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Essere nutria oggi

Post n°758 pubblicato il 08 Giugno 2013 da LaDonnaCamel
 
Tag: EDS, sensi, vista

L'ho detto più di qualche volta, le belle cose finiscono. Anche le brutte. Le cose finiscono sempre, prima o poi, belle o brutte, che tu lo voglia o no.
Stamattina ho preso la bici e sono andata per nutrie. Era passato tanto tempo dall'ultima volta che non mi ricordo nemmeno quando è stato. Potrei andare a sfogliarmi all'indietro il blog ma anche no, fa niente. Dopo tutta questa pioggia mi sembra di essere tornata da un viaggio, voglio celebrare l'estate perché certe cose, anche se finiscono, poi ricominciano e una di queste è proprio l'estate. Che bei pensierini saggi da quinta elementare che secerno. Il fatto è che non ho voglia di scrivere l'EDS. Ecco. L'ho detto. Ne ho cominciati tre o quattro su trenta buone idee che mi erano venute, sempre nei momenti meno opportuni, ma poi ho mollato lì. Non è perché è difficile, al contrario le sfide mi intrigano, son capace di tutto, delle volte. Trascino, organizzo, propongo e metto in fila per due. E poi quando si tratta di andare, quando finalmente è arrivata l'ora il più delle volte mi passa la voglia, anche se magari mi sforzo un po' e mi convinco da sola, su dai, vedrai che poi, quando sei lì.
Non l'avresti mai detto, eh. Sembro così sicura. No, dai, sotto sotto si capisce. Se guardi bene la filigrana si nota.
E insomma son partita alle sette e mezza. Prima che faccia caldo, ho pensato. E prima che si riempia di gente, mi piace avere il mio spazio, pedalare senza dover fare la gimcana tra cani, passeggini e passanti generici.
I prati del parco della Martesana sono di un verde abbacinante, rasati corti, l'erba è folta e liscia come una moquette di lusso, così non li avevo mai visti. Con tutta quella pioggia. Ma anche ci dev'essere stato un bel lavoro di manutenzione, non si taglia mica da sola, le foglie secche non si raccolgono da sole, le siepi non si autopotano, ci vogliono uomini e mezzi, si vede che il comune non li ha lesinati.
Quanti verdi, le piante sugli argini lucide e scure, le siepi hanno ancora quelle foglie tenerelle, tremano alla brezza del mattino. Si faranno più fitte e sarà l'estate, ma adesso ancora i profumi dei gelsomini e dei glicini mi si fanno incontro, l'aria è fresca e la luce bianca.
Arrivo presto al ponte, passo sotto e intanto guardo l'acqua, il livello non è alto come mi aspettavo, avranno tenuto aperte le chiuse. Il colore è marroncino fangoso ma il fondo si vede, le rive sono pulite. Paperette, poche. Una signora mi viene incontro e mi scampanella, guarda avanti! mi dice. Evabbè, l'ho vista. Con la coda dell'occhio. Cosa cerco lo sappiamo.
Mi fermo nel solito posto, parcheggio e guardo.
Niente è più come prima.
Il tronco tagliato che sporgeva non c'è più, la penisola con la spiaggietta e la tana dove la nutria faceva toeletta sono sparite.
È rimasta solo la tartaruga, su un altro pezzo di legno più piccolo, tirato in secca sul sottobosco morto.
Hanno ripulito via tutto, hanno spianato, messo in sicurezza la riva, si capisce.
Niente nutrie. Paperette poche e svogliate.
Mi viene un moto di stizza.
Mi avvicino al parapetto. Non c'è più nessuno qui?
Eh, lo so. Le nutrie non piacciono a tutti. C'è chi ne ha paura, molti sono convinti che siano carnivore, che mangino i pulcini. Chi le prende per pantegane, con quella coda lunga e sottile. Chi non le vede nemmeno. Chi abita da queste parti magari le odia proprio, chissà se sono disposte a entrare nelle cantine in cerca di cibo, di certo a tu per tu potrebbero essere un incontro non del tutto rassicurante.
Sporgo il labbro in una smorfia di dispiacere. Nutria, amica mia! Dove sei? Non mi vuoi più?
Risalgo e vado avanti piano, manca poco a Crescenzago e le vedo.
