Creato da la_medusa_art il 25/06/2010

ART PASSIONE ESTREMA

*** ARTE PASSIONE ESTREMA ***

 

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La polenta

Post n°97 pubblicato il 11 Dicembre 2010 da contemporaneouno
 

 

Bussammo alla porta di assi rugose. Pioveva. Non intendemmo voce di risposta, né rumore alcuno. Ci guardammo interroganti, meccanicamente stavamo per ribussare, quando secco corse un catenaccio all’interno. Apparvero due occhi piccoli, stretti, incavati ma luminosi e sicuri, celesti. La fronte era ampia, il naso rotondo, la bocca sottile, anzi senza labbra, un taglio ovale al congiungere spiovente dei solchi tra gli zigomi pronunciati, montagnole di pelle bruna: era lei la padrona di casa. Si vedeva dallo sguardo. Entrammo. “Vengano, qui vicino al fuoco, che si scaldano!” disse la vecchia, mentre attizzava con la molla il tronco sul focolare di pietra ruvida, al centro una catena ricoperta di caligine e, appeso, il rame per la polenta. “Vengano più vicino” continuò la vecchia “così approfitto per far la polenta che l’acqua sta per bollire!” e girandosi distese le labbra per quello che doveva essere un sorriso senza denti. Ci avvicinammo. Il caldo gradevole ci toccò subito la pelle, le mani per prime gioirono strofinandosi tra loro mentre gli occhi si incrociarono ammiccanti. La stanza era ordinata, il tavolo al centro era di quercia come le quattro sedie impagliate ben disposte intorno. La madia con la ribalta era di abete, senza nodi. Batteva il suo tempo un vecchio pendolo a cucù che proprio in quel momento fece il ritornello delle sei. Sorridemmo volgendo lo sguardo. Vedemmo il soffitto di travi, al centro una lampada di porcellana decorata con roselline. “Era di mia madre”, disse la vecchia senza guardarci, “tutti cadono con gli occhi su quella lampada quando entrano, si chiedono come mai possa essere qui, in questa povera casa un simile oggetto”. “Viene dall’Olanda, dove sono nata tanti anni fa, terra umida, fredda, ma di luce e poesia”. Tacque. Ci guardammo non sapendoci spiegare come un essere tanto anonimo e solo sapesse e dicesse quello che sentivamo. Era vestita con una vestaglia che quando si piegava appena toccava terra, pulendo i mattoni rossi del pavimento lavato con acqua. Con maestria faceva scendere la farina gialla dalla mano sinistra mentre con la destra maneggiava a rotazione un bastone levigato e liscio di salice a mescolare l’impasto che si andava formando. “Questa è buona” accennò soddisfatta la vecchia “con la polenta di questa casa si vive sani”, bofonchiando una risata, in pratica un borbottio. Tutti si sono salvati a polenta qui, mentre in Olanda mi sono nutrita di patate: patate a Natale, patate a Pasqua, patate solo una volta al giorno! e c’era chi non aveva niente!” continuava quasi tra sé e sé, la vecchia. I nostri occhi si incrociavano, non avevamo proferito parola, cominciavamo a gradire il profumo della crosta della polenta, quella vecchia ci sembrava compagna da tanto mentre per riposare dal rimestare, potava le mani alla schiena poi si toccava il fazzoletto nero che raccoglieva i capelli di seta, bianchi, per quello che si intravvedeva. “Loro sono giovani, non possono sapere, ma io ho imparato a mie spese che per essere felici, basta la polenta e un po’ di latte che una capra o una pecora, e per i ricchi una mucca, può dare!”. “Prendete le ciotole là sotto la ghiacciaia, sono quasi pronta” continuava la vecchia “il latte è in quella bottiglia sul davanzale alla finestra, non serve scaldarlo, ci penserà la polenta, santa polenta anche questo può fare, scaldare il latte lo stomaco e il cuore!”. I nostri occhi al dire della vecchia si incontravano sempre di più, anche le mani cominciavano a stringersi mentre prendevamo senza timore ciotole e bottiglia. Ci sedemmo cercando i cucchiai nel cassetto del tavolo di quercia; ne trovammo tre, di rame o di ottone, non sapevamo: le nostre abitudini erano ben altre! Ci rovesciò la polenta nelle ciotole dopo avervi messo il latte, ci guardammo senza parlare. Rovesciò il resto della polenta su un piccolo tagliere e ci fece una croce sopra. Sentivamo di essere a casa, in pace, sicuri. “Non correte dopo” disse ancora la vecchia, “ora che ho capito il sapore della polenta, imparato a stare, a sentire la pelle, le mani, il cuore, so che non serve!” Girandosi vedemmo che gli occhietti vispi di quel volto scarno e bruno erano fioriti! “Il decoro della lampada sembra sia stato fatto da Vermeer, quel pittore cattolico credente, quello della perla …e sapete che io non ho creduto a nulla fino a cinquant’anni?” Oh ma adesso credo! …e sono contenta!” Mi basta la mia polenta e queste quattro travi che sorreggono la lampada che fu di mia madre, che mi ha fatto nascere in Olanda, dove tutto è tenue e incantato e dove ho pelato solo patate!”. Ci accorgemmo di avere mangiato con gusto la polenta con il latte, di avere un nuovo tono per il viaggio, lo spirito era gioioso. Salutammo la vecchia senza parola alcuna, con un segno, mentre appoggiata alla porta di assi rugose ci offriva il sorriso senza denti, gli occhi celesti incavati, sicuri, luminosi, che ci guidavano fissi per il dove andare. “Il mio nome è Maria”, gridò la donna, più bella di noi seppur migliori di prima che non scordammo più il caldo di quella polenta nella nostra vita.

 

 
 
 
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