Aquilonechevolaalto

La bontà è l'unico investimento che non fallisce mai.(David Thoreau).

 

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AREA PERSONALE

 

LE 7 FRASI DI GESù SULLA CROCE

"Padre, perdona loro" (I)

 

"Oggi tu sarai con me in paradiso"(II)

"Ecco tuo figlio... ecco tua madre!"(III)

"Perché mi hai abbandonato?"(IV)

"Ho sete" (V)

"È compiuto!" (VI)

"Padre, nelle tue mani rimetto

lo spirito mio" (VII)

Visitare Gerusalemme

Il muro del pianto

con      U.N.I.T.A.L.S.I.

 

Andrea Bocelli

 

 

 

PACE

Non importa che tu sia

uomo o donna
fanciullo o vecchio,

operaio o contadino,
soldato o studente

o commerciante;
non importa quale sia il

tuo credo politico

o quello religioso
se ti chiedono qual’è l

a cosa più importante

per l’umanità
rispondi prima,

dopo, sempre: la pace!

 

Tien Min, poeta cinese

La vita è bella -Benigni

 

 

Il lavoro va pregato, trasformiamo il nostro

lavoro in preghiera; incoraggiamo gli altri 

spendere un po’ dl loro tempo, anche

soltanto pochi minuti al giorno, nella

preghiera da soli con Gesù. Dieci

minuti da soli con Gesù ogni giorno,

non toglieranno nulla al lavoro, anzi

benediranno e incrementeranno

il lavoro. Il nostro lavoro è solo una

goccia d’acqua in un oceano, ma

se trascuriamo di versarla, l’oceano

sarà meno profondo di una goccia.

Per questo è necessario un

temperamento allegro, uno

spirito di abbandono totale

e di fiducia amorosa.

(Santa Teresa di Calcutta)

 

Prendi un sorriso regalalo a chi

non l'ha mai avuto.

Prendi un raggio di sole fallo volare

là dove regna la notte.

Scopri una sorgente fa' bagnare

chi vive nel fango.

Prendi una lacrima posala sul volto

di chi non ha mai pianto.

Prendi il coraggio mettilo nell'animo

di chi non sa lottare.

Scopri la vita raccontala a

chi non sa capirla.

Prendi la speranza e vivi

nella sua luce.

Prendi la bontà e donala a chi

non sa donare.

Scopri i l'amore e fallo

conoscere al mondo.

(Mahatma Gandhi)

 

Un Minuto de Reflexion

(Niños de África)

Messaggio di Madre Teresa

 

Proverbi arabi


Colui che non sa,

e non sa di non sapere,

è uno sciocco: evitalo.

Colui che non sa,

e sa di non sapere,

è un ignorante: istruiscilo.

Colui che sa,

e non sa di sapere,

è addormentato: sveglialo.

Colui che sa,

e sa di sapere,

è un saggio: seguilo.

 

 
Citazioni nei Blog Amici: 2
 

 

Se io potrò impedire

Se io potrò impedire
a un cuore di spezzarsi
non avrò vissuto invano
Se allevierò il dolore
di una vita
o guarirò una pena
o aiuterò un pettirosso
caduto
a rientrare nel nido
non avrò vissuto invano.

Emily Dickinson

 
NELSON MANDELA

-Solo gli uomini liberi

possono negoziare.

I prigionieri non

possono avere contatti.

 

 

 

 L’amore ha orrore di tutto ciò

che non è se stesso. (H. De Balzac)

Nel cuore di ogni uomo esiste

un punto verginale dove splende

la verità, dove si raccolgono le

idee pure e semplici

(Bossuet)

dove l’errore non entra.

(San Tommaso d’Aquino)

Da:
"Il piccolo Principe"

 

..." Non si conoscono che le

cose che si addomesticano ",

disse la volpe.

Gli uomini non hanno più il

tempo per conoscere nulla.
Comprano dai mercanti le

cose già fatte.
Ma siccome non esistono

mercanti di amici,

gli uomini non hanno

più amici.

Se tu vuoi un amico

addomesticami!"

Antoine de Saint-Exupéry

 

 

Elisa

ANCHE se non trovi le parole

FREE TIBET

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ERI TU IL MIO SIGNORE

Mentre incosciente ti ferivo

scoprivo ch'eri accanto a me.

Lottando inutilmente contro te

sentivo ch'eri tu il mio Signore.

Derubando del mio tributo

il tuo onore

vedevo crescere il mio

debito con te.

Nuotavo contro corrente

di tua vita

solo per sentire la forza

del tuo amore.

Per nascondermi da te

ho spento la mia luce,

ma tu m' hai sorpreso

con le stelle.

Rabindranath Tagore

 

Nel momento in cui chiuderò gli

occhi a questa terra, la gente

che sarà vicino dirà: “È morto”.

In realtà è una bugia.

Le mie mani saranno fredde,

 il mio occhio non potrà più

vedere, ma in  realtà la morte

non esiste, perché appena

chiudo gli occhi a questa terra,

mi apro all’infinito di Dio.

La morte è il momento dell’abbraccio

col Padre, atteso intensamente

nel cuore di ogni uomo e di ogni

creatura. (don Oreste Benzi)

Fate del bene sempre,

del bene a tutti,

del male a nessuno.

(San Luigi Orione)

 

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GANDHI E DALAI LAMA

 

 

 

 

 

TIZIANO TERZANI E GANDHI

 

GRAZIE DELLA VISITA

 

 

Per ridere un pò

Post n°1102 pubblicato il 13 Aprile 2013 da quadumi

 
 
 

Meglio non parlare...

Post n°1101 pubblicato il 13 Aprile 2013 da quadumi

 
 
 

Purtroppo...e si perde tempo...

Post n°1100 pubblicato il 13 Aprile 2013 da quadumi

 
 
 

Etna:la forza della natura

Post n°1099 pubblicato il 13 Aprile 2013 da quadumi

 
 
 

QUANDO HO COMINCIATO AD AMARMI DAVVERO

Post n°1098 pubblicato il 09 Aprile 2013 da quadumi

Sorridi

Sorridi, anche se il tuo cuore soffre
Sorridi, anche se si sta spezzando
Quando ci sono nuvole nel cielo,
“Non ci penserai”
Se sorridi
Attraverso la tua paura ed il tuo dolore
Sorridi e forse domani
vedrai il sole levarsi e splendere
Per te.

Illumina il tuo volto con la gioia
Nascondi ogni traccia di tristezza.
Anche se una lacrima
potrebbe essere sempre così vicina
Questo è il tempo in cui devi continuare a tentare,
Sorridi, che senso ha piangere?
Scoprirai che vale ancora la pena di vivere
Se solo sorridi.
Charlie Chaplin

 

E’ un dono incontrare qualcuno cui tu piaccia così come sei. Nel complesso ti giudicheranno sempre. Quindi vivi e fai quello che ti dice il cuore. La vita è come un’opera di teatro che non ha prove iniziali: canta, balla, ridi e piangi prima che cali il sipario e l’opera finisca senza applausi.

Charlie Chaplin

 

Più che di macchine abbiamo bisogno di umanità.
Più che di intelligenza abbiamo bisogno di dolcezza e bontà.
Charlie Chaplin

Il ridicolo è un atteggiamento di sfida: dobbiamo ridere in faccia alla tragedia, alla sfortuna e alla nostra impotenza contro le forze della natura, se non vogliamo impazzire.

Charlie Chaplin

È veramente bello battersi con persuasione, abbracciare la vita e vivere con passione. Perdere con classe e vincere osando perché il mondo appartiene a chi osa! La vita è troppo bella per essere insignificante.
Charlie Chaplin

 

«La felicità.. Esiste, le dico.
- Dove?
- Senta. Da ragazzo mi lamentavo sempre con mio padre perché non avevo giocattoli. Lui mi diceva: questo (si indica la testa) è il più grande giocattolo del creato, è qui il segreto della felicità….»

Charlie Chaplin, nel film Luci della ribalta

Il silenzio è un dono universale che pochi sanno apprezzare. Forse perché non può essere comprato. I ricchi comprano rumore. L’animo umano si diletta nel silenzio della natura, che si rivela solo a chi lo cerca.
[Charlie Chaplin]

Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
mi sono reso conto che la sofferenza e il dolore emozionali
sono solo un avvertimento che mi dice di non vivere contro la mia verità.
Oggi so che questo si chiama
AUTENTICITA’
Quando ho cominciato ad amarmi davvero, ho capito
com’è imbarazzante aver voluto imporre a qualcuno i miei desideri,
pur sapendo che i tempi non erano maturi e la persona non era pronta,
anche se quella persona ero io.
Oggi so che questo si chiama
RISPETTO PER SE STESSI.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero, ho smesso
di desiderare un’altra vita e mi sono accorto che tutto ciò che mi circonda
é un invito a crescere.
Oggi so che questo si chiama
MATURITA’.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero, ho capito di trovarmi sempre
ed in ogni occasione al posto giusto nel momento giusto e che tutto quello
che succede va bene.
Da allora ho potuto stare tranquillo.
Oggi so che questo si chiama
RISPETTO PER SE STESSI.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
ho smesso di privarmi del mio tempo libero
e di concepire progetti grandiosi per il futuro.
Oggi faccio solo ciò che mi procura gioia e divertimento,
ciò che amo e che mi fa ridere, a modo mio e con i miei ritmi.
Oggi so che questo si chiama
SINCERITA’.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero, mi sono liberato di tutto ciò
che non mi faceva del bene: cibi, persone, cose, situazioni e da tutto ciò
che mi tirava verso il basso allontanandomi da me stesso,
all’inizio lo chiamavo “sano egoismo”, ma oggi so che questo è
AMORE DI SE’
Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
ho smesso di voler avere sempre ragione.
E cosi ho commesso meno errori.
Oggi mi sono reso conto che questo si chiama
SEMPLICITA’.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
mi sono rifiutato di vivere nel passato
e di preoccuparmi del mio futuro.
Ora vivo di piu nel momento presente, in cui TUTTO ha un luogo.
E’ la mia condizione di vita quotidiana e la chiamo
PERFEZIONE.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
mi sono reso conto che il mio pensiero può
rendermi miserabile e malato.
Ma quando ho chiamato a raccolta le energie del mio cuore,
l’intelletto è diventato un compagno importante.
Oggi a questa unione do il nome di
SAGGEZZA DEL CUORE.
Non dobbiamo continuare a temere i contrasti,
i conflitti e i problemi con noi stessi e con gli altri
perché perfino le stelle, a volte, si scontrarno fra loro dando origine
a nuovi mondi.
Oggi so che QUESTO è LA VITA!

