Creato da LaDonnaCamel il 16/09/2006
Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
 

 

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Post n°925 pubblicato il 10 Luglio 2014 da LaDonnaCamel
 

E’ un'altra volta notte nel deserto. Simone è sotto la doccia. Oggi è stato ai depositi della Mezzaluna Rossa a controllare la consegna di un carico. Ha guidato quattro ore sullo sterrato e ha lavorato otto ore nei capannoni roventi, più una lunga riunione sulle procedure burocratiche per il prossimo gruppo di bambini che devono andare ospiti in Italia. E nell’inventario della merce arrivata mancavano centocinquanta chili di farina. Una giornata da mal di testa. Ha in mente solo la sua amaca, gli si chiudono gli occhi. Il sopracciglio destro si muove per conto suo. Ma è contento perché durante una sosta è riuscito a comprare dei regali per Amina e Shinta, sua madre. Due stoffe stampate a mano, grandi fiori blu per Amina, motivi arancioni per Shinta.
Amina quasi ogni giorno viene a casa, porta il tè, o dolci di datteri e miele, rassetta, pulisce. Lo fa quando lui è fuori, lo aspetta quando torna. E' inutile protestare, lei sorride, dice sì ma fa come vuole. E poi, perché protestare? Gli fa piacere trovare pulito e anche scambiare qualche parola in italiano, si sente meno solo. Per quanto fisicamente solo non è mai. Si tratta di altro, lo sa e non vuole pensarci.
Si strofina gli occhi sotto il getto dell'acqua e la vede. E' in piedi a meno di un metro. Lo sta fissando seria.
"Amina!” grida voltandole le spalle di colpo “sei matta!”
Prende l'asciugamano e cerca di coprirsi. C’è ancora acqua nella tanica e ha un istante di esitazione. In un fiato lei gli è vicina. E’ dietro di lui. Gli passa un dito sulla schiena bagnata. Lo fa scorrere lungo spina dorsale, dalla nuca giù tra le scapole e poi giù sui lombi. Giù.
Simone si spinge per quel poco di spazio rimasto, è contro il muro.
“Amina! Ti prego.” manda giù un fiotto di saliva, “non fare la sciocca. Vai a casa.” Cerca di fare la voce dura ma gli esce roca, è l’imbarazzo, è la stizza per la sua immediata risposta anatomica al contatto.
Volta la testa e non la vede più. E' uscita dal cerchio di luce della lampada, non è detto che si sia allontanata. Simone è irritato. Non potrà più godersi in pace la sua doccia privata. Dovrà cambiare le sue abitudini.
Rientra in casa, va spedito allo scaffale a cercare qualcosa da mettersi addosso. Lei è accosciata davanti al necessario per il tè.
“Adesso girati, per favore. Che mi devo vestire.” Si infila i boxer e un paio di calzoncini, tenendola d’occhio.
”Ascoltami bene.” Si siede davanti a lei, le gambe incrociate, le agita l’indice vicino alla faccia.
”Non ti permettere mai più di spiarmi mentre faccio la doccia. Hai capito?” Lei sostiene il suo sguardo, seria. Le trema appena il labbro inferiore.
“Simon” dice in un soffio. Abbassa la testa.
"Ti rendi conto che non puoi più fare questi giochetti?”
"No”.
"Dai. Non sei più una bambina.”
Lei alza gli occhi. Scintillano. Le ombre della lampada marcano i suoi lineamenti.
“Simon”, dice ancora.
Lui curva le spalle, scuote la testa.
“Non si fa. Lo sai che non si fa.”
Lei si china ancora più giù, stringe le labbra. Una goccia cade sulla stuoia e un’altra e ancora, un tremito le scuote la schiena, si accuccia su se stessa e singhiozza senza voce.
Simone sospira. Adesso non può nemmeno mandarla via bruscamente, dovrà aspettare che si calmi almeno un po'. Domattina dovrà prendere qualche provvedimento. Forse parlerà coi genitori. Ma non è tanto semplice spiegarsi col loro francese approssimato, è una cosa delicata, anche un po' ambigua. O forse non dirà niente e si sposterà nella foresteria. Non gli piace, ma si dovrà adattare. E' come andare in bicicletta su un filo teso tra due palazzi. Che fesso che è stato. Avrebbe dovuto mantenere un distacco più professionale. Gli urgeva di integrarsi e l'ha fatto, anche troppo. Ora deve riprendere il controllo.
Sospira ancora. Le striscia vicino. Le mette una mano sulla schiena.
“Amina”.
Lei alza il viso, prende la sua mano e se la passa sugli occhi bagnati, se la preme sulla guancia. Se la preme sulle labbra.
“Amina. Ti prego. Non fare così.”
“Sssht” gli scivola addosso, gli si rannicchia sotto l’ascella e con la sua mano si accarezza ancora la faccia.
“No. Basta.” Lui si stacca, ritira la mano e la nasconde dietro la schiena.
“Non si può fare questo.”
“Perché no? Non ti piace?”
“Che c’entra. Non si deve fare e basta. Non fare finta di non capire.”
“A me piace.”
“Eh. Lo sai che al mio paese mi metterebbero in prigione? Non si fa e basta.”
“Non siamo al tuo paese.”
“E’ lo stesso.”
“Perché?”
“Perché sei una bambina” appena finita la frase Simone si morde la lingua, ma ormai è andata.
“Ah ah, non sono più una bambina, l’hai detto tu!”
