatti.

 

 

 

 L’amore ha orrore di tutto ciò

che non è se stesso. (H. De Balzac)

Nel cuore di ogni uomo esiste

un punto verginale dove splende

la verità, dove si raccolgono le

idee pure e semplici

(Bossuet)

dove l’errore non entra.

(San Tommaso d’Aquino)

Da:
"Il piccolo Principe"

 

..." Non si conoscono che le

cose che si addomesticano ",

disse la volpe.

Gli uomini non hanno più il

tempo per conoscere nulla.
Comprano dai mercanti le

cose già fatte.
Ma siccome non esistono

mercanti di amici,

gli uomini non hanno

più amici.

Se tu vuoi un amico

addomesticami!"

Antoine de Saint-Exupéry

 

 

Elisa

ANCHE se non trovi le parole

FREE TIBET

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ERI TU IL MIO SIGNORE

Mentre incosciente ti ferivo

scoprivo ch'eri accanto a me.

Lottando inutilmente contro te

sentivo ch'eri tu il mio Signore.

Derubando del mio tributo

il tuo onore

vedevo crescere il mio

debito con te.

Nuotavo contro corrente

di tua vita

solo per sentire la forza

del tuo amore.

Per nascondermi da te

ho spento la mia luce,

ma tu m' hai sorpreso

con le stelle.

Rabindranath Tagore

 

Nel momento in cui chiuderò gli

occhi a questa terra, la gente

che sarà vicino dirà: “È morto”.

In realtà è una bugia.

Le mie mani saranno fredde,

 il mio occhio non potrà più

vedere, ma in  realtà la morte

non esiste, perché appena

chiudo gli occhi a questa terra,

mi apro all’infinito di Dio.

La morte è il momento dell’abbraccio

col Padre, atteso intensamente

nel cuore di ogni uomo e di ogni

creatura. (don Oreste Benzi)

Fate del bene sempre,

del bene a tutti,

del male a nessuno.

(San Luigi Orione)

 

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GANDHI E DALAI LAMA

 

 

 

 

 

TIZIANO TERZANI E GANDHI

 

GRAZIE DELLA VISITA

 

 

« Buona PasquaFRASI PAPA FRANCESCO – F... »

Il Papa e il linguaggio dei gesti

Post n°1092 pubblicato il 02 Aprile 2013 da quadumi

di MASSIMO ARCANGELI*Molto è già stato detto sul vocabolario di papa Francesco, sulle parole-chiave del suo mandato. Alcuni dei termini da lui pronunciati, e diligentemente registrati dai media, sono anche fra quelli prediletti da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI: amore, dialogo, fiducia, gioia, giustizia, libertà, misericordia, peccato, speranza, verità. Nulla di nuovo, stando almeno all'apparenza della loro superficie, in queste voci dell'uso comune o comunissimo. D'altronde, se l'italiano è intriso di cristianesimo, il cristianesimo è da sempre permeabilissimo al lessico fondamentale della nostra lingua perché dalla "religione della parola", tanto scritta quanto orale, ha ricavato ogni volta i maggiori punti di forza della sua azione predicatrice ed evangelizzatrice.

Quali allora le particolarità lessicali di papa Francesco? Senz'altro qualche termine meno o per nulla frequentato dai suoi immediati predecessori (tenerezza o pazienza, paranoico o autoreferenziale), ma il punto è un altro. A imporsi, nel suo caso, sono soprattutto i legami fra le parole: relazioni ontologiche (tra ponte e pontefice, accomunate dall'etimo) oppure fenomenologiche: tra giustizia e cultura (la prima crea la seconda) o tra gioia e croce (non c'è vera felicità che non sia stata messa alla prova dalla sofferenza). Nel solco della tradizione segnata dagli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, per il quale si traeva maggior frutto dai ragionamenti e dalle riflessioni personali sul mistero che dalla completa spiegazione delle sue forme. Il linguaggio verbale di Bergoglio, nelle sue possibilità di rimando e nelle sue relazioni interne, non è però il solo a parlare una lingua per certi versi nuova. Il linguaggio del corpo e degli abiti dice altrettanto, se non addirittura di più. 
        
21 giugno 1963. Si apre la loggia centrale della Sala delle benedizioni della basilica di S. Pietro. Preceduto dalla croce a stile, appare Paolo VI con la sua veste bianca, la mozzetta color cremisi, la stola pontificale, il crocifisso d'oro sul petto; ricalca in parte nei gesti le orme del suo predecessore, Giovanni XXIII. Rivolge lo sguardo alla folla esultante protendendo le braccia e muovendo le mani avanti e indietro, quasi a sventolarsi; alterna quel movimento al saluto con la mano destra (la sinistra sul cuore) e al segno di benedizione; guarda diritto davanti a sé, si gira a destra e poi a sinistra e poi ancora a destra; congiunge nuovamente le mani; torna a salutare con le braccia tese in avanti. Intona la benedizione Urbi et Orbi in latino e lascia ad altri l'incarico di concedere (in italiano) l'indulgenza plenaria e di chiedere ai presenti  -  e a chi sta ascoltando per radio  -  una preghiera per lui e per Santa Madre Chiesa. Saluta quindi un'ultima volta e se ne va. I suoi gesti sono quelli di una personalità di altissima statura. Ampi e solenni, distanziano e tuttavia rassicurano; sembrano promettere le riforme avvenire.