Charlie Chaplin

*IMPORTANTE: questa splendida poesia è stata erroneamente attribuita a Chaplin. In realtà il titolo originale della poesia è “When I loved myself enough” ed è stata scritta da Kim e Alison McMillen

 
 
 

Il pellegrinaggio

Post n°1097 pubblicato il 09 Aprile 2013 da quadumi

Il pellegrinaggio è uno dei gesti più antichi del genere umano, per quanto ci è dato di ripercorrere
con lo sguardo la sua storia. Sempre di nuovo l’uomo si rimette in cammino, per uscire
dall’abitudine della vita quotidiana, per prendere le distanze dalle solite cose, per diventare libero.
Questo impulso continua ancora a farsi sentire in quel fratello profano e più tardo del
pellegrinaggio che è il turismo. Esso continua a muovere gli uomini: fiumane di turisti e di girovaghi
si riversano incessantemente per le vie del nostro continente: l’uomo ha il presentimento di non
essere del tutto a casa.
Ma il pellegrinaggio deve essere qualcosa di più che puro e semplice turismo. Vorrei dire: esso
deve realizzare ciò cui mira anche il turismo, in una forma migliore, più fondamentale e più
pura. Per questo gli sono essenziali per un verso una maggiore semplicità, per l’altro una più
grande tenacia.
Del pellegrinaggio è propria quella semplicità che accetta la nostra condizione di pellegrini. Se
infatti vogliamo godere dappertutto del medesimo standard di consumi e del medesimo stile di
vita, possiamo girare il mondo quanto vogliamo: resteremo sempre chiusi in casa nostra. Potremo
sperimentare davvero qualcosa “d’altro” soltanto quando saremo diventati diversi e vivremo in
un altro modo: se, nella semplicità della fede, torneremo a essere intimamente pellegrini, uomini
in camino.
Qui entra in gioco l’intima e profonda tenacia della fede. Il pellegrinaggio non si interessa delle
bellezze naturali o di particolari esperienze vissute, che poi, a dire il vero, non ci fanno affatto
uscire da noi per entrare in una reale novità. L’obbiettivo del pellegrinaggio non è in ultima
istanza il godersi lo spettacolo della bellezza, bensì rompere il proprio guscio e mettersi in
relazione con il Dio vivente. Noi cerchiamo di conseguirlo visitando i luoghi della storia della
salvezza. Le loro vie, quelle interori, che passano per i cuori, e quelle fisiche, variamente lastricate
e agevoli, non sono tracciate in direzioni arbitrarie o senza costrutto. Noi girovaghiamo, per dir
così, nella geografia della storia di Dio: là dove egli stesso ha posto i suoi cartelli indicatori. E siamo
in cammino alla volta di un luogo che ci è già stato segnalato, non verso una località che cerchiamo
da noi.
Entrando nella storia di Dio e prestando attenzione ai segnali che la Chiesa – per la potenza
della sua fede – ha predisposto, noi andiamo anche gli uni verso gli altri. Divenendo pellegrini,
abbiamo la possibilità di godere ancor meglio di ciò che il turismo cerca: il diverso, il distacco dalle
cose, la libertà , un incontro più profondo con la realtà e con le persone.
Vorrei perciò raccomandare di cuore che abbiamo a vivere il pellegrinaggio proprio come
pellegrinaggio, e di non lasciare che esso si riduca a una gita o a un viaggio di piacere. Che esso non
sia un puro e semplice partire, quanto piuttosto un entrare nella storia che Dio ha tracciato con
l’uomo: immedesimandoci con i “segnali” della salvezza che egli ha collocato per noi lungo la via, e
con quella semplicità che è uno dei tratti essenziali della fede. Solo allora questo pellegrinaggio
diventerà un’esperienza vissuta grande e durevole.
JOSEPH RATZINGER
Omelie romane 24 maggio 1983

 
 
 

Lettera a mio padre che non c’è più

Post n°1096 pubblicato il 05 Aprile 2013 da quadumi

di nicolle73

 

“Ciao papà ti scrivo perché parlarti non è più possibile.
Questo è il mio modo per non dimenticarti… sono solo parole…
È successo tutto così in fretta e troppo veloce per capirlo.
In un secondo tutta la mia vita è cambiata e mai avrei pensato questo.. no mai!!! Ma io devo andare avanti anche se tu sei volato via!
Vivevamo pochi momenti insieme, ma ora non ce ne sarà più nemmeno uno!
Quando una persona importante se ne va se è importante in realtà non se ne andrà mai e tu, PAPÀ sarai sempre con noi, dentro i nostri ricordi più belli. Ormai papà non ci sei più, non c è giorno che non ti pensi, non c è giorno in cui non pensi a tutto ciò che mi hai detto, a ciò che ci siamo detti negli ultimi anni.
Hai passato gli ultimi 8 giorni della tua vita in un letto di ospedale, non avrei mai pensato che quel martedì 8 dicembre 2009 che da Cento sono venuta a trovarti in ospedale sarebbe stato l ultimo giorno che ti avrei visto… Ho mille domande in testa e nessuna risposta e mai ne avrò finché un giorno anch’io smetterò di respirare.
Mi sono ritrovata sola ad affrontare il mio dolore e, tutt’ ora mi ritrovo continuamente a pensare a te e l’immagine di te all’ospedale non mi lascia ragionare…
Io che andavo a letto la sera senza mai guardare la tv, mi addormento guardandola proprio per non pensare, per non continuare a versare lacrime… ma so che è tutto inutile. Non esistono parole di conforto, non esiste sostegno per un dolore così forte.
Uno è il mio dolore, quello di averti perso, uno è il mio pentimento, non averti salutato e averti detto quanto ti amavo; una è la mia colpa: non essere stata lì con te quando sei andato via; una è la mia domanda: sei sereno ora? Domanda a cui non c è risposta, domanda che mi rifarò ogni giorno della mia vita… per chi è credente è tutto più facile, pensare e rispondersi… non lo è per me!
Ma se è vero che chi muore ci guarda da lassù, allora spero che tu mi assista e che sia orgoglioso di me, perché di me stessa non lo sono per le troppe scelte sbagliate che ho fatto, per tutte le volte che ti ho fatto andare su tutte le furie… non c è più perdono di ciò ora che non ci sei più, perché solo te potevi darmelo… ma dagli errori si impara ed è per questo che cercherò di non rifarli. Si dice che “ darei tutto per un’altra occasione”…venderei solo l’anima al diavolo per rivederti solo dieci minuti e dirti tutto quello che non ti ho potuto dire, per poterti dire quanto mi manchi e quanto è grande il vuoto che mi hai lasciato!
Tutto questo è impossibile, non succederà mai!
Dovrò convincermi che almeno tu ora sei libero da ogni forma di dolore, che ci guardi e proteggi da lassù e che sei accanto ai nonni, tuoi genitori e ai genitori di mamma, lì con l amato zio Carlo tuo adorato fratello… che era desiderio tuo poterli rivedere.
Intanto mi manchi… ci manchi a tutti!
Ero e vivo a 360 km da te e, quando è arrivata la telefonata io sapevo già che te ne eri andato, il piccolo Alessandro lo aveva percepito: ero sola con lui quella notte, come tutte le notti, ma non ho potuto accettare che ci avessi lasciato, cercavo di captare le parole di mio fratello quando al telefono mi diceva che te n’ eri appena andato!
Ho visto la mamma arrabbiata con la vita, mio fratello mi ha abbracciato e singhiozzava, a mia sorella in lacrime ho detto “ce lo hanno ammazzato in ospedale”!!! a vederti steso dentro quella bara, inerme e immobile non ce l ho proprio
fatta e ho fatto male perché avrei conservato di te l immagine di un uomo che non ha sofferto prima di morire, invece la tua immagine di un uomo stanco e sfinito, intubato in un letto di ospedale è l ultima immagine che ho di te e mi perseguita perché non ero preparata a vederti così!!!
Poi arrivano e ti portano via e io mi incammino fuori verso la macchina per andare in chiesa e darti l estremo saluto e penso a te papà, il groppo alla gola scoppia in un pianto… i tuoi occhi, il tuo sorriso, i tuoi silenzi saranno solo un ricordo.
Quando è una persona buona ad andare via, forse il dolore è maggiore. Qualcuno ha detto che il tempo allevia il dolore, bèh, quel qualcuno aveva torto: il tempo non riempirà l enorme vuoto che hai lasciato dentro me, dentro tutti quelli che ti amavano e che ti amano… e sono tanti!
Ogni mattina mi sveglio pensando che sia stato tutto un incubo, che non ti abbiamo perso, non l ho accettata la tua morte così, no e non so se e quando ci riuscirò!
Tutto quello che io davo per scontato era invece importante; nella vita nulla è banale perché da un giorno all’ altro si può perdere tutto, così come io e noi tutti abbiamo perso te!

Tante sono le cose che avrei voluto dirti, tutte quelle parole che un po’ per imbarazzo, un po’ per orgoglio non si dicono tra padre e figlia… MA CHE SI TRASMETTONO COL CUORE!!! Io e te ci amavamo tanto anche se non ce lo siamo mai detto né dimostrato come si conviene.
Tanti rimpianti primo fra tutti non averti mai detto TI VOGLIO BENE e non averlo mai sentito dalla tua bocca.. ma penso tu l’ abbia sempre saputo nonostante i miei silenzi come io lo sapevo dai tuoi; il rimpianto di non averti potuto essere di aiuto. Riposa in pace papà”!!!

