Creato da LaDonnaCamel il 16/09/2006
Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
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"Mille e ancora mille."
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(Le puntate precedenti nel box in alto a sinistra)
Insomma, ottantotto cammelli con tre o quattro pastori avevano deciso che, tra la decina di chilometri di spiaggia libera di Gabes, quello era il posto giusto per stabilire il loro accampamento.
I, che come il fratello si rivelò presto assai portata per i rapporti umani, fece subito amicizia con i cammellieri. Io con i cammelli, che per essere precisi erano dromedari, con una sola gobba, ma pareva che per loro non facesse differenza dato che in quel francese maccheronico con cui cercavamo di comunicare, la parola che li definiva era la stessa: camel, con l'accento sulla el.
I nostri vicini ci offrirono un assaggio di latte di dromedaria e noi, molto cordialmente, per non offenderli accettammo, cercando di non farci notare mentre lo sputavamo disgustati.
A quel punto diventava difficile camminare nei dintorni del campo: non eravamo riusciti a metterci d'accordo con i graziosi riminanti sul luogo dove era meglio collocare la toilette e quelli cagavano per ogni dove.
Ci rendemmo conto che era arrivato il momento di togliere le tende.
E poi, eravamo tutti impazienti di assaggiare il deserto.
Leggo sull'album: 27 luglio, traversata del lago salato Chott el Djerid.
L'effetto era abbastanza spettacolare: una strada, ma che dico, poco piu' che un sentiero sterrato tagliava in due una distesa bianchissima, sembrava neve. Però la temperatura esterna era 50° centigradi all'ombra. La nostra, visto che tutt'intorno era piatto come il mare.
Il caldo era una presenza tangibile, oserei dire corporea. Non si poteva toccare la carrozzeria della macchina, nemmeno all'interno, senza il rischio di ustionarsi. Bisognava tenere i finestrini chiusi perché altrimenti entrava nell'abitacolo una ventata bollente, come quando si apre lo sportello di un forno per controllare la cottura della torta. Ma era così secco, che non ci sembrava neanche di sudare. Era come se avessimo un febbrone, ma senza aspirine a disposizione. La sensazione non era neanche troppo spiacevole salvo che non ci rendevamo conto di quanto stessimo bevendo: otto, dieci litri a testa al giorno. La sete non si riusciva a placare e l'acqua calda che ingurgitavamo non alleviava l'arsura. Di mangiare poi non se ne parlava neanche: sforzandoci al massimo riuscivamo a mandar giù mezza lattina di Simmentall, giusto perche' era stata in frigo, e invece che a 50 gradi era forse a trentacinque.
In queste condizioni affrontammo la frontiera tra Tunisia e Algeria. Non so se é ancora così, ma a quel tempo la mole di questionari da compilare era equivalente alle schede del censimento. Da sottolineare la cortese disponibilità dei funzionari in quell'avamposto dell'inferno: era periodo di Ramadam e come si sa non potevano ne' mangiare ne' bere dall'alba al tramonto, circostanza che li rendeva se possibile ancora più espansivi.… fatto sta che per ogni virgola mancante ci rimandavano indietro con una eloquente alzata di sopracciglio. C'eravamo solo noi, alla dogana, ed impiegammo tre ore per sbrigare quelle semplici pratiche.
Come Allah volle arrivammo all'Oasi di Ghardaia.
(continua)
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