Si sono spostate, hanno traslocato. Ce ne sono tre, belle grasse, che nuotano avanti e indietro. Mi avvicino e si avvicinano anche loro, vengono a guardarmi da sotto in su. Hanno tutte una macchietta bianca sul muso, non capisco se è un riflesso o un segno di famiglia.
Certo che dev'essere stata dura per loro quando gli addetti del comune sono venuti a sloggiarle da quell'oasi bellissima. Chissà che spavento. Avranno dovuto scappare via e poi tornare quando tutto era calmo, ma solo per vedere che niente era più come prima.
Il comune deve difendere le sue istituzioni, anche loro hanno le sue belle ragioni. Non si può lasciare andare alla natura, la Martesana è una manufatto, un canale frutto della civilizzazione e costa una bella fatica mantenerlo a posto, ci vuole niente perché ritorni selvaggio. Il tronco caduto era una perturbazione dell'ordine artificiale che ci siamo dati.
Eh, lo so. Però era divertente. Rispondeva a un'esigenza. Quale non lo so, forse era solo un'esigenza di bellezza.
Solo io lo vedevo?
Forse anche la Nutria lo vedeva. Le piaceva, su questo sono sicura. Ma ha dovuto rientrare nei ranghi. Dopotutto l'aveva scelto lei di occupare quello spazio e sottostare a una specie di regolamentazione. Se non le andava bene poteva pure migrare in qualche campo aperto, allo sbaraglio. Ma come fare, se la sola idea di allontanarsi dalle sue cose note le dà una vertigine di terrore. Il cespuglio di ortiche, il rumore del treno in lontananza, il campanile che suona le ore sono i confini ideali di un perimetro da mai superare. Per non parlare delle sue sorelle che hanno la tana in condominio. La libertà è solo un sogno di paura, latrati di cani che si avvicinano e zappe, motoseghe, trattori.
Io dovrei tenere per il comune, dopotutto sono della stessa razza. Fanno le cose con i soldi delle mie tasse e dovrei esserne contenta. Se tagliano l'erba, se puliscono i vialetti, se portano via le foglie secche allora bene, se mettono a posto il tronco caduto - che pure è una perturbazione dell'ordine generale - allora mi sembra di dover rinunciare a qualcosa di mio.
Non c'è niente di mio, è inutile che mi illudo. Mi posso esser divertita qualche volta, mi sono presa il mio piacere con la nutria ma tutto questo non appartiene a me. Me lo devo ricordare. Non è che il proprietario sia venuto mai a reclamarne il titolo di appartenenza, sia chiaro. Mica lo sa che me la spassavo. È stata la nutria stessa che ha dovuto fare la sua scelta, abbandonare il tronco caduto e occupare il posto che le istituzioni hanno deciso per lei, pena la fuga allo sbaraglio, la paura e forse il pericolo mortale.
E poi che ne so. Che ne so io della vita che fa la nutria tutti i giorni. La vedo così raramente. In acqua fa la spavalda e si pavoneggia, sembra quasi che giochi. No, sono sicura che gioca. Ma la giornata è lunga e la notte ancora di più, la notte d'inverno non finisce mai. Dovrà procurarsi il cibo per sé e per i cuccioli, se ne ha. Dovrà scavare la tana oppure rinforzare i contrafforti, sfuggire ai predatori. Campare insomma.
Che ne so io di come campa lei, la vedo solo nei suoi momenti migliori.
Lei pure non sa molto di me, non le importa, credo. Forse quando mi vede sporgermi sul parapetto mi riconosce, viene lì e mi saluta a modo suo, mi guarda e pensa a che vita grama devono fare gli umani, sempre fuori dall'acqua.
Vai a sapere.

 

essere nutria oggi

Questo pezzo, scritto per l’EDS Non cosa ho veduto, ma come l’ho veduto proposto il 17 maggio da me medesima, e quindi sforante il tempo massimo e le regole che avevo suggerito ma come al solito me la canto e me la suono, si unisce a:


- Cuncittina, di Dario
- Dove una madre, di Hombre
- Trasposizione di un amore, di Lillina
- Foto di classe, di Pendolante
- Il fazzoletto bianco, di Pendolante
- Povero edipo di Melusina
- I peli sotto al naso di Lillina
- L'amore informale di due anime in guerra di Lillina

Tra poco arriva anche Fulvia e Cielo invece è una sòla.

 

 
 
 
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