10 dicembre 2009
tua figlia Giulia

 
 
 

La poesia è il più “intimo” di un uomo, è l’anima di un popolo…

Post n°1095 pubblicato il 05 Aprile 2013 da quadumi

 

La poesia è come l’amore, e che cosa fa l’amore?
Rinnova sempre i sentimenti delle persone,
dà nuove energie e apre orizzonti verso la bellezza della vita.
Sembra una luce che illumina la nostra strada verso l’incognito.
L’amore, come la poesia, è come uno spazio aperto:
mano a mano che lo vai scoprendo cresci, maturi, gioisci, sperimenti la felicità.
Questo accade a livello individuale, da una parte;
dall’altra invece, la poesia diventa indispensabile quando la scienza o la filosofia non offrono risposte al mistero della vita.
In quel momento la poesia, come l’amore, si converte nell’unico mezzo capace di parlarti,
di dialogare con la tua anima.

Proprio come l’amore, non si “definisce” la poesia, la si prova, la si sente.
La poesia mi aiuta a meglio comprendermi;
non è un semplice mezzo d’espressione ma è “intimamente” legata alla mia esistenza:
senza la poesia, senza dubbio non sarei niente.
Si può immaginare una vita senza amore?
Si può essere se stessi senza amore?
Con la poesia, la mia identità si precisa, la mia relazione al mondo è più compiuta.
Perché l’identità non si eredita, si inventa, è una “creazione”.
La poesia è il più “intimo” di un uomo;  è  l’anima di un popolo.

Ali Ahmad Said Asbar

 
 
 

Il Tempo

Post n°1094 pubblicato il 05 Aprile 2013 da quadumi

Vorreste misurare il tempo che non ha misure ed è incommensurabile.
Vorreste regolare il vostro comportamento e guidare il corso
del vostro spirito
secondo le ore e le stagioni.
Del tempo vorreste fare una corrente per sedere sulla sua
riva scrutandone il fluire.

Ma l’eterno che è in voi conosce che la vita è senza tempo.
E sa che l’oggi non è che il ricordo di ieri,
e il domani il sogno di oggi.
E ciò che è in voi canto e meditazione dimora ancora entro

i confini di quel primo attimo
in cui le stelle furono sparse nello spazio.

Chi di voi non sente che la forza d’amore è illimitata?
E chi non sente che questo amore, benché sconfinato,
è racchiuso nel centro del proprio essere,
e non trapassa da pensiero d’amore a pensiero d’amore,
né da atto d’amore ad altro atto d’amore?

E non è il tempo, così come l’amore, indiviso e immoto?

Ma se col pensiero volete misurare il tempo in stagioni,
fate che ogni stagione cinga tutte le altre.
E che il presente abbracci il passato col ricordo,
e l’avvenire con la speranza.

Kahlil Gibran

 
 
 

FRASI PAPA FRANCESCO – Frasi Jorge Mario Bergoglio

Post n°1093 pubblicato il 02 Aprile 2013 da quadumi

Voi sapete che il dovere del conclave era di dare un vescovo a Roma: Sembra che i miei fratelli cardinali sono andati a prenderlo quasi alla fine del mondo.
PAPA FRANCESCO – Jorge Mario Bergoglio

*

Siamo qui. Vi ringrazio per l’accoglienza… Grazie. Prima di tutto vorrei fare una preghiera per il nostro vescovo emerito Benedetto XVI, preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca… Vi chiedo un favore, pregate il Signore perché mi benedica. La preghiera del popolo perché benedica il suo vescovo.
PAPA FRANCESCO – Jorge Mario Bergoglio

*

Buonanotte e buon riposo!
PAPA FRANCESCO – Jorge Mario Bergoglio

*

“Incominciamo questo cammino della chiesa di Roma, vescovo e popolo, con fratellanza, amore, fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi, l’uno per l’altro, preghiamo per tutto il mondo perchè vi sia una grande fratellanza.”
PAPA FRANCESCO – Jorge Mario Bergoglio

*

Mi auguro che questo cammino di chiesa che oggi cominciamo… sia fruttuoso per l’evangelizzazione per questa bella città.
PAPA FRANCESCO – Jorge Mario Bergoglio

*

Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me.
PAPA FRANCESCO – Jorge Mario Bergoglio

*

Non cediamo al pessimismo a quell’amarezza che il diavolo ci offre ogni giorno.
PAPA FRANCESCO – Jorge Mario Bergoglio

*

“Camminare, edificare, confessare.
Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce non siamo discepoli del Signore: siamo mondani: siamo vescovi, preti, cardinali, papi, ma non discepoli del Signore!”
PAPA FRANCESCO – Jorge Mario Bergoglio

*

“Alcuni non sapevano perché il vescovo di Roma ha voluto chiamarsi Francesco. Alcuni pensavano a Francesco Saverio, a Francesco di Sales, anche a Francesco d’Assisi. Io vi racconterò la storia. Nell’elezione, io avevo accanto a me l’arcivescovo emerito di San Paolo e anche prefetto emerito per il Clero, il cardinale Claudio Hummes: un grande amico, un grande amico. Quando la cosa stava diventando un po’ “pericolosa”, lui mi confortava. E quando i voti sono saliti a due terzi, è giunto l’applauso consueto, perché è stato eletto il Papa. E lui mi ha abbracciato e mi ha detto: “Non dimenticarti dei poveri!”. E quella parola è entrata qui: i poveri, i poveri. Poi, subito in relazione ai poveri ho pensato a Francesco d’Assisi. Poi, ho pensato alle guerre, mentre lo scrutinio proseguiva, fino a tutti i voti. E Francesco è l’uomo della pace. l’uomo che ama e custodisce il Creato, in questo momento in cui noi abbiamo con il Creato una relazione non tanto buona, no? E’ l’uomo che ci da questo spirito di pace, l’uomo povero … Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!“.
PAPA FRANCESCO – Jorge Mario Bergoglio

*

Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio.
PAPA FRANCESCO – Jorge Mario Bergoglio

*

La vocazione del custodire non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!
PAPA FRANCESCO – Jorge Mario Bergoglio

 
 
 

Il Papa e il linguaggio dei gesti

Post n°1092 pubblicato il 02 Aprile 2013 da quadumi

di MASSIMO ARCANGELI*Molto è già stato detto sul vocabolario di papa Francesco, sulle parole-chiave del suo mandato. Alcuni dei termini da lui pronunciati, e diligentemente registrati dai media, sono anche fra quelli prediletti da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI: amore, dialogo, fiducia, gioia, giustizia, libertà, misericordia, peccato, speranza, verità. Nulla di nuovo, stando almeno all'apparenza della loro superficie, in queste voci dell'uso comune o comunissimo. D'altronde, se l'italiano è intriso di cristianesimo, il cristianesimo è da sempre permeabilissimo al lessico fondamentale della nostra lingua perché dalla "religione della parola", tanto scritta quanto orale, ha ricavato ogni volta i maggiori punti di forza della sua azione predicatrice ed evangelizzatrice.

Quali allora le particolarità lessicali di papa Francesco? Senz'altro qualche termine meno o per nulla frequentato dai suoi immediati predecessori (tenerezza o pazienza, paranoico o autoreferenziale), ma il punto è un altro. A imporsi, nel suo caso, sono soprattutto i legami fra le parole: relazioni ontologiche (tra ponte e pontefice, accomunate dall'etimo) oppure fenomenologiche: tra giustizia e cultura (la prima crea la seconda) o tra gioia e croce (non c'è vera felicità che non sia stata messa alla prova dalla sofferenza). Nel solco della tradizione segnata dagli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, per il quale si traeva maggior frutto dai ragionamenti e dalle riflessioni personali sul mistero che dalla completa spiegazione delle sue forme. Il linguaggio verbale di Bergoglio, nelle sue possibilità di rimando e nelle sue relazioni interne, non è però il solo a parlare una lingua per certi versi nuova. Il linguaggio del corpo e degli abiti dice altrettanto, se non addirittura di più. 
        
21 giugno 1963. Si apre la loggia centrale della Sala delle benedizioni della basilica di S. Pietro. Preceduto dalla croce a stile, appare Paolo VI con la sua veste bianca, la mozzetta color cremisi, la stola pontificale, il crocifisso d'oro sul petto; ricalca in parte nei gesti le orme del suo predecessore, Giovanni XXIII. Rivolge lo sguardo alla folla esultante protendendo le braccia e muovendo le mani avanti e indietro, quasi a sventolarsi; alterna quel movimento al saluto con la mano destra (la sinistra sul cuore) e al segno di benedizione; guarda diritto davanti a sé, si gira a destra e poi a sinistra e poi ancora a destra; congiunge nuovamente le mani; torna a salutare con le braccia tese in avanti. Intona la benedizione Urbi et Orbi in latino e lascia ad altri l'incarico di concedere (in italiano) l'indulgenza plenaria e di chiedere ai presenti  -  e a chi sta ascoltando per radio  -  una preghiera per lui e per Santa Madre Chiesa. Saluta quindi un'ultima volta e se ne va. I suoi gesti sono quelli di una personalità di altissima statura. Ampi e solenni, distanziano e tuttavia rassicurano; sembrano promettere le riforme avvenire.