“Lo vedi? Sei una bambina che piange e ride.”
“Simon. Tu credi che io sono sciocca.”
“Ti prego Amina. Cerca di capire.”
“Non ti piace. E’ questo, vero? Non sono bella.” Ora guarda di nuovo in basso. Fa scorrere un dito sulla stuoia, disegna arabeschi invisibili.
“E’ perché non sono come te?”
“Ma cosa dici? Sei bellissima. Sei una bambina bellissima e io sono un uomo straniero.”
“Ma no. Tu sei Simon e basta.” Si avvicina ma senza toccarlo.
“Non sei un uomo straniero. Sei solo Simon.”
“Se vuoi che non ti prenda per una sciocca, non dire sciocchezze.”
“Lo sciocco sei tu. Non sai niente” dice, perentoria. Incrocia le braccia sul petto, alza il mento.
“Mia cugina Salka è sposata e ha un anno meno di me. Mia mamma ha avuto Yslem che aveva i miei anni, mia sorella…”
“Ma perché proprio io? Eh?”
“ …Whara è promessa, mia…”
“Vuoi che mi mandino via?”
“No.”
“E allora. Lasciami stare.”
“Ma io voglio.”
“Io non voglio.”
“I tuoi occhi dicono che vuoi. La tua bocca dice una bugia.”
Simone sospira. Sembra proprio una donna. Ma sa per certo che non lo è. Qui tutto sembra diverso da quello che è. Qui è tutto diverso. Qui è un casino. Un gran casino. E fa un caldo boia stanotte.
“La sai lunga tu. Quanti anni hai, gran donna?”
“Ne ho tredici e mezzo e so cucinare, so cucire, so pulire e so usare il computer”
“Al mio paese sei una bambina.”
“E tu? quanti anni hai?”
“Ne ho ventisei, che è proprio il doppio di te.”
“Al tuo paese sei un bambino anche tu. Ci sono stata tre volte a Livorno.” mostra il mignolo, l’anulare e il medio, “Io le so le cose. Io conosco la tua gente. Io ascolto.”
Simone sorride “Diavolo di una donna in miniatura. Hai sempre ragione tu, eh?”
Lei si avvicina di più.
“Lo sciocco sei tu” si appoggia, gli si infila tra le braccia.
“Ma non capisci che lo faccio per te, perché ti voglio bene?” dice lui. Le accarezza la testa.
Lei si strofina, lo spinge e si trovano sdraiati sulla stuoia, abbracciati.
“Non dobbiamo fare queste cose, Amina. Cosa dirà tuo padre, ci hai pensato? E la tua mamma?”
“Sposami.”
“Ah ah! Ma cosa dici. Non posso sposarti.”
“Perché no?”
“Perché non voglio.”
“Allora non mi vuoi bene. Sono brutta? Senti le mie puppe come sono grandi e piene” gli prende la mano, se la appoggia sul petto “I miei fianchi sono larghi e la mia schiena è forte, posso fare molti bambini.”
“Oddio.” Simone rotola via, lei lo raggiunge, gli si sdraia sopra. Lui la prende per le spalle, la stacca da sé, la rovescia da una parte.
“Basta. Non dire queste cose. Non dirlo mai più.”
“Perché?”
“Perché no.”
“Non è la verità?”
Simone chiude gli occhi. La verità. La verità è che fa caldo, un caldo boia. Respira forte col naso. Due, tre volte. Si mette le mani sulla faccia.
Quando era piccolo sua sorella gli prendeva tutti i giocattoli. Il lego, le macchinine. Gli prendeva i giochi in scatola anche se non li sapeva usare. Li portava in camera sua e diceva Mio! Mio! Poi dopo due giorni non se ne ricordava più e lui, senza farsi vedere, li riportava indietro. Che riccioli biondi aveva Cate. Chissà cosa starà facendo in questo momento.
Scuote la testa come un cane che esce dal fiume. Poi le pianta in faccia lo sguardo più cattivo che riesce a fare.
“Sì, è la verità. Sei bella. I tuoi seni sono grandi e morbidi. I tuoi fianchi accoglienti. I tuoi occhi brillano come venere accanto alla mezzaluna. La tua pelle profuma d’ambra e di rose, il tuo culo, poi, è una poesia. Sei più desiderabile di tutte le huri del paradiso.
Ma hai tredici anni e io non mi voglio sposare.”
Lei sbuffa. Scrolla la testa. Lo guarda come un bambino capriccioso.
“Va bene. Se non vuoi sposarmi allora sarò la tua concubina.”
“Ah ah, questo taglia la testa al toro.”
“Quale toro?”
Le dà un buffetto sul naso. Sorride. “Che cazzo di situazione” dice tra sé “e non le ho nemmeno dato il regalo.” Il tic è passato. Il nervoso è passato. Inshallah.
“Senti. Si è fatto tardi. Io sono stanchissimo, non ne posso più. Adesso vado a dormire.
Tu.
Tu fai quello che ti pare.”
“E il tè?”
“Niente tè.”
“Tanto si era freddato” alza le spalle, sorride.
Simone si tira su faticosamente, va a sdraiarsi nell’amaca. Lei lo segue. Gli si rannicchia di fianco.
Dalla finestra entra la brezza tiepida del deserto.

(poi vediamo)

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Commenti al Post:
pendolante
pendolante il 12/07/14 alle 07:44 via WEB
Mi piace molto questo racconto. Semplicemente.
 
 
LaDonnaCamel
LaDonnaCamel il 12/07/14 alle 10:41 via WEB
Grazie.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Piperita Patty il 12/07/14 alle 14:57 via WEB
Mi piace Amina, ma ho paura che sia un complotto per far scacciare Simone.
 
 
LaDonnaCamel
LaDonnaCamel il 13/07/14 alle 00:05 via WEB
Un complotto? Se lo è, me l'hanno nascosto molto bene :D
 
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