16 ottobre 1978. Rispetto a papa Luciani, più "sciolto" e amichevole del suo predecessore fin dal primo affacciarsi al balcone (contagioso, soprattutto, il suo sorriso), con Karol Wojtyla è in parte un'altra storia.  I paramenti sono gli stessi, i gesti e le parole no. Saluta a sua volta protendendo le braccia in avanti ma le porta anche in alto e poi in basso, intrecciando o sovrapponendo le mani. Se i due pontefici precedenti avevano quasi disegnato nell'aria il braccio orizzontale della croce, Giovanni Paolo II sembra mimare quello verticale. Esordisce con "Sia lodato Gesù Cristo",  continua con "Carissimi fratelli e sorelle", parla di sé come di "un nuovo vescovo di Roma", chiamato da un "paese lontano" ("lontano ma sempre così vicino per la comunione nella fede e nella tradizione cristiana"); menziona la paura per la nomina, l'ubbidienza verso Dio, la fiducia nella Madonna, la fede comune e la speranza; fa riferimento a un nuovo inizio, per quanto ritagliato sulla strada della storia e della Chiesa; cita l'italiano in un passaggio che sarebbe stato consegnato alla storia ("non se potrò bene spiegarmi nella vostra, la nostra lingua italiana: se mi sbalio, se mi sbalio mi corigerete"). Impartita la benedizione Urbi et Orbi,  saluta per l'ultima volta la folla radunata in S. Pietro tendendo le braccia al cielo. Nel suo breve discorso in italiano è stato quasi per tutto il tempo curvo, le mani piantate sul parapetto del balcone; sembra già piegato dal peso di una croce che sosterrà però fino all'ultimo. 

19 aprile 2005. Se Karol Wojtyla era il papa "centrifugo"  e anticonvenzionale dei gesti icastici, dei fuori programma, della partecipazione ai grandi eventi di massa, Joseph Ratzinger è stato un papa "centripeto": tetragono moltiplicatore di pensieri e di parole e comunicatore, nel linguaggio del corpo, soprattutto attraverso l'intensità dello sguardo e la (moderata) vivacità del movimento delle braccia e delle mani. In quella sua prima apparizione dalla loggia, però, l'apertura delle braccia è molto ampia e le mani sono bene aperte, quasi a proteggere il volto tirato e il sorriso un po' nervoso di una timidezza ancora più palese quando, consumato l'esordio ("Cari fratelli e sorelle") e il rito dell'autodefinizione ("un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore"), incespica nelle parole in più d'una occasione. Il presagio di un abbandono covato a lungo, e cresciuto nell'introversione.

13 marzo 2013. Sul balcone di San Pietro si materializza la figura imponente di Jorge Mario Bergoglio, tutto di bianco vestito; sono scomparse la mozzetta e la stola, e la croce sul petto è di metallo. Il sorriso è appena accennato, sembra trattenere la commozione. Saluta con una sola mano, che si muove morbida da destra a sinistra, da sinistra a destra, dal basso in alto; pare voler disegnare anche lei qualcosa nell'aria, fluida come la nostra modernità estrema. Il papa comincia così: "Fratelli e sorelle: buonasera". Sorride, nell'augurio serale ai presenti, e con quella mano sinistra che s'abbassa in quel momento di colpo ha già conquistato tutti. Come aveva già fatto Wojtyla si dice vescovo di Roma, prelevato fin quasi dalla "fine del mondo", e chiede ai fedeli di pregare con lui per il "vescovo emerito" Benedetto XVI. Recita il Padre nostro, l'Ave Maria e il Gloria al padre e parla quindi di carità, di fratellanza, di amore, di evangelizzazione, di preghiera, fiducia, benedizione reciproca e, soprattutto, di cammino; è il cammino che unisce il vescovo di Roma al popolo capitolino, ed è altresì il cammino delle parole: dobbiamo scuoterle dalle loro sedi, se vogliamo davvero farle parlare le une con le altre, e dobbiamo spingerle a interfacciarsi. Tutto pare alla fine convergere sulla scambievolezza e sul dialogo, sulla corresponsione e sulla partecipazione che Francesco I, in forma di altrettanti segnali, disseminerà nei suoi primi quindici giorni di pontificato. Un attimo prima dell'indulgenza plenaria qualcuno gli metterà la stola sulle spalle, ma ormai è tardi per non leggere l'atto come uno strappo alla (sua) regola; anche perché quella stola, a  benedizione impartita, se la toglie. Parla davvero a tutti Bergoglio, e non dimentica le donne. Non le sorelle, ma proprio le donne: "Adesso vi darò la benedizione a voi e a tutto il mondo, a tutti gli uomini e donne di buona volontà". Quelle donne che papa Wojyla non aveva invece menzionato invocando, il 16 ottobre del 1978, l'"aiuto di Dio" e l'"aiuto degli uomini".