16 ottobre 1978. Rispetto a papa Luciani, più "sciolto" e amichevole del suo predecessore fin dal primo affacciarsi al balcone (contagioso, soprattutto, il suo sorriso), con Karol Wojtyla è in parte un'altra storia.  I paramenti sono gli stessi, i gesti e le parole no. Saluta a sua volta protendendo le braccia in avanti ma le porta anche in alto e poi in basso, intrecciando o sovrapponendo le mani. Se i due pontefici precedenti avevano quasi disegnato nell'aria il braccio orizzontale della croce, Giovanni Paolo II sembra mimare quello verticale. Esordisce con "Sia lodato Gesù Cristo",  continua con "Carissimi fratelli e sorelle", parla di sé come di "un nuovo vescovo di Roma", chiamato da un "paese lontano" ("lontano ma sempre così vicino per la comunione nella fede e nella tradizione cristiana"); menziona la paura per la nomina, l'ubbidienza verso Dio, la fiducia nella Madonna, la fede comune e la speranza; fa riferimento a un nuovo inizio, per quanto ritagliato sulla strada della storia e della Chiesa; cita l'italiano in un passaggio che sarebbe stato consegnato alla storia ("non se potrò bene spiegarmi nella vostra, la nostra lingua italiana: se mi sbalio, se mi sbalio mi corigerete"). Impartita la benedizione Urbi et Orbi,  saluta per l'ultima volta la folla radunata in S. Pietro tendendo le braccia al cielo. Nel suo breve discorso in italiano è stato quasi per tutto il tempo curvo, le mani piantate sul parapetto del balcone; sembra già piegato dal peso di una croce che sosterrà però fino all'ultimo. 

19 aprile 2005. Se Karol Wojtyla era il papa "centrifugo"  e anticonvenzionale dei gesti icastici, dei fuori programma, della partecipazione ai grandi eventi di massa, Joseph Ratzinger è stato un papa "centripeto": tetragono moltiplicatore di pensieri e di parole e comunicatore, nel linguaggio del corpo, soprattutto attraverso l'intensità dello sguardo e la (moderata) vivacità del movimento delle braccia e delle mani. In quella sua prima apparizione dalla loggia, però, l'apertura delle braccia è molto ampia e le mani sono bene aperte, quasi a proteggere il volto tirato e il sorriso un po' nervoso di una timidezza ancora più palese quando, consumato l'esordio ("Cari fratelli e sorelle") e il rito dell'autodefinizione ("un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore"), incespica nelle parole in più d'una occasione. Il presagio di un abbandono covato a lungo, e cresciuto nell'introversione.

13 marzo 2013. Sul balcone di San Pietro si materializza la figura imponente di Jorge Mario Bergoglio, tutto di bianco vestito; sono scomparse la mozzetta e la stola, e la croce sul petto è di metallo. Il sorriso è appena accennato, sembra trattenere la commozione. Saluta con una sola mano, che si muove morbida da destra a sinistra, da sinistra a destra, dal basso in alto; pare voler disegnare anche lei qualcosa nell'aria, fluida come la nostra modernità estrema. Il papa comincia così: "Fratelli e sorelle: buonasera". Sorride, nell'augurio serale ai presenti, e con quella mano sinistra che s'abbassa in quel momento di colpo ha già conquistato tutti. Come aveva già fatto Wojtyla si dice vescovo di Roma, prelevato fin quasi dalla "fine del mondo", e chiede ai fedeli di pregare con lui per il "vescovo emerito" Benedetto XVI. Recita il Padre nostro, l'Ave Maria e il Gloria al padre e parla quindi di carità, di fratellanza, di amore, di evangelizzazione, di preghiera, fiducia, benedizione reciproca e, soprattutto, di cammino; è il cammino che unisce il vescovo di Roma al popolo capitolino, ed è altresì il cammino delle parole: dobbiamo scuoterle dalle loro sedi, se vogliamo davvero farle parlare le une con le altre, e dobbiamo spingerle a interfacciarsi. Tutto pare alla fine convergere sulla scambievolezza e sul dialogo, sulla corresponsione e sulla partecipazione che Francesco I, in forma di altrettanti segnali, disseminerà nei suoi primi quindici giorni di pontificato. Un attimo prima dell'indulgenza plenaria qualcuno gli metterà la stola sulle spalle, ma ormai è tardi per non leggere l'atto come uno strappo alla (sua) regola; anche perché quella stola, a  benedizione impartita, se la toglie. Parla davvero a tutti Bergoglio, e non dimentica le donne. Non le sorelle, ma proprio le donne: "Adesso vi darò la benedizione a voi e a tutto il mondo, a tutti gli uomini e donne di buona volontà". Quelle donne che papa Wojyla non aveva invece menzionato invocando, il 16 ottobre del 1978, l'"aiuto di Dio" e l'"aiuto degli uomini".

Quelle donne e quegli uomini, credenti e non credenti, cristiani o musulmani, siamo tutti noi. Con Buonasera, quel 13 marzo, papa Bergoglio ci aveva salutato; con "grazie tante dell'accoglienza" ci aveva gratificato; con buonanotte e buon riposo ci aveva congedato. Ciao Francesco.
* saggista e docente di linguistica

 
 
 

Buona Pasqua

Post n°1091 pubblicato il 30 Marzo 2013 da quadumi

Aiutami, o Signore risorto,
a sorridere alla Pasqua che oggi celebriamo,
a non pensare a ciò che ho lasciato,
ad essere felice di ciò che ho trovato.
Aiutami, o Signore risorto,
a non volgermi indietro perché l’ieri non c’è più
se non come briciola di lievito per il pane d’oggi.
Aiutami a sorridere alla vita che avanza,
sempre così ricca di sorprese e di novità.
Aiutami a sorridere alla poesia che canta nel cuore
per spingermi alla ricerca di spazi sconfinati.
Aiutami, o Signore risorto,
a sorridere ai tentativi che compio
per essere e restare creatura nuova.
Aiutami, o Signore,
che sento vivo dentro di me,
a sorridere ad ogni alba che viene,
perché ora so che,
se vengo e sto con te,
ogni giorno è Pasqua,
ogni giorno è “primo mattino del mondo”.
Amen.

(A.Dini

Vorrei che andaste incontro al sole e al vento con la pelle,
più che con il vestito, perchè il respiro della vita è
nella luce solare e la mano della vita è nel vento.
 Kahlil Gibran "Il profeta"
AUGURI PER UNA SERENA PASQUA
Quadumi

"Questa esperienza di pace e riconciliazione interiore (doni del Risorto) la facciamo soprattutto quando diamo a Dio tempi gratuiti di preghiera, di silenzio, di ascolto della Parola; quando siamo fedeli alla preghiera quotidiana, senza fretta, con calma, con amore; quando dedichiamo a Dio con gioia il tempo della Messa domenicale (e arriviamo a viverla avendola preparata durante la settimana); quando lasciamo che dalle nostre labbra scaturisca la lode al Padre, il ringraziamento per le cose belle e buone che ci dà, per le persone che incontriamo e anche per gli eventi sofferti di cui non capiamo subito il senso". (C.M.Martini)

 
 
 

La misura dell'amore

Post n°1090 pubblicato il 30 Marzo 2013 da quadumi

"Gli uomini e le cose umane bisogna conoscerli per amarli; Dio e le cose divine bisogna invece amarli per conoscerli" (Blaise Pascal)

"La misura dell'amore è l'amore senza misura" (S.Francesco di Sales)

 
 
 

Thich Nhat Hanh

Post n°1089 pubblicato il 30 Marzo 2013 da quadumi

Prendimi per mano.
Cammineremo.
Cammineremo soltanto.
Sarà piacevole camminare insieme.
Senza pensare di arrivare da qualche parte.
Cammina in pace.
Cammina nella gioia.
Il nostro è un cammino di pace.
Poi impariamo
che non c'è un cammino di pace;
camminare è la pace;
non c'è un cammino di gioia;
camminare è la gioia.
Noi camminiamo per noi stessi.
Noi camminiamo per ognuno
sempre mano nella mano.
Cammina e tocca la pace di ogni istante.
Cammina e tocca la gioia di ogni istante.
Ogni passo è una fresca brezza.
Ogni passo fa sbocciare un fiore sotto i nostri piedi.
Bacia la terra con i tuoi piedi.
Imprimi sulla terra il tuo amore e la tua gioia.
La terra sarà al sicuro
se c'è sicurezza in noi.

borgosotto

 
 
 

Vivere l’amore grande

Post n°1088 pubblicato il 30 Marzo 2013 da quadumi

“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri fratelli” (Gv 15,13) non è una definizione filosofica, ma è un invito preciso a non sbagliare amore, a individuare criteri di discernimento.

Ciascuno di noi è il protagonista di un insieme di amori di cui alcuni sono piccoli e altri grandi. Un amore piccolo è quello che ci coinvolge poco, che ci conduce a poco, che ci costa poco. È un amore grande quello che ci ispira la gratuità, che ci allontana dal nostro io, che ci regala agli altri.

L’amore grande ci fa capire che è molto importante dare, donare, ma è molto più importante darsi, donarsi; anzi, Gesù ce lo insegna, il vero dono è quello di tutta la nostra persona. C’è una grande differenza tra dare e darsi: si possono dare molte cose, come parole, gesti e tempo, ma tenendosi per sé il “di più”. L’amore grande esprime la gratuità, ci allontana da noi e ci inclina a donarci.

 

L’esperienza insegna che i comportamenti sono miscele di amori piccoli e grandi che si influenzano a vicenda e si contrastano. Immersi come siamo nel relativismo etico e morale, oggi, a differenza di ieri, ci vuole tanta più chiarezza. Tutti gli amori ormai vantano il diritto di essere per il solo fatto che ci sono: amo, dunque sono; ma è “l’amo”, quell’amare che va messo in discussione, e oggi non lo si mette più.

Ecco perché in questo mondo così confuso e disorientato bisogna trovare la propria strada e non c’è altro che aggrapparsi all’incorruttibile esempio che è Gesù Cristo, amico che non ci inganna, che ci introduce in una scuola d’amore che ci permette di evitare devianze, indebolimenti e perciò, sempre, tragedie e sofferenze.

 

 

GESÙ È STATO LA STORIA UMANA DELL’AMORE

 

E lo sapeva: “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Pensare a Gesù come a un uomo che ha amato molto, è psicologicamente esatto, ma non teologicamente: Gesù ha amato molto, ma non ha amato come amo io che amo e faccio altre cose. Egli è stato l’amore incarnato, il regalo del Padre e si è comportato da regalo sempre, non solo in qualche occasione.

Se un oggetto regalato sapesse parlare e capire che è un regalo, mi verrebbe incontro, probabilmente, e mi chiederebbe: “mi vuoi? ti piaccio?” E Gesù parla come un dono: Sono venuto con un fine ben preciso: affinché abbiate la vita e l’abbiate in abbondanza. Gesù non parla della nostra vita (“abbiate la vita” non è “abbiate la vostra vita”), che abbiamo già, ma della sua. Infatti “in abbondanza” nel greco non vuol dire “un po' di più”, ma “di un’altra qualità”: cioè la sua vita. È bellissimo sapere che ogni volta che Gesù ci incontra, lo incontriamo, Egli è il dono, sempre; non solo allora ma anche adesso.

La consapevolezza che non poteva stare senza regalare continuamente tutto ci aiuta a essere suoi tralci, a scegliere di vivere come Lui. Presi come siamo dalla mentalità utilitaria, ossessionati dal “io faccio, ma tu quanto mi dai?”, dobbiamo davvero capovolgere le cose e lasciarci prendere dallo Spirito per vivere nella misura del dono.


GESÙ È STATO UN’OFFERTA VIVENTE

 

“Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, perché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo” (Gv 10,17-18). Perciò, sapendo che era un dono non soltanto per farci stare meglio (“alzati e cammina”), ma era un dono per salvarci (la salute nel senso teologico), Gesù non ha potuto non essere una totale offerta: si è consumato. Tutti daremo la vita come Dio ci chiederà; ma Gesù, che era il dono, ha dovuto e ha voluto arrivare alla pienezza di questo programma. È inconcepibile un Gesù che muore tranquillo!

 

Ha dato tutto quando muore sulla croce perché ha voluto offrirsi. Si può vedere la croce come una tragedia di dolore, ma è importante contemplarla come un dono completo. È stupendo questo Gesù!

La vita di Dio non può essere distrutta. In apparenza Gesù è schiacciato, trattato come l’ultimo degli uomini, ma in realtà va dentro quella violenza, mettendosi nelle mani dei violenti. Nessuno gli toglie la vita, la offre da se stesso. È l’amore che lo sorregge: Gesù è docile ma non passivo, vinto dalle circostanze ma audace nel camminare dentro la propria passione e, mentre la soffre tutta, instancabile nel dire “Sì, è questo che voglio perché amo”.

 

Anche noi qualche volta siamo capaci di queste altezze quando scegliamo di vivere con dedizione in una situazione difficile, pur soffrendo: abbiamo l’impressione di entrare nel dolore come in un muro spesso, che però attraversiamo perché l’amore ci spinge. Si va avanti, si riprende la vita, si vive il sacrificio con semplicità, ci accorgiamo che Gesù è imitabile: un Gesù che si è dato come maestro anche in questo.

Chiunque faccia il più piccolo sacrificio, la più piccola rinuncia entra in questa economia. Se Dio ci chiedesse una volta per tutte la vita, insomma, sarebbe una parete un po' troppo alta da scalare, ma chiedendoci piccole cose che possiamo dare e dando un valore grandissimo a questi piccoli gesti di amore, ci allena all’amore generoso. Ecco perché ha senso il sacrificio e continua ad avere senso anche nella cultura edonistica di oggi, dove la parola stessa sacrificio è scomparsa. Invece il sacrificio ha un grandissimo senso, perché la più piccola rinuncia spezza il filo di un piccolo amore e mi sento più libero, più puro e più capace di grandi amori. Questa economia dell’amore è il segreto della salvezza.

 

 

GESÙ È STATO AMORE PORTATO A PIENEZZA

 

“Tutto è compiuto” (Gv 19,30). Quando muore, Gesù conferma tutto. Giovanni riferisce che l’ultima parola di Gesù in croce, dopo la quale chinato il capo spirò, è: “tutto è compiuto”. Nel verbo greco non vuol dire “finito” nel senso cronologico della parola, ma “portato a pienezza”. L’espressione quindi è da intendere: ora il mio amore è giunto al suo colmo, di più non potevo dare. E, in effetti, chinato il capo, spirò.

Dobbiamo ringraziare Dio se nella vita abbiamo dei momenti in cui possiamo dire che abbiamo dato tutto ciò che potevamo. E chi è che non ha di queste occasioni? Conosciamo quel certo rimorso tipico che è il rimorso di non aver dato tutto, di non essere stati completamente generosi in quella piccola cosa che mi costava quella parola, quel minuto di più, quel gesto. Essere cristiani è anche procurarsi con piccole occasioni grandi esperienze di generosità.

È stato l’amore a sorreggere Gesù in tutte le sue giornate. Che bello se in certi momenti delle nostre giornate con semplicità possiamo dire: “Padre, mi pare che tutto sia compiuto”.

 

 

LA VOCAZIONE CRISTIANA

 

La vocazione è essere chiamati a prendere molto sul serio Gesù come modello dell’amore più grande, rimanendo attenti a non lasciarsi condizionare dagli amori piccoli. È una purificazione.

Se scattasse in noi la scoperta sfolgorante che il dono crea amici, non ci vorrebbe tanto perché le civiltà fossero trasformate. Certo, il peccato resterà, il diavolo per adesso non scompare, ma che trasformazione inizierebbe se tutti i credenti partissero da questo presupposto!

Ti sei creato come amico uno che non conoscevi, uno che aveva fame, aveva sete, un carcerato, uno straniero? Gesù ha il quadro degli amici che non avremmo avuto; se sono diventati tali per il dono allora “Venite, benedetti dal Padre mio” (Mt 25,34). E sarà la gloria.

 

Questa è una grande lezione inesauribile, quotidiana, un esame di coscienza molto semplice. Non so se si possa proprio tutti i giorni acquistare un amico nuovo con il dono della vita, credo di sì, ma la tensione interiore deve esserci, eccome! Quando si prega Dio perché aiuti questo mondo, perché i peccatori si salvino, quando si offre qualche sacrificio perché qualche cuore si converta, si segue esattamente questa strada senza avere neanche la piccola soddisfazione di un volto che ci guardi, ci sorrida e ci dica grazie, perché si vedrà in cielo cosa si è combinato di bello per la salvezza; l’orizzonte però è molto radioso, molto aperto.

Chiediamo l’aiuto a Maria, lei che si è fatta amico il mondo quando ha detto quel famoso “sì” a Giovanni accettandolo come suo figlio mentre il suo vero figlio moriva. Aver tenuto il cuore aperto in quel momento è l’atto più eroico che la storia umana possa mai segnare sulle sue pagine.

 

tratto da un incontro all’Arsenale della Pace

testo non rivisto dall'autore

 
 
 

La Settimana Santa

Post n°1087 pubblicato il 26 Marzo 2013 da quadumi

 

 
 
 

Gesù di Nazareth

Post n°1086 pubblicato il 26 Marzo 2013 da quadumi

 

E quella mano Tua
che improvvisa
alta e ferma
ordinava :" Ubbidiscimi "
E Satana fuggiva
dagli indemoniati
E visi umani
dolci tornavano a rivivere

E quel sussurrato...
" Torna a pescare "
detto a Pietro
e la risposta sua ironica
" Vieni a predicare ai pesci "
e quegli occhi ..Tuoi
ritratto stesso di infinito amore

"Il regno dei cieli è qui ora"
Rete gettata nel mare
e tutti insieme a lavorare...

 

 

E quel farTi ospite
in casa di chi tiene porte chiuse
urlato con amore al mondo intero

" Abbi pietà " grida l'ammalato
" I tuoi peccati ti sono perdonati"
La Tua risposta immensa


E la Tua mano potente
in aria che comanda ancora
e grida muta
ad usurai prostitute e peccatori
" Il cuore della Legge è il perdono"

E raccontasti di due figli
e del minore
che tutto dissipò
prima di tornare a vita
ed al maggiore
che irato non capiva
dicesti allora:
" Tuo fratello era morto ed ora vive "

Per tutti tuonavano le Tue parole

-" Chi perderà la propria vita la ritroverà
perché gli ultimi saranno i primi"
-" Non accumulate tesori in terra
accumulateli in cielo "

E quell'amore immenso per i fanciulli
" Io ti dico alzati bambina "
ed occhi chiusi alla vita
si riaprivano di meraviglia pieni
e il mondo tutto si interrogava

" Si riconosce l'albero dai suoi frutti "

E dolce
Divino ed Umano
salisti
tutta quella strada Tua
tutta in salita
E lassù
su quella croce
gridasti
Uomo a Dio
lacerante ed infinito
il tuo dolore
Umano tra umani
a ricordare
a ricordarci

Andasti poi
con Te portando
quel ladrone
che Ti chiedeva
che Ti implorava

Cielo a Cielo
Spirito a Spirito
lavando al mondo
queste strade segnate
di passi umani

Oggi
domani
ieri
Noi ci rivisitiamo
in questo giorno
che Ti rivive ovunque
che ci rigenera ad una Speranza

Noi
Terra di erranti in corsa
dimentichi spesso
di quel Tuo Credere

Noi
piccole zolle
seminate al vento
bisognose di solchi sempre
e di quel Tuo aratro grande
strada unica per il Cielo
dimora nostra sempre.

 

 
 
 

Riti della Settimana Santa

Post n°1085 pubblicato il 26 Marzo 2013 da quadumi

La Processione dei Misteri di Trapani – Venerdì Santo di Pasqua
di Benito Marino

In nessun altro angolo della terra, come in Sicilia, vi sono tante manifestazioni religiose, tutte concentrate durante la Settimana Santa.

I riti della Settimana Santa presentano in Sicilia una complessità di contenuti e di simbologie dovute ai numerosi influssi, soprattutto dovuti alla cultura spagnola, dominante tra il XVI ed il XVII secolo, ed ai temi teologici della religiosità controriformista.