Quelle donne e quegli uomini, credenti e non credenti, cristiani o musulmani, siamo tutti noi. Con Buonasera, quel 13 marzo, papa Bergoglio ci aveva salutato; con "grazie tante dell'accoglienza" ci aveva gratificato; con buonanotte e buon riposo ci aveva congedato. Ciao Francesco.
* saggista e docente di linguistica

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Un blog di: quadumi
Data di creazione: 31/05/2010
 

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Il mio Amico Speciale

 

       
  

   

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Noi siamo il mondo

 

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Ave Maria-Bocelli

Con te partirò-Bocelli

Miserere -Bocelli-Zucchero

Liberté

Solidarietà per
i dimostranti disarmati,
per i monaci coraggiosi,
per i nostri straordinari,
coraggiosi amici
della Birmania
e del Tibet

 

POESIE ARABE

Jovanotti-A te

Meravigliosa creatura -Nannini

Bello e impossibile

Sei nell'anima

Farò della mia anima

uno scrigno
Farò della mia anima

uno scrigno per la tua anima,
del mio cuore una dimora

per la tua bellezza,
del mio petto un sepolcro

per le tue pene.
Ti amerò come le praterie

amano la primavera,
e vivrò in te la vita di un fiore

sotto i raggi del sole.
Canterò il tuo nome come

la valle canta l'eco delle campane;
ascolterò il linguaggio

della tua anima
come la spiaggia ascolta

la storia delle onde

Kahlil Gibran

** 

Io ti amo quando piangi

Io ti amo quando piangi
e amo il tuo viso

annuvolato e triste.
La tristezza ci unisce e ci divide
senza che io sappia
senza che tu sappia.

Quelle lacrime che scorrono,
io le amo
e in loro amo l'autunno.
Alcune donne hanno

dei bei visi
ma diventano piu' belli

quando piangono.
Nizar Gabbani

 

Non sono coloro che sanno

parlare meglio
che hanno le migliori

cose da dire...
(Proverbio cinese).

La mia terra di Sicilia:

 

N jornu ca Diu Patri era
cuntenti e passiava 'n celu
cu li Santi, a lu munnu
pinsau fari un prisenti e da
curuna si scippau 'n
domanti; cci addutau tutti li
setti elementi, lu pusau a
mari 'n facci a lu livanti:
lu chiamarunu "Sicilia" li genti,
ma di l'Eternu Patri

e' lu diamanti.

 

 

 

 

 

 

PANELLE PALERMITANE

 

Panelle palermitane

(ricetta da Il cucinario.it)

LE PANELLE


500 gr. di farina di ceci,

un mazzetto di prezzemolo

tritato, 1 litro di acqua,

1 litro d'olio di semi

per frittura sale q.b.







prendete una pentola,

versatevi un litro d'acqua

circa e ponetela sul fuoco

a fiamma lenta. Unite a pioggia

la farina di ceci, salate e

mescolate continuamente

( attenti appena si addensa ..

girare xchè si può bruciare

attaccandosi...

sono pochi minuti.)







fino ad ottenere un impasto

denso che si staccherà dalle

pareti della pentola. Spegnete

il fuoco ed aggiungete parte del

prezzemolo, quindi versate

 il composto su un piano di

marmo precedentemente

inumidito


con una spatola bagnata

allargate in modo da ottenere

una superficie uniforme di circa

tre millimetri di spessore.

Fatelo raffreddare

e tagliate a rettangoli.








Friggete in abbondante

olio di semi.
A piacere spremerci

sopra il limone ,e poi metterle

dentro ad un bel panino tondo.

 

CUCINA PALERMITANA

Pasta con le sarde

Sarde A Beccafico

Spaghetti aglio, olio e peperoncino

"Lo sfincione"

Arancini di riso

 

 

D.S

 

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TE C'HANNO MAI MANNATO

A QUER PAESE

SAPESSI QUANTA

GENTE CHE CE STA

E IL PRIMO CITTADINO

E' AMICO MIO

TU DIGLI CHE TE

C'HO MANNATO IO...

...E VA E VA..."

 

 

" A Livella" di Totò

 

 

 

 

 
 

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