Tali riferimenti culturali non esauriscono però la complessità e l'importanza di tali riti all'interno delle comunità.Si evidenzia così come nel mistero della morte e della resurrezione ci siano, nella cultura popolare dell'isola, riferimenti più ampi di quelli seicenteschi, arrivando alla cultura bizantina che rappresenta un sostrato religioso importante e alla memoria dei più antichi riti di una tradizione mediterranea, più antichi di quelli dello stesso cristianesimo.

Le diverse manifestazioni si caratterizzano per la grande variatà che assumono nei vari centri dell'isola, diventando elemento caratterizzante della comunità, nonostante i mutamenti sociali e culturali della modernità.

Nonostante questa variabilità si possono rintracciare alcuni elementi comuni o quanto meno ricorrenti sotto riportati.

La Domenica delle Palme La processione della Domenica delle Palme. Tale ricorrenza è comune al resto dell'Italia ed a tutta la Cristianità, ma in Sicilia si svolge con particolare enfasi, con rievocazioni figurate, eredi di tradizioni di teatro religioso tardomedievali. Durante la processione, in quasi tutti i paesi della Sicilia, si utilizzano i ramoscelli di ulivo e anche foglie di palma, artisticamente intrecciate in forme tradizionali, che vengono portate in processione, generalmente da fanciulli. Praticamente solo a tale scopo venivano coltivate, in luogo assolato e protetto alcuni esemplari di palma da dattero o altre varietà che in Sicilia non hanno mai fruttificato. Ugualmente utilizzate, soprattutto in passato, fronde di alberi sempreverdi come l'alloro. Tali fronde assumono un valore magico-religioso apotropaico e vengono conservate tutto l'anno per preservare dai rischi di malattie e disgrazie.Il Mercoledì Santo [modifica]

I giorni precedenti il Venerdì, che rappresenta il tempo della crocefissione e morte, si svolge in molti paesi la processione del "Cristo alla colonna".

Il Giovedì SantoI "Sepolcri", allestimenti all'interno delle chiese per l'adorazione a partire dal Giovedì Santo. Elemento particolare è la presenza negli altari predisposti per tali allestimenti, di vasetti con germogli di grano fatti crescere al buio ("i lavureddi" cioè "piccole messi") che alcuni studiosi riferiscono a tradizioni elleniche. Le spighe di grano verdi sono inoltre presenti in altri momenti delle manifestazioni religiose.Il Venerdì Santo
Uno dei "Misteri" di Catenanuova

Il venerdì è caratterizzato dalla processione del Cristo Morto, caratterizzata quasi sempre da una notevole durata (a Trapani la processione dura ben 24 ore) o da una esasperata lentezza, che spesso portano la manifestazione fino al buio della sera. La processione è caratterizzato in genere dalla presenza non solo del Crocefisso o del Cristo morto adagiato su di una lettiga o in un'urna di vetro ("cataletto"), ma anche dei "Misteri" e della statua della L’Addolorata.

Spesso tale processione è preceduta o seguita dalla processione della "Cerca" che si svolge anch'essa quasi sempre al Venerdì Santo (spesso di mattina) e che vede il simulacro della Madonna "cercare" Cristo a volte inutilmente, a volte incontrando (Cerda) il Cristo morto; in questo caso la processione prende il nome di "Giunta" (Licodia Eubea). A volte tale "cerca" si svolge al sabato (Cassaro).

I "Misteri" sono statue lignee o di stucco, che richiamano i vari momenti della Passione di Cristo (Gesù alla colonna della flagellazione, Gesù schernito, Ecce Homo, Gesù caricato della croce, Gesù crocifisso, Gesù morto posto in una lettiga), che vengono mostrate e portate in processione in vari momenti durante la Settimana Santa (Ispica, Caltanissetta, Trapani, Biancavilla,Barcellona pozzo di Gotto e tantissime altre località). In alcuni casi, come nelle processioni di Enna, oppure nella processione del Mercoledì santo di Assoro la rappresentazione effettiva dei momenti della passione viene sostituita da oggetti simbolici (la lancia, il martello, la corona di spine, ecc).

I crocefissi "snodabili", in cui arti mobili che rendono possibile la rappresentazione della Crocefissione e della Deposizione, in cui il simulacro di Cristo viene tolto della croce e deposto in una lettiga. Tale particolare tradizione era comune in tutta Italia nel Medioevo[3] e sopravvive in Sardegna ed in alcuni centri della Sicilia (Avola, Licodia Eubea, Biancavilla) che conservano esemplari di questa particolare opera d'arte.

La Domenica di Resurrezione

La processione dell"Incontro", che inizia geeneralmente molto presto la mattina di Pasqua, con la statua della Madonna che va lungamente in cerca del figlio. Dopo un lungo itinerario, che spesso procede con rituale lentezza, avviene l'incontro tra la statua del Cristo risorto e quella della Madonna per la quale spesso viene prevista una subitanea metamorfosi con la sostituzione della statua o del manto (Ribera, Alcara li Fusi) e volo di colombe (Aragona), per esprimere il potere di rinascita della Resurrezione. La tradizione dell"Incontro" è presente anche in Calabria con in nome di "affruntata" o "cumprunta", Probabilmente il rito dell'"incontro" è derivato da sacre rappresentazioni quattrocentesche. Non mancano casi in cui il simulacro della Madonna si china o si sporge a a baciare Cristo o altri in cui è trasformato in una sorta di automa con braccia mobili che possono alzarsi a benedire.

Altri elementi ricorrenti
Il "calvario" di Cianciana
Alcuni dei riti fanno tappa o si svolgono al "Calvario", un luogo sacro all'aperto, posto generalmente in posizione elevata (Ventimiglia), o sul cocuzzolo di un'altura (Alcara li Fusi), caratterizzato da un recinto, una lunga gradonata, una croce e un altare in muratura, o una piccola cappella (Centuripe). Il luogo rappresenta la trasposizione simbolica del Golgota sul quale avvenne la crocefissione di Cristo e si ricollega alla tradizione dei Sacri Monti dell'Italia settentrionale e dell'Europa centrale. Tuttavia i "calvari" siciliani si distinguono per essere luoghi ai margini o vicini al centro abitato e santuari extraurbani, e per l'essere generalmente privi di edifici monumentali essendo ridotti ad un recinto sacro, un templum che rappresenta quasi una chiesa all'aperto che trova un corrispondente nella tradizione iberica e forse nella cultura mediterranea.

La presenza, nelle varie manifestazione degli appartenenti alle varie confraternite, che sono spesso i soggetti organizzatori dei riti. I confratelli sono coperti dal tradizionale abito penitenziale costituito da tonaca e cappuccio, spesso detto babbalucco

La manifestazione, durante le varie manifestazioni, di rivalità o quanto meno di emulazione tra gruppi diversi, distinti in diverse confraternite o associazioni oppure in base alla localizzazione nella struttura urbana (Catalfaro, Comiso[8]) o nell'organizzazione sociale (San Biagio Platani)

La presenza dei simulacri di altri santi, oltre quelli normalmente coinvolti nelle rappresentazioni della Settimana Santa. Nella parte meridionale dell'isola compaiono spesso sotto forma di "giganti" (Barrafranca), localmente detti santuna (Aidone) o sanpauluna (San Cataldo), ed in particolare durante la processione dell'"Incontro". Rappresentano soprattutto gli Apostoli (Aidone, Barrafranca, San Cataldo, Monterosso), ma anche solo San Pietro (Caltagirone), San Pietro e Paolo (Aragona), San Giovanni, San Michele Arcangelo (nell'agrigentino).[9] In alcuni casi, come a Riesi i "Sanpauluna" sono stati aboliti perché le autorità ecclesiastiche ritenevano che avessero un carattere carnevalesco e poco dignitoso. La presenza dei giganti è da riferirsi sia ad antichi miti mediterranei, sia ad analoghi elementi processionali presenti in Spagna o nelle Fiandre, regioni con cui la Sicilia ha avuto intensi scambi culturaliLa rappresentazione della Passione in rappresentazioni di tipo teatrale, derivanti forse dalle sacre rappresentazioni medievali note come "misteri" e vive in Sicilia tra XIV e XV secolo.

Simbologie
Cuddure

Generalmente i riti pasquali siciliani vengono riferiti ad un'influenza spagnola, molto presente sulla società siciliana del XVII secolo. Tuttavia non si può non rilevare moltissime somiglianze con le tradizioni di altre regioni come la Calabria e la Puglia, ed altre non interessate dal dominio spagnolo come la Sardegna (Riti della Settimana Santa in Sardegna).

Certamente con gli elementi prevalenti religiosi di tipo penitenziale tipici della religiosità seicentesca, convivono, anche se alcune sempre più con difficoltà, alcuni elementi che risalgono a tradizioni precedenti spesso riferibili ad un'area più estesa di quella della sola isola. Sono state, infatti rintracciati tradizioni relative a vari periodi della complessa storia isolana:

Tradizioni medievali come le sacre rappresentazioni e le "diavolate".

Tradizioni della chiesa ortodossa a cui la religiosità isolana aderì da prima del Medioevo e continua sino ad oggi, con le comunità albanesi che tuttora praticano il rito greco-ortodosso. La comunità di Piana degli Albanesi, che conserva lingua, tradizioni e costumi albanesi, si distingue per il rito greco-bizantino. Nelle celebrazioni liturgiche vengono utilizzate sia la lingua greca che la lingua albanese. Le manifestazioni religiose, solenni e ricche di simbolismi, si svolgono lungo tutto l’anno ma raggiungono il loro culmine nella celebrazione della Java e Madhe (Settimana Santa). Tra le varie tradizioni sono da ricordare alcuni dolci tradizionali: Panaret tipico di Piana degli Albanesi, a forma di cesto con manico di pasta frolla, Verdhët, una sorta di torta, e Vetë të kuqe, tipico della medesima comunità e riscontrabile nei paesi ortodossi della Grecia, ricca di simboli che richiamano la vita, la fertilità e la Resurrezione.

Tradizioni della religiosità popolare greca. Sono stati infatti riferiti ai «giardini di Adone», utilizzati nel culto pagano del dio morto e resuscitato, i "lavureddi" di grano cresciuto al buio esposti nei "Sepolcri". Anche la processione della "cerca" è stata riferita ad analoghe manifestazioni religiose in cui Afrodite andava alla ricerca dello sposo/figlio Adone.

Tradizioni precristiane di rinascita primaverile. Tale riferimento del resto è comune a tuttao il mondo cattolico, visto il cristianesimo, fin dalle origini, sovrappose la celebrazione della Pasqua al il simbolismo dei riti pagani legati al rinnovamento stagionale. Tra questi aspetti: le fave verdi (Biancavilla, Bronte, Isnello), le fronde di alloro (Caltavuturo, Cammarata, Naso, Caltabellotta, Forza d'Agrò), arancio (Terrasini) e mirto portati in processione, gli archi addobbati con elementi vegetali (San Biagio dei Platani) gli alberi, più o meno simbolici, innalzati (Terrasini), le pertiche (Pietraperzia, Ribera), le maschere (San Fratello, Prizzi), i dolci rituali, le torce (Alimena, Caltanissetta, Ferla) e i falò (Leonforte, Sortino).[12][13] Nel caso degli elementi vegetali è chiara l'origine da riti di rigenerazione e di celebrazione della fertilità propiziatoria e della rinascita primaverile preesistenti al cristianesimo e che interpretano la Pasqua come rigenerazione periodica dell'anno e della natura attraverso la rappresentazione simbolica del dio salvatore che muore e rinasce, sconfiggendo la morte ed assicurando la rinascita individuale, il rinnovamento della natura e l'abbondanza del raccolto.

I canti pasquali

In alcuni centri minori della Sicilia (Montedoro, Capizzi, Leonforte, Cerami, Tusa Delia, Alcara li Fusi, Longi) è sopravvissuta, sempre con maggior difficoltà, una tradizioni di musica polivocale, che si manifestava nel repertorio di canti tradizionali eseguiti senza l'accompagnamento strumentale ma semplicemente accordando tra di loro le diverse voci dei vari cantori che si accavallano nell'esecuzione, in modo simile alla tradizione sarda, maggiormente conservata e valorizzata e a quella andalusa. Tali canti coprivano un vasto repertorio ed erano eseguiti in vari occasioni durante l'anno, anche se una rilevanza particolare assumevano quelli eseguiti durante la Settimana Santa.

Un particolare rilievo tra i canti pasquali hanno le "lamentanze", inni di dolore in latino o in dialetto, cantati da gruppi di giovani cantori, anziani o confratelli (Enna, Caltanissetta, Bivona).

La Pasqua Albanese (Pashkët Arberëshe)

La Pasqua per le comunità italo-albanesi di rito greco-bizantino è la ricorrenza centrale, dalla cui data dipendono le altre feste. Rappresenta la festa delle feste, e i riti della Passione, della morte e della Resurrezione di Gesù vengono vissuti secondo la ricca simbologia orientale. Molto suggestiva è l'intera Settimana Santa (Java e Madhe).

Il programma delle celebrazioni prende il via il venerdì precedente la Settimana Santa, quando si celebra la resurrezione di Lazzaro con il Projasmena (Messa dei presantificati) e il canto di Lazzaro (kënga e Lazërit) per le vie del paese. Particolarmente suggestiva e coinvolgente è la celebrazione della Domenica delle Palme (E Dillja e Rromollidhet) a Piana degli Albanesi, che ricorda l’ingresso di Gesù a Gerusalemme su un asino da parte dell'Eparca e la benedizione delle palme e dei rami d’ulivo. Il Giovedì Santo si celebra la lavanda dei piedi durante la quale l'Eparca lava i piedi ai papàdes proprio come Cristo fece con i suoi Apostoli; mentre il Venerdì Santo gli uffici delle lamentazioni (Vajtimet), canti funebri a cui partecipano tutti gli abitanti di Piana degli Albanesi, la processione che attraversa tutto il paese accompagnata dai canti evangelici, in lingua greca e albanese, che narrano la passione di Cristo. Il Sabato santo avvengono i battesimi (pagëzimet) per immersione, si tolgono i veli neri dalle chiese e suonano a festa le campane per annunciare la Risurrezione di Cristo (të Ngjallurit e Krishtit). Dalla notte del Grande Sabato, poi, si intona il celebre "Christos Anèsti" (Cristo è risorto). Nella Domenica di Pasqua, per il Solenne Pontificale di Pasqua (Pashkët), l'inno della Resurrezione viene cantato ripetutamente durante l'Officio dell'Aurora (órthros) dell'innografo bizantino Giovanni Damasceno. Segue la liturgia di S. Giovanni Crisostomo officiata dai Concelebranti avvolti nei preziosi paramenti sacri. A Piana degli Albanesi il Pontificale si conclude con uno splendido e folto corteo di donne in sontuosi costumi tradizionali arbëreshë, che, dopo aver partecipato ai sacri e solenni riti, sfila per il Corso Kastriota raggiungendo la piazza principale. Al termine del corteo, in un tripudio di canti e colori, viene impartita la benedizione seguita dalla distribuzione delle uovo rosse, simbolo della nascita e della rinascita.

Da:   http://it.wikipedia.org

http://www.fotoegrafica.net/2008/12/processione-dei-misteri-il-venerdi-santo-a-trapani/

 
 
 

Settimana Santa

Post n°1084 pubblicato il 26 Marzo 2013 da quadumi

La Settimana Santa si apre con la domenica delle Palme, nella quale si celebra l'entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme, acclamato come Messia e figlio di Davide. Nella liturgia cattolica viene letto il racconto della Passione di Gesù secondo l'Evangelista corrispondente al ciclo liturgico che si sta vivendo. La tradizione risale a prima del IV secolo. Questa ricorrenza non segna la fine della Quaresima che, nella forma ordinaria del rito romano, si conclude il giovedì santo esattamente prima della messa vespertina

Il lunedì, martedì e mercoledì santo la Chiesa contempla in particolare il tradimento di Giuda per trenta denari. La prima lettura della Messa presenta i primi tre canti del Servo del Signore che si trovano nel libro del profeta Isaia.

Durante la mattina del Giovedì santo non si celebra l'eucarestia nelle parrocchie, perché viene celebrata un'unica Messa.In ogni diocesi, nella chiesa, presieduta dal vescovo insieme a tutti i suoi presbiteri e diaconi. In questa messa vengono consacrati gli Olii santi e i presbiteri rinnovano le promesse effettuate al momento dell'ordine sacro

Il solenne triduo pasquale della passione, morte e risurrezione di Cristo inizia nel pomeriggio del giovedì santo. In ora serale si celebra la Messa in Cena Domini, nella quale si ricorda l'Ultima Cena di Gesù, la istituzione dell'Eucarestia e del sacerdozio ministeriale, e si ripete il gesto simbolico della lavanda dei piedi effettuato da Cristo nell'Ultima Cena. Alla fine della messa gli altari restano senza ornamenti, le croci velate e le campane silenti. La croce verrà scoperta il giorno dopo, il Venerdì Santo durante la parte delle speciale cerimonia che (in quel giorno e solo in quel giorno) sostituisce l'adorazione della croce alla liturgia eucaristica.

Il Venerdì Santo è il giorno della morte di Gesù sulla Croce. La chiesa celebra verso le tre del pomeriggio la solenne celebrazione della Passione, divisa in tre parti:

  1. La Liturgia della parola, con la lettura del quarto canto del servo del Signore di Isaia (52,13-53,12), dell'Inno cristologico della lettera ai Filippesi (2,6-11) e della passione secondo Giovanni.
  2. L'adorazione della croce.
  3. La santa comunione con i presantificati.

Il Venerdì Santo è tradizione effettuare, in molti posti per le strade, il pio esercizio della Via Crucis. La chiesa cattolica pratica il digiuno ecclesiastico e si astiene dalle carni come forma di partecipazione alla passione e morte del suo Signore.

Sabato Santo [modifica]

Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi Sabato Santo e Veglia Pasquale.

Il sabato Santo è tradizionalmente giorno in cui non si celebra l'Eucaristia, e la comunione ai malati si porta solamente ai malati in punto di morte. Viene invece celebrata la Liturgia delle Ore; caso unico nell'anno liturgico, i Vespri di questo sabato non sono considerati Primi Vespri della domenica di Resurrezione.

Nella notte si celebra la solenne Veglia pasquale, che, nella chiesa cattolica, è la celebrazione più importante di tutto l'Anno Liturgico. In essa:

Si celebra la Resurrezione di Cristo attraverso la liturgia del fuoco: al fuoco nuovo si accende il cero pasquale, che viene portato processionalmente in chiesa; durante la processione si proclama La luce di Cristo, e si accendono le candele dei fedeli. All'arrivo al presbiterio il cero è incensato e si proclama l'Annuncio Pasquale.

La liturgia della Parola ripercorre con sette letture dell'Antico Testamento gli eventi principali della storia della salvezza, dalla creazione del mondo attraverso la liberazione del popolo d'Israele dalla schiavitù d'Egitto, alla promessa della nuova alleanza. Dopo il canto solenne del Gloria (che non era mai stato recitato durante la Quaresima), l'Epistola proclama la vita nuova in Cristo risorto, e nel Vangelo si legge il racconto dell'apparizione degli angeli alle donne la mattina di Pasqua.

Segue la liturgia battesimale, nella quale tutti i fedeli rinnovano le promesse del proprio battesimo, e vengono battezzati, se ce ne sono, i catecumeni che si sono preparati al sacramento.

La liturgia eucaristica si svolge come in tutte le messe.

L'Ufficio delle Tenebre (lat. Officium Tenebrarum o Tenebrae) era la liturgia principale del giovedì santo, venerdì santo e vigilia di pasqua prima delle riforme del XX secolo. Essendo formato dal Mattutino e dalle Lodi, prevedeva il canto dei salmi, delle lamentazioni, dei responsori, del Benedictus e del Miserere, spesso era anticipato al pomeriggio o alla sera del giorno prima, con lo spegnimento graduale di tutte le candele al canto di ciascun salmo, lasciando alla fine la chiesa nell'oscurità totale.

La domenica di Resurrezione torna a riecheggiare la gioia della veglia pasquale. Tale domenica è ampliata nell'Ottava di Pasqua: la Chiesa celebra la pienezza di questo evento fondamentale per la durata di otto giorni, concludendo la II domenica di Pasqua, chiamata fin dall'antichità domenica in albis, che Giovanni Paolo II ha voluto dedicare al ricordo della divina Misericordia.

Ai riti previsti dalla liturgia si accompagnano quelli che nel corso dei secoli la pietà del popolo cristiano ha adottato per rievocare i momenti più significativi della passione umana di Cristo, vero Uomo e vero Dio. Per la sincerità di tali espressioni religiose la Chiesa cattolica approva e consente lo svolgimento di queste celebrazioni, in quanto contribuiscono a rinsaldare e tramandare la fede cristiana.

In tutto il mondo cattolico, la tradizione popolare della Settimana Santa è ricchissima di canti, poemi, raffigurazioni e rievocazioni sceniche della Passione di Gesù, che spesso affondano le loro radici fin dai primi secoli del Cristianesimo.

La letteratura italiana è ricca di opere, scritte in prosa e soprattutto in poesia, di autori noti ed anonimi, ispirate ai sacri Evangeli che trattano la Passione di Cristo, dal suo ingresso trionfale a Gerusalemme, alla morte in croce, alla sepoltura e alla resurrezione dai morti (vedi ad esempio il celebre Stabat Mater o anche alcune Laudi di Jacopone da Todi, risalenti al XIII secolo). Le vicende umane e divine di Cristo, rievocate nella Settimana Santa, hanno ispirato l'opera non solo di numerosi scrittori e poeti, di ogni parte del mondo, ma anche di musicisti, pittori, scultori, architetti, artisti in genere.

In Italia numerosissime e spesso particolarmente suggestive sono le rappresentazioni della Settimana Santa, diffuse praticamente in ogni regione, nelle quali si mescolano gli elementi più strettamente religiosi a componenti in varia misura folklorisitiche. Fra le più particolari e belle in Italia sono quelle che si svolgono ad esempio a Sorrento o in Umbria, a Ortona con la caratteristica processione dei Talami, e a Sulmona entrambe cittadine dell' Abruzzo, a Sessa Aurunca, in provincia di Caserta, o a Ruvo in provincia di Bari, e in molte altre località dell'Italia meridionale e della Sicilia (dove ci sono notevoli influssi spagnoli) con le Processioni del Venerdì e sabato Santo; a Taranto, con i confratelli detti Perdoni, che si svolgono a partire dal giovedì Santo pomeriggio sino al sabato Santo mattina; quella di Polistena, con ben 11 riti, tra cui 4 in un solo giorno; quella di Molfetta con la processione dell'Addolorata il venerdì di Passione, dei Misteri il venerdì santo e della Pietà il sabato santo; quella di Bitonto con la processione dell'Addolorata il venerdì di Passione, e le processioni dei Misteri e di gala, rispettivamente all'alba e la sera del venerdì santo; quelle caratteristiche di Catanzaro, San Fratello, Enna, Caltanissetta, Trapani, Noicattaro Vico del Gargano e Caulonia,dove il Sabato Santo si svolge la particolare funzione del "Caracolo". Anche numerosi centri della Sardegna si celebrano i riti della Settimana Santa: tra i più importanti quelli di Cagliari, Castelsardo, Iglesias, Domusnovas.

Da:

http://it.wikipedia.org/wiki/Settimana_Santa

 
 
 

Saggezza indiana

Post n°1082 pubblicato il 21 Marzo 2013 da quadumi

 

La non-violenza è in verità
la corona del mondo;
la non-violenza è la legge suprema.
Come nell’impronta d’elefante
sono incluse le altre orme
di coloro che percorrono un sentiero,
così il senso di ogni legge
è compreso nella non-violenza.


Agni-purâna

Se non si potesse attingere la Verità
se non in un qualche momento futuro,
a prezzo di un certo sforzo,
se fosse uno stato nuovo,
qualcosa che occorre acquisire,
non varrebbe la pena
di mettersi alla sua ricerca.


Ramana Maharshi

Se la mente è consapevole
della transitorietà,
non si rattrista della ghirlanda che appassisce:
ma se la mente ritiene permanenti le cose,
si rattrista anche per un coccio rotto.


Sârasamuccaya

La realtà non è una ricompensa per aver agito bene,
né un premio per aver superato certe prove.
Non può esser prodotta.
è ciò che è primario, non nato,
la fonte antica di tutto ciò che c’è.
Tu sei qualificato a essere quello,
perché ci sei!
Non hai bisogno di meritar la realtà.
è tua.
Smetti semplicemente di scappar via da essa
correndo dietro a qualcosa.

 Nisargadatta

A chi non è noto, è noto;
colui al quale è noto, non sa.


Kena-upanishad

Il mondo intero è assoggettato a gioia e dolore;
di volta in volta si è uniti e separati.
Coloro che vengono a portare al rogo
i cadaveri amati dei loro cari
e che si siedono presso di essi
spariranno a loro volta dal mondo
per l’esaurirsi del loro karman,
quando sia giunto il termine stabilito.


Mahâbhârata

Fuggita la giovinezza, dov’è il gioco d’amore?
Disseccatasi l’acqua, dov’è il lago?
Dilapidata la ricchezza, dove sono i parassiti?
Conosciuta la Realtà, dov’è il mondo?


Mohamudgara

Seminate un’azione,
raccoglierete un’abitudine.
Seminate un’abitudine,
raccoglierete un carattere.
Seminate un carattere,
raccoglierete un destino.


Shivânanda

 

Non chi riceve è beato,
ma chi dà.


Vivekânanda

Chi sono?
Come e a causa di chi sono venuto?
Chi è mia madre e chi mio padre?
Ecco che cos’è questo mondo:
tutto questo non è che un sogno!


Shivadâsa

La rinunzia non è qualcosa di negativo:
si rinunzia solo all’infelicità.


Yogânanda

Solo la lampada della verità
è la luce dei saggi.


Tirukkural

Ciò che procura solo piacere è inutile.


Ananda Coomaraswamy

Anche se viene spezzato e tagliato,
il sandalo rende ogni cosa profumata
con la propria fragranza:
esattamente così si comporta chi è buono.


Nârada-purâna

 
 
 
 
 

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Data di creazione: 31/05/2010
 

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Jovanotti-A te

Meravigliosa creatura -Nannini

Bello e impossibile

Sei nell'anima

Farò della mia anima

uno scrigno
Farò della mia anima

uno scrigno per la tua anima,
del mio cuore una dimora

per la tua bellezza,
del mio petto un sepolcro

per le tue pene.
Ti amerò come le praterie

amano la primavera,
e vivrò in te la vita di un fiore

sotto i raggi del sole.
Canterò il tuo nome come

la valle canta l'eco delle campane;
ascolterò il linguaggio

della tua anima
come la spiaggia ascolta

la storia delle onde

Kahlil Gibran

** 

Io ti amo quando piangi

Io ti amo quando piangi
e amo il tuo viso

annuvolato e triste.
La tristezza ci unisce e ci divide
senza che io sappia
senza che tu sappia.

Quelle lacrime che scorrono,
io le amo
e in loro amo l'autunno.
Alcune donne hanno

dei bei visi
ma diventano piu' belli

quando piangono.
Nizar Gabbani

 

Non sono coloro che sanno

parlare meglio
che hanno le migliori

cose da dire...
(Proverbio cinese).

La mia terra di Sicilia:

 

N jornu ca Diu Patri era
cuntenti e passiava 'n celu
cu li Santi, a lu munnu
pinsau fari un prisenti e da
curuna si scippau 'n
domanti; cci addutau tutti li
setti elementi, lu pusau a
mari 'n facci a lu livanti:
lu chiamarunu "Sicilia" li genti,
ma di l'Eternu Patri

e' lu diamanti.

 

 

 

 

 

 

PANELLE PALERMITANE

 

Panelle palermitane

(ricetta da Il cucinario.it)

LE PANELLE


500 gr. di farina di ceci,

un mazzetto di prezzemolo

tritato, 1 litro di acqua,

1 litro d'olio di semi

per frittura sale q.b.







prendete una pentola,

versatevi un litro d'acqua

circa e ponetela sul fuoco

a fiamma lenta. Unite a pioggia

la farina di ceci, salate e

mescolate continuamente

( attenti appena si addensa ..

girare xchè si può bruciare

attaccandosi...

sono pochi minuti.)







fino ad ottenere un impasto

denso che si staccherà dalle

pareti della pentola. Spegnete

il fuoco ed aggiungete parte del

prezzemolo, quindi versate

 il composto su un piano di

marmo precedentemente

inumidito


con una spatola bagnata

allargate in modo da ottenere

una superficie uniforme di circa

tre millimetri di spessore.

Fatelo raffreddare

e tagliate a rettangoli.








Friggete in abbondante

olio di semi.
A piacere spremerci

sopra il limone ,e poi metterle

dentro ad un bel panino tondo.

 

CUCINA PALERMITANA

Pasta con le sarde

Sarde A Beccafico

Spaghetti aglio, olio e peperoncino

"Lo sfincione"

Arancini di riso

 

 

D.S

 

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TE C'HANNO MAI MANNATO

A QUER PAESE

SAPESSI QUANTA

GENTE CHE CE STA

E IL PRIMO CITTADINO

E' AMICO MIO

TU DIGLI CHE TE

C'HO MANNATO IO...

...E VA E VA..."

 

 

" A Livella" di Totò

 

 

 

 

 